A un anno dalla scomparsa del professor Gianni Abbate (avvenuta l’8 maggio 2020), uomo di cultura profonda e sconfinata, già allievo, poi insegnante e a lungo preside del Liceo Classico Balbo, pubblico qui un ricordo su di lui scritto dal professor RICCARDO CALVO, attuale preside dei Licei Balbo, ma anch’egli già insegnante dell’istituto e ex allievo di Abbate.
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RICCARDO CALVO
Invecchiare significa frequentare “da vivi” il “regno dei morti”, nella memoria sempre più struggente dei molti amici che non ci sono più.
Si impara a parlare anche con chi, nel passato, è stato parte della nostra storia e ci ha condizionati influenzando ciò che gli indiani chiamano il “karma”.
Gianni Abbate era un innamorato della “Divina Commedia”, forse un po’ anche per questo e, per tanti anni mi parlò, senza forse che me ne rendessi conto, di tanti personaggi della stessa come se gli fossero concittadini dello spirito.
Di uno, però, in particolare, era strenuo ammiratore e emulo fierissimo: il Sigieri di Brabante che Alighieri colloca in Paradiso anche se accusato dai teologi medioevali di eresia perché difensore di una lettura di Aristotele diversa da quella di Tommaso d’Aquino.
Il grande Poeta, da ammiratore qual era dei classici e della grande lezione di Aristotele, poiché interprete della razionalità, sceglie, invece, di salvarlo e di farlo campione di un modello positivo di lettura della filosofia.
Anche l’ammirazione del Preside Abbate per Qoèlet, forse il libro più scandaloso della Bibbia, ma anche quello in cui più di tutti si incontra il pessimismo radicale di certe pagine della letteratura occidentale, era solo in parte da me conosciuto!
Mi ha fatto così un grande piacere che, lo scorso Natale, la cara moglie Pier Anna abbia scelto di donarmi la copia dell’edizione Adelphi, a cura di Guido Ceronetti, appartenente al marito, perché ho ulteriormente approfondito la forma straordinaria di pensiero di questo libro capace di esprimere la “ragione interrogante” che il Sigieri di Dante aveva portato davanti all’Altissimo.
Se in un libro della Bibbia come l’Ecclesiaste, così come d’altronde in quello di Giobbe, l’uomo può dire a Dio in forma estrema i suoi dubbi, ma anche la sua profonda umanità ecco che allora si capisce perché ad Abbate tanto piacesse la storia di Sigieri. Un po’ come per quel grande intellettuale medievale, egli era un uomo non solo molto intelligente e acculturato, ma capace di pensieri “divergenti”.
Solo chi ha avuto modo di seguirlo, e sono stati tanti i suoi alunni che lo hanno apprezzato in un percorso sistematico, può cogliere in Abbate ciò che Dante in qualche modo diceva di Sigieri e che egli ebbe modo, nel finale della sua vita, di esporre in una serata indimenticabile, nel Duomo di Casale gremito in ogni parte, in dialogo con il Vescovo Catella, con una rappresentazione originalissima che il “Collettivo Teatrale” aveva dedicato al grande Poeta fiorentino.
La sua lucidità e onestà intellettuale fuori dal comune scolpivano nell’animo degli ascoltatori un segno così forte ed efficace di bellezza che non potevi rimanere indifferente al richiamo dello spirito!
Non riuscivi a sentirti “basso” e dovevi per forza metterti a leggere, a studiare, a compiere quel percorso che Dante attribuisce, nella sua esistenza, al modello educativo di un intellettuale aristotelico e “conflittuale” come Sigieri.
Perché, educare attraverso la ragione critica, la pregnanza e la profondità dell’analisi filologica, così come fece da grande maestro ai suoi alunni il Preside Abbate, significava far dono a tanti adolescenti delle “ali” per volare “alto” in un contesto sociale e politico molto difficile e qualche volta davvero distruttivo.
Quando egli si metteva a passeggiare in classe e cominciava in assoluto silenzio la lezione sparivano i difetti umani del personaggio e si veniva trasportati, “rapiti” dentro a quella raffaellita “Scuola di Atene” aggiornata ai personaggi della modernità e portatori di un umanesimo delle lettere ma anche di una responsabilità civile. Come Dante aveva capito, quella conoscenza, anche se spregiudicata e a tratti iconoclasta, se fatta diventare fibra autentica della propria umanità, non poteva non riconoscersi in una incredibile e inesauribile forza vitale. E la curiosità del futuro e l’attesa di una realtà del “totalmente altro” non poteva non essere una sapienza legata allo stile della ragione aperta della cultura “borgesiana” sempre in connessione con l’immaginario.
A un anno dalla sua morte, c’è in noi tanta nostalgia e voglia di rileggere e di risentire quelle grandi lezioni sui classici che egli sapeva dispensare, ancora negli ultimi anni della sua vita, ospite di un Istituto che aveva saputo trasformare radicalmente e che gli voleva un grande bene.
La sua memoria resta per tanti suoi ex allievi occasione per pensare che la scuola, oggi così in difficoltà in tempi di Covid, può e deve ritornare una palestra di “diversa” umanità: un luogo capace di essere come quei “granai” di cui parla Margherite Yourcenar che sfamano le menti e tolgono gli uomini dalla grande schiavitù dell’ignoranza. Perché, oggi, è ancora più difficile di ieri convincere i nostri giovani a “prendere in mano” un libro e a decidere di stare dalla parte del pensiero critico; di quella ragione che, unica, può convincere il genere umano alla Fraternità e al Bene.
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Grazie di aver condiviso preziose riflessioni!