Quando, nei primi mesi di quest’anno, la bufera del Covid ha schiaffeggiato il mondo – e continua a infliggere potenti scudisciate alla cieca -, il virus ha ottenuto, con il suo violento effetto moltiplicatore, un’attenzione globale, nascondendo altre piaghe sotto le garze dell’oblio.
Del mesotelioma si è smesso di parlare; un po’ perché è un male così subdolo, incarognito e difficile che a tacerne si ha la sensazione di tenersene alla larga e, un po’, perché accade sempre che una nuova emergenza faccia declassare le altre.
Ma di mesotelioma ci si continua ad ammalare; in alcuni luoghi più che in altri: soprattutto dove si è lavorato l’amianto, come a Casale Monferrato e non solo, prosegue lo stillicidio di una cinquantina di nuovi casi all’anno, in età sempre più giovane e con sempre meno genesi professionale a spiegare l’insorgenza della patologia. Anche nel resto d’Italia e nel resto del pianeta, comunque, la fibra che, in modo micidiale, infiamma la pleura (e altri tessuti), prosegue inesorabile la propria azione.
Per chi si ammala e per chi ha paura di ammalarsi l’emergenza primaria resta quella. E l’interrogativo imperioso non diverso da prima: posso vivere? Una cura risolutiva ancora non c’è, ma l’impegno nella ricerca di cui si è dato conto in una recente tavola rotonda (il 24 luglio scorso online) su “Lo stato della ricerca a oggi” è un incoraggiamento a non perdere la speranza. Gli studi in corso, svolti da gruppi di ricercatori che hanno dato conto di un anno di attività (un bilancio più completo si avrà a fine 2020), evidenziano un tracciato più concreto di quanto si percepisse in passato.
CHI FINANZIA IL PROGETTO
Le risorse che sostengono la fattibilità del progetto provengono da un accantonamento rimasto intatto per anni su un conto custodito dagli avvocati dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, ultimo patron in vita della società Eternit (colosso mondiale nella lavorazione di manufatti di amianto), imputato in più processi per le ricadute mortali e ambientali causate da quella produzione.
Schmidheiny aveva offerto 30 mila euro a ogni cittadino (malato o suo erede) che rinunciasse a costituirsi parte civile in questi processi. Tra i suoi legali e l’Afeva (l’associazione casalese che riunisce le vittime dell’amianto, ora presieduta da Giuliana Busto) era stato concordato che, per ogni transazione, in concomitanza a ogni esborso di 30 mila euro, ne fossero accantonati 20 mila destinati alla ricerca. Ma a quali scienziati assegnare quei fondi? Si è visto quante bocche voraci si spalancarono nel 2011, in occasione della sventurata offerta avanzata dall’imprenditore svizzero – più imposta che proposta – al Comune di Casale; lo ricordiamo: poco meno di 20 milioni di euro a patto che la municipalità uscisse dal maxiprocesso Eternit (poco prima della sentenza di primo grado a Torino) e si impegnasse a escludere totalmente ogni futura rappresentatività della collettività casalese anche in qualsiasi procedimento a venire contro Schmidheiny o qualcuno dei suoi famigliari o collaboratori.
L’accordo con il Comune di Casale non si fece per la forte ribellione di una parte consistente di casalesi, ma, nelle settimane di acceso dibattito tra i favorevoli e i contrari all’accettazione del patto, si manifestarono rampanti proposte di chi aveva la presunzione di vantare le maggiori competenze al mondo per trovare celermente una terapia risolutiva. “La pillolina entro tre anni”: non ce lo siamo dimenticati questo illusorio refrain.
Non di meno avvenne anche nel tempo successivo, quando il ministero della Salute promosse un movimento di idee e di risorse finanziarie per dareimpulso alla ricerca, rimasta per anni come Cenerentola, silente e rassegnata accanto al camino.
Comunque, Afeva aveva compreso fin da subito che quell’accantonamento legato alle transazioni tra Schmidheiny e i singoli cittadini doveva essere blindato e il più possibile protetto da rischiosi e infruttuosi sbriciolamenti. Lo ha ricordato Bruno Pesce: “Chiedemmo che fosse vincolato a utilizzi garantiti dalle istituzioni pubbliche”.
Ci sono stati ritardi? Sì, tanti. Incertezze? Sì, troppe. Molti presunti colpevoli e alla fine nessuno responsabile.
Finalmente si è concordato come cominciare a impegnare quei denari, simbolo delle ferite dolorose di centinaia di casalesi.
Si è dato avvio al “progetto mesotelioma”, articolato in canali diversi con un obbiettivo unico: la terapia risolutiva nel mesotelioma, vera vittoria nella ultratrentennale battaglia contro l’amianto.
LE ISTITUZIONI COINVOLTE
L’articolato progetto di ricerca ha la paternità della Regione Piemonte , che utilizza i bracci operativi dell’Azienda ospedaliera di Alessandria e dell’Asl Al (ospedale di Casale Monferrato), con il coordinamento funzionale della Struttura di ricerca formazione e innovazione guidata da Antonio Maconi, e che coinvolge la Struttura semplice dipartimentale Mesotelioma, Melanoma e Sarcoma (evoluzione dell’Ufim che, dopo la fase di avviamento e radicamento, nel 2019 è diventata un servizio autonomo inglobato nel Sistema sanitario nazionale), l’Istituto farmacologico Mario Negri di Milano, l’Istituto Romagnolo di Meldola, le Università del Piemonte Orientale (sede di Novara) e di Torino (San Luigi di Orbassano).
PREMESSE E OBBIETTIVI
Le terapie adottate fino a ora per curare il cancro dell’amianto (principalmente la chemio che è, allo stato, l’unica validata, cui si sono aggiunte e se ne aggiungono altre sperimentali) non hanno evidenziato sufficiente efficacia. Si è dunque modificato l’approccio, partendo dalla osservazione che il mesotelioma ha una genesi, un comportamento e un’evoluzione diverse in ogni paziente.
Quindi, si è dirottata la concentrazione su ciò che ognuno può mettere in atto da sé per debellare le cellule tumorali: è il sistema immunitario, scandagliato da più angolazioni, a essere ora al centro dei vari studi.
ISTITUTO DI RICERCA ROMAGNOLO DI MELDOLA
Ne ha parlato Angelo Delmonte, responsabile del Gruppo patologia toracica del dipartimento di oncologia medica dell’Irccs di Meldola. Il progetto di cui si stanno occupando comprende più filoni; il principale riguarda l’attuale sperimentazione (fino a ora testato su 3 pazienti; quando si arriverà a 6, potranno esserne reclutati altri 12 per ampliare le verifiche di rispondenza) che associa farmaci immunoterapici a un vaccino prodotto partendo dalle stesse cellule immunitarie del paziente, “addestrate” a riconoscere il tumore per combatterlo.
DIPARTIMENTO DI ONCOLOGIA DELL’UNIVERSITA’ DI TORINO
Il progetto, che fa capo a Giorgio Scagliotti, direttore del Dipartimento universitario oncologico al San Luigi di Orbassano, si chiama “Mesoline”: mira a comprendere i meccanismi attivati dal mesotelioma che fa resistenza alla chemioterapia (unica cura a oggi validata) o “addormenta” il sistema immunitario che, invece, dovrebbe possedere la capacità di sconfiggere da sé le cellule tumorali. I ricercatori del “Mesoline”, considerato che ogni paziente è diverso da un altro per la propria storia, per il decorso della malattia, per la risposta al trattamento, puntano a costruire una “carta di identità genetica” per ogni singolo che consenta di comprendere i motivi della sua resistenza ai farmaci e individuare quelli più specifici per lui.
SSD MESOTELIOMA DI ALESSANDRIA – CASALE E ISTITUTO FARMACOLOGICO MARIO NEGRI DI MILANO
Si chiama “Match” il progetto di cui si stanno occupando la “Struttura dipartimentale mesotelioma, melanoma e sarcoma”, diretta da Federica Grosso, e il Dipartimento di oncologia dell’Irccs Mario Negri, guidato da Maurizio D’Incalci. Lo studio è partito da un’osservazione: c’è chi ha una sopravvivenza inferiore a un anno e chi va oltre i tre. Domanda: che cosa condiziona la sopravvivenza più o meno lunga nei malati di mesotelioma? Si è appurato che non sono le cellule tumorali perché non si rilevano differenze tra chi vive di più e chi vive di meno. Mentre si è visto che c’è differenza tra i microambienti tumorali, cioè il contesto in cui il mesotelioma si sviluppa. E’ la prima volta che si studiano le caratteristiche dell’ambiente tumorale in rapporto alla durata di sopravvivenza. Tra gli obbiettivi: capire perché il tumore si forma, come spezzare il processo che provoca la malattia, decifrarne le ragioni di maggiore o minore aggressività e comprendere come mai l’infiammazione prodotta dal mesotelioma, dopo che la fibra si è insinuata nella pleura, impedisca al sistema immunitario di funzionare bene.
DIPARTIMENTI DI MEDICINA E SCIENZE DELL’UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE
Lo studio epidemiologico si chiama “Hermes” ed è condotto da Corrado Magnani, docente di statistica medica, Daniela Ferrante, ricercatrice di statistica medica, oltre che Irma Dianzani, docente di patologia generale, tutti e tre dell’Upo, sede di Novara. Gli studi epidemiologici sull’incidenza che l’amianto ha avuto sulle persone e sullo sviluppo delle malattie correlate alla respirazione della fibra sono stati importantissimi fin da quando, alcuni decenni fa, aveva cominciato a occuparsene il caposcuola Benedetto Terracini. Al convegno sono stati esposti aggiornamenti sui dati epidemiologici raccolti con interviste e con la consultazione del Registro piemontese dei mesoteliomi, e, in più, un approfondimento che risponde all’interrogativo: c’è una predisposizione ereditaria ad ammalarsi di mesotelioma? Noto il caso mediatico dell’attrice Angelina Jolie per quanto riguarda il cancro al seno. Si è visto che le caratteristiche genetiche di alcune persone costituiscono una predisposizione a contrarre il tumore, nel caso del mesotelioma ad ammalarsi anche in presenza di minori quantità di amianto (l’elemento che instaura e scatena la patologia). Individuare queste caratteristiche genetiche specifiche potrebbe consentire di somministrare al paziente una terapia più mirata (medicina di precisione) e, quindi, più efficace, non esclusa la possibilità di intervenire addirittura in maniera preventiva, rimuovendo a monte le cause che, in presenza di amianto, danno origine al cancro.
LA NOVITA’ ATTESA: UN IRCCS CASALE-ALESSANDRIA PER LA RICERCA E LO STUDIO DELLE MALATTIE AMBIENTALI E DEL MESOTELIOMA
Il polo Alessandria-Casale candidato a diventare sede di un Istituto di ricerca sulle malattie ambientali (causate da sostanze di diversa natura, presenti in maniera considerevole nel territorio a causa di giacimenti o produzioni industriali come quelle del polo chimico di Spinetta Marengo) e del mesotelioma (che proprio dalla contaminazione ambientale dell’amianto è provocato).
L’Azienda ospedaliera alessandrina, attraverso la “Struttura di ricerca formazione e innovazione” diretta da Antonio Maconi, ha confezionato la pratica per la candidatura che, a marzo 2019, la Regione Piemonte ha accolto e approvato. Ora la Struttura dell’Aso, con l’appoggio dell’Asl Al, sta preparando tutta la documentazione da inviare al Ministero della Salute per ottenere l’autorizzazione. Alessandria-Casale sarebbe del primo Istituto di ricerca pubblico in Piemonte.
Un riconoscimento, formale e sostanziale, cui si lavora da anni: non l’attivazione a Casale (città simbolo del pianeta per la lotta all’amianto) di un centro di ricerca inteso come laboratorio in cui studiare un farmaco per curare il mesotelioma, ipotesi romantica quanto anacronistica, bensì la sede di un punto di riferimento “globale” (in interscambio con ricercatori internazionali) perché, come ha sottolineato il sindaco Federico Riboldi, “quando si riuscirà a curare il mesotelioma sarà una vittoria non soltanto per i casalesi, ma per tutti i malati del mondo”.
LA SPERANZA
Silvio Garattini, attuale presidente dell’autorevole Istituto Mario Negri di Milano, di cui è stato direttore fino al 2018, alcuni anni fa, già coinvolto dall’allora ministro Renato Balduzzi nel pool di massimi esperti del mesotelioma in Italia, aveva detto: “Quando la ricerca si incanala nel verso giusto, i risultati poi arrivano più velocemente di quanto sia stata lunga l’attesa per individuare l’avvio del percorso”. Data l’autorevolezza del professor Garattini, quella sua predizione ha costituito per me un faro con la luce rivolta verso la speranza. Non ho mai smesso di crederci.
Oggi la sensazione è che quel percorso si sia imboccato. Con l’attenuazione di molto clamore (che, pure, va riconosciuto, è stato necessario per richiamare l’attenzione su un dramma così vasto e profondamente ingiusto, troppo a lungo rimasto sotto silenzio), diversi ricercatori, di cui si è testata la vocazione scientifica ed etica a questa causa, stanno lavorando senza lasciarsi strattonare da scossoni fuorvianti. Sono molto concentrati sullo studio del sistema immunitario, come a dire che le forze per debellare il mal d’amianto sono da individuare dentro ciascuno di noi. Bisogna trovare il modo di sollecitarle e di mobilitarle. Bene; i casalesi l’hanno rodato a lungo il sistema immunitario e anche messo a dura prova di resistenza. Anzi, di resilienza. Dicano gli scienziati come sollecitarlo e mobilitarlo per annientare il mal d’amianto. Noi siamo qui in prima linea, pronti a guarire.
Sempre brava Silvana,grazie ! Un analisi approfondita e sostenuta dalla costante sensibilità e volontà di sollocitare e rafforzare l’impegno per la lotta per sconfiggere il mesotelioma: la nostra speranza (ma anche di tante altre popolazioni) che deve divenare certezza!
Bruno Pesce
Quello della Mossano e un prodotto di qualità, fra giornalismo d’inchiesta e approfondimento scientifico. Molte notizie aggiornate, un bella sequenza espositiva, una speranza che coinvolge. Questo è vero giornalismo, un giornalismo che aiuta una società a crescere e non si limita a fare competizione. Grazie anche da casalese.