Sul quotidiano «La Stampa» è stata pubblicata un’intervista fatta dalla giornalista Antonella Mariotti all’oncologa Federica Grosso, responsabile della struttura Mesotelioma dell’Azienda ospedaliera di Alessandria (ex Ufim), che opera a scavalco tra gli ospedali di Casale e di Alessandria. La dottoressa Grosso, da oltre una decina di anni, è stata, ed è, con i suoi collaboratori, il riferimento, professionale e umano, per molti (troppi) malati affetti dal mesotelioma, il cancro causato dall’amianto. Pubblico qui l’intervista integrale, con la foto dello stralcio di pagina de «La Stampa» di martedì 15 febbraio 2022.
ANTONELLA MARIOTTI
ALESSANDRIA
La centralità è il malato, deve essere il malato. Ogni volta che compaiono notizie di qualche tensione nel nostro settore, non può immaginare l’effetto psicologico sui nostri pazienti: temono di essere abbandonati». Federica Grosso, 50 anni, oncologa responsabile della Struttura Mesotelioma dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria (ex Ufim), è uno di quei medici con il cellulare sempre acceso «perché i pazienti possono aver bisogno in qualsiasi momento». Il mesotelioma è ormai fin troppo conosciuto a Casale e in provincia, ma nel mondo è considerato un tumore raro, al quale si dedicano pochi fondi per la Ricerca.
Dottoressa Grosso lei si è sempre occupata di tumori rari anche all’Istituto nazionale di Milano, nella sua prima parte della carriera?
«Sì, perché chi si ammala di quelle patologie sono pazienti che si sentono discriminati, su alcuni tumori c’è un grande impegno anche finanziario cosa che non succede per tumori come il mesotelioma, tutto dipende dalla dedizione dei ricercatori. Qui nella struttura ho ereditato il testimone di Daniela De Giovanni che metteva al centro il malato. Noi li seguiamo ogni giorno, ogni ora, perché spesso è da quello che ci raccontano che troviamo una strada per la Ricerca».
Punta l’attenzione agli effetti psicologici di questa malattia sui pazienti. I malati di Casale e Alessandria sono diversi da chi ha la stessa patologia nel resto del mondo?
«È il nostro vissuto sociale che è, ed è stato diverso. Questa malattia qui è stata percepita come una sentenza di morte, ma non è più così. Il mesotelioma non è più incurabile, abbiamo molti lungo sopravviventi, lo dimostrano i nostri pazienti».
Far parte di Ern, le Reti europee di riferimento cosa significa per un centro specializzato come il vostro?
«Vuol dire far parte di una rete internazionale che si occupa di tumori rari. Sono un gruppo di specialisti solo per quei casi. Non ci sono solo gli oncologi, ma sono gruppi multidisciplinari. Anche in questo caso il centro è l’ascolto del malato, la De Giovanni è stata per me un grande riferimento. Ma questo accadeva già a Milano all’Istituto nazionale dei tumori un Irccs, e l’acronimo è proprio Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. Ricovero e cura del paziente».
Quali sono le progettualità per l’Azienda ospedaliera di Alessandria, in cosa possiamo sperare e credere pensando al mesotelioma?
«C’è una progettualità importantissima tra le due Università piemontesi, il Mario Negri di Milano, l’ Humanithas, e con l’Irst Meldola in Emilia Romagna di cui è presidente Renato Balduzzi. Lo studio si occupa del ruolo del sistema immunitario e delle cellule che accompagnano il tumore nell’andamento della malattia. E poi le collaborazioni con due Irccs, che sono trainanti sul nostro territorio».
Tornando ai pazienti, c’è un bellissimo video di un signore che racconta la sua esperienza nel vostro centro.
«Giuseppe è un esempio di quello che stiamo facendo, le mie collaboratrici sono come me, tutte noi diamo il nostro cellulare. Certo ne va della vita privata, ho due figlie e a volte penso al tempo tolto a loro, ma la mia primogenita vuole fare Medicina, quindi qualcosa è passato» sorride quasi sollevata.
C’è un paziente al quale pensa o sente più spesso?
«I nostri malati si affezionano e con tutti abbiamo un rapporto. C’è un paziente giovanissimo Dario oggi (ieri, ndr) è il suo compleanno, una storia che ha messo alla prova tutti noi, siamo rimasti in contatto con la moglie. Due anni fa Oscar, che ha portato il finanziamento di una borsa di studio, e poi Giovanni, Giuseppe, Nadia e tanti altri. Ognuno di loro ci ha insegnato qualcosa. Per questo dico che le tensioni portate da qualche dichiarazione possono fare male: noi saremo sempre a Casale, non abbandoneremo mai i pazienti. L’aspetto assistenziale è fondamentale, la ricerca sulla malattia non prescinde dal paziente, sono loro che ci aiutano a capire la malattia»
Quante persone ha visitato in questi anni, quante paure ha incrociato?
«1800, sono qui da 12 anni, 150 all’anno. Le ripeto su questa malattia si impara tanto con i malati. Il mesotelioma da noi ha un’incidenza di 50 su centomila, nel mondo 6 su centomila per questo è definito raro. Ma qui raro non è, ma la Ricerca è stata sacrificata».
Come vi siete impegnati per far in modo che si parli anche all’estero di mesotelioma?
«L’impulso è venuto da noi, ma anche da altre realtà come la nostra. Grazie alla rete, ho parlato in Francia, Giappone, Brasile e Canada ci siamo legati a molti gruppi, e adesso mi aspetto dalla Ern un impulso maggiore, nasce come rete assistenziale: ho un tumore raro e cerco sul sito della Ern chi se ne occupa. Con la Rete europea e le altre collaborazioni ci saranno progressi nella Ricerca, potremo valorizzare di più l’esperienza che abbiamo avuto qui con il progetto unitario tra Casale e Alessandria».
Ogni giorno lei affronta tanta sofferenza. Come si riesce a tornare a casa alle cose di tutti i giorni?
«La capacità di resistere la trovo dentro di me attraverso il rapporto con i pazienti. Una volta si insegnava che l’oncologo doveva essere un medico distaccato dal malato, ma l’alleanza terapeutica rinforza il rapporto fiduciale. I malati si affidano e sono rapporti unici».
E la carriera?
«Ormai non ci penso più a diventare primario. La mia vita è qui con loro». Anni fa un collega giornalista scrisse sul giornale che dirigeva: «Oggi sono ufficialmente casalese: ho il mesotelioma».
Questa intervista ci dà speranza, ci insegna per quanto possibile a non rassegnarci. Grazie