RECENSIONE
di SERGIO SALVI
«L’albero dei Giannizzeri» – autore Jason Goodwin, traduzione di Cristiana Mennella, edito da Einaudi 2006 e 2007, prima edizione nella «Stile libero Big», pp 382.
In una frase: un intrigo ben costruito e narrato con classe.
Istanbul, 1836, il sultano Mahamud II è quasi alla fine dei suoi trentun anni di regno, nel corso del quale ha cercato di contrastare in tutti i modi l’inesorabile decadenza dell’Impero Ottomano. Mahamud II, morto cinquantaquattrenne nel 1839, è stato definito «Il Giusto» e anche «Il Pietro il Grande di Turchia». L’immensa forza della Sublime Porta (è così che i sultani definivano il loro trono) dopo quasi quattrocento anni è di molto erosa. Gli sforzi di Mahamud serviranno solo a rallentare la parabola discendente, senza poterne invertire la tendenza, anche se l’Impero reggerà di fatto per altri novant’anni.
Una delle riforme più importanti attuate da Mahamud II era stato lo scioglimento del corpo dei giannizzeri, avvenuto nel 1826, con la contemporanea costituzione di una forza militare, «La Nuova Guardia», i cui soldati avevano divise all’europea ed erano stati istruiti da reduci napoleonici che insegnavano a sparare, marciare e fare il presentat’arm. Risultato? Serie di sconfitte contro i nemici stranieri: gli egiziani, i russi e perfino i contadini greci.
La Nuova Guardia aveva comunque ottenuto una fondamentale vittoria interna contro i predecessori, i giannizzeri appunto, che, nel corso dei secoli, da «punta di diamante» dell’esercito imperiale si erano trasformati in una sorta di «mafia armata» (p.14). I giannizzeri terrorizzavano i sultani, spadroneggiavano per le vie di Istanbul, rubando e taglieggiando impunemente; avevano praticamente tenuto in ostaggio l’impero per decenni.
La notte del 16 giugno 1826 avvenne il «Fausto Evento» – così definito dai fedeli al sultanato -: gli artiglieri della Nuova Guardia avevano raso al suolo la caserma dei giannizzeri e massacrato circa 30.000 (in gran parte ammassati nell’Ippodromo) di questi «ex colleghi» che si erano ribellati alla riforma militare di Mahamud.
Le vicende del romanzo iniziano una decina di giorni prima della sontuosa parata organizzata dalla Nuova Guardia per celebrare il decennale del «Fausto Evento». Si vocifera anche dell’imminente promulgazione di un nuovo editto, grazie al quale il sultano è convinto di dare un’ulteriore spinta alla modernizzazione, anche a costo di sacrificare tradizioni e usanze consolidate.
Il protagonista della narrazione è Yashim, un uomo alto, robusto, sulla quarantina, con parecchie doti: «fascino innato, disposizione per le lingue (…), gli uomini e le donne rimanevano stranamente ipnotizzati dalla sua voce, prima ancora di capire chi stesse parlando. Però non aveva le palle. Non in senso volgare: il coraggio non gli mancava. Ma era una creatura rara anche nella Istanbul dell’Ottocento. Yashim era un eunuco». (p.7). Un eunuco di corte che non vive a palazzo, infatti abita in un appartamento in affitto, decoroso, legge romanzi europei ed è anche un cuoco eccellente, non ha un incarico fisso e viene definito «Il lala», un titolo onorifico che significa «il guardiano», «una via di mezzo tra il maggiordomo e la governante, fra la tata e il capo della sicurezza: un guardiano». (p.15).
In poche ore Yashim viene convocato due volte: prima dal generale comandante della Nuova Guardia, che lo fa condurre in caserma, dalla quale sono spariti i quattro migliori cadetti ufficiali della Nuova Guardia, laureati in ingegneria con il massimo dei voti. Uno di questi è stato trovato ucciso e orrendamente sfigurato in un pentolone di ferro, un calderone. Un calderone…: i giannizzeri, per terrorizzare il popolo, prima di ogni azione violenta percuotevano insistentemente i loro calderoni rovesciati: «un preludio di morte per le strade, stragi di uomini, sacrifici di principi». (p.30).
La seconda convocazione è da parte del sultano: al palazzo imperiale una giovane donna dell’harem, appena prima di essere condotta al monarca, era stata uccisa. Recatosi sul luogo dell’omicidio, Yashim sta ragionando su possibili moventi, quando è raggiunto da Aimée, la valide sultan (il titolo che portava la madre di un sultano regnante, la regina madre insomma). La sovrana, francese di nascita, gli dice di essere stata derubata, proprio nel palazzo, dei gioielli di gran valore a lei donati da Napoleone.
Yashim è più concentrato sulla scomparsa dei cadetti, fatto sicuramente eclatante e ormai di dominio pubblico. In breve tempo riesce a individuare una pista promettente, grazie alle rivelazioni di un ex giannizzero, un albanese, diventato mastro zuppiere. Yashim, in piena notte, «visita» il vecchio Ippodromo (luogo della tremenda strage di dieci anni prima), al centro del quale cresceva l’albero dei giannizzeri: un immenso platano diventato il simbolo del beffardo potere giannizzero, tra l’altro ai suoi rami venivano appesi gli uomini da essi «giustiziati». Eppure nessuno, dopo il «Fausto Evento», aveva cercato di prendersela con l’albero. «I turchi amavano gli alberi e odiavano il cambiamento». (p.82). Il grande albero si staglia nella luce lunare; attaccato alla corteccia, Yashim trova un foglietto con due enigmatiche strofe. L’Ippodromo sembra deserto, «eppure aveva la spiacevole sensazione che i versi appena letti fossero destinati a lui. Che qualcuno lo stesse spiando». (p.84).
Tre enigmi (sparizioni, assassinio, furto) tutti insieme e da risolvere in fretta. Da solo Yashim non ce la potrebbe proprio fare. Con il decisivo aiuto di alcuni amici (il più importante è Palewski, ambasciatore della Polonia, stato virtuale in quel momento storico) arriverà molto vicino alle verità, rischiando più volte la vita e sfiorando il fallimento. L’azione diventa man mano incalzante e vorticosa, con colpi di scena chirurgici, molto efficaci.
Finale: romanzo di ottimo livello, personaggi (Istanbul compresa) centrati e descritti con umanità e solo un pizzico di distacco british. Interessanti e ben esposte le parti divulgative. Jason Goodwin è uno storico inglese nato nel 1964, ha attraversato mezza Europa a piedi per recarsi a Istanbul, luogo di cui è appassionato dai tempi universitari (Cambridge). L’eleganza della vicenda è tradita una volta sola: la descrizione di un rapporto di intimità avulso dal contesto. Ciò non inficia il giudizio positivo sull’opera che consiglio senza riserve. C’è di più: in tempi, come i nostri, di relazioni diplomatiche non idilliache con la Turchia, è comunque bene conoscere meglio la storia e il carattere di quel popolo.