RECENSIONE (N. 49) di
SERGIO SALVI
“Aggiustare l’universo”, autrice Raffaella Romagnolo, pubblicato da Mondadori in accordo con Grandi & Associati, prima edizione agosto 2023, pp. 362.
In una frase: leggere questo romanzo è stato un piacere.
Raffaella Romagnolo (nata a Casale Monferrato nel 1971) è una scrittrice affermata. Uno dei suoi romanzi,” La figlia sbagliata”, è stato candidato al Premio Strega nel 2016, con un altro, “Respira con me”, è arrivata alla finale del Premio Strega Ragazzi e Ragazze 2020, si è aggiudicata il Premio Campiello Natura 2023 con “Il Cedro del Libano”, “Aggiustare l’universo” è stato inserito nella lista dei candidati al Premio Strega 2024.
Le pagine di un romanzo, specialmente quando è bello come questo, sono tutte importanti, in questo caso bisogna soffermarsi anche sulla dedica: “A chi insegna. Alla mia compagna di banco. Alla scuola tutta, che mi ha salvato.”
L’autrice ha voluto mettere, subito, sotto gli occhi del lettore, il fondamento su cui poggia “Aggiustare l’universo”: il ruolo della Scuola (e la maiuscola non è ridondante) intesa come vita scolastica con gli intrecci dei rapporti tra tutti i protagonisti, dirigenti, insegnanti, alunni.
La narrazione è articolata in due vicende principali, la prima è ambientata a Borgo di Dentro (nome inventato per la città di Ovada), inizia il 23 luglio 1945 e termina alla fine dell’anno scolastico 1945/46.
La seconda storia è ambientata a Casale Monferrato, inizia lunedì 19 settembre 1938, a due settimane dai famigerati “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista”, firmati VITTORIO EMANUELE, MUSOLINI-BOTTAI-DI REVEL e termina in rivoli diversi, dopo passaggi drammatici e divertenti, tra commozione e orrore, tenaci speranze e inesorabili rese. Eppure, al di là della logica, attraverso vie impensabili, uno di questi rivoli, il più tenue, giunge infine alla sua meta, contemporaneamente alla fine di quel travagliato anno scolastico 1945/46.
I personaggi principali, a Borgo di Dentro, sono la maestra elementare della classe 5° D femminile, una bambina che non parla e un gatto.
“La maestra ha ventidue anni e si chiama come una zia defunta, Virgilia, donna di angelica bontà e bruttezza leggendaria. Nome scelto perché la neonata impari già al fonte battesimale che non tutto si può avere dalla vita” (p.9).
Virgilia, ma tutti la chiamano Gilla, genitori, parenti, amici e perfino il direttore della scuola di Borgo di Dentro (un prete), che l’ha convinta ad accettare l’incarico di prestare servizio per l’anno scolastico 1945/46.
Gilla “appartiene a Genova, è nata a un passo da piazza Colombo, è cresciuta tra via Galata e via San Vincenzo, lì ha studiato, lì ha preso il diploma da maestra, lì è sopravvissuta a stormi di quadrimotori Avro Lancaster carichi di gigantesche uova esplosive” (p.10), con i genitori (il padre è orologiaio) era sfollata a Borgo di Dentro tre anni prima; a guerra finita tutti gli sfollati erano rientrati nelle proprie città, i più fortunati, e fra essi anche i genitori di Gilla avevano ritrovato le loro case in piedi, e lei, anzi “una parte di lei” vuole andarsene, ha le valigie pronte, papà ha riaperto la ditta, al mare si fanno i bagni … eppure resta, per insegnare.
La bambina che non parla è un’alunna della 5a D femminile.
La maestra Gilla non ne sapeva nulla, la sua classe era formata da 23 allieve, ma il primo giorno di scuola, a lezione già iniziata, sente bussare alla porta dell’aula: non fa in tempo a rispondere perché la bidella Antonia apre la porta, spinge dentro la bambina che stringe tra le mani un biglietto del direttore da consegnare alla maestra, e richiude velocemente. E’ arrivata la ventiquattresima alunna.
Sul bigliettino: “Francesca Pellegrini, 10 anni. Da gennaio ospite orfanotrofio Sant’Anna. Molto bene ortografia, calligrafia, aritmetica, geometria. Non parla”.
Il gatto è un gattino, nato a fine agosto del 1945, unico sopravvissuto di una nidiata di quattro cuccioli: è molto importante, per la bambina e per il lettore. Con il gattino, infatti, la bambina parla, e dice anche alcune parole in latino “Ave Maria Gratia Plena la so tutta. Se vuoi te la dico”: (p. 26). E allora, perché con tutte le persone, perfino con la maestra Gilla così gentile, e perfino con la sua compagna di banco, Piombo Maria Luisa, che la protegge dalla cattiveria di molte altre nella classe, non comunica a parole, ma si limita a sguardi e cenni del capo?
Le vicende ambientate a Casale Monferrato, riguardano soprattutto i componenti della famiglia Sacerdoti: “Il professor Abram Sacerdoti, trentatré anni, è registrato all’anagrafe come figlio di Giosuè e Livia Zargani, entrambi di <razza ebraica>. Per la legge italiana risulta quindi egli stesso ebreo.” (p. 45).
Abram non può credere che anche a lui si possano applicare le vergognose disposizioni discriminatorie delle “Leggi razziali”; lui che ha prestato con “fedeltà” e “onore” il servizio militare come ufficiale di complemento del Regio Esercito con menzione di “buona condotta”, lui che ha ricevuto tre lettere di encomio dal Preside, lui che è iscritto al Partito Nazionale Fascista.
La fiducia e la speranza di Abram sono vane, come prevede il fratello maggiore, Raffaele, importante avvocato, che tra sé rimugina “Abram. Fratellino. Sei un sempliciotto. Un pozzo di scienza. Ma a cosa serve in questo preciso momento, tutta la tua matematica? Un cuor contento, un’anima pura. Come papà.”
Raffaella Romagnolo racconta le vicissitudini della famiglia Sacerdoti durante la tragedia delle persecuzioni nei confronti degli ebrei, in Italia, negli anni dal 1938 al 1945, presentando al lettore una realtà famigliare normale, fatta anche di momenti gioiosi e divertenti, con le mille sfaccettature tipiche delle relazioni interpersonali tra persone di tutte le età. La rappresentazione storiografica è accurata, quindi non sono by-passate le fasi più drammatiche e dure degli avvenimenti, eppure, come per “Un sacchetto di biglie” di Joseph Joffo, passa un messaggio di speranza nella capacità umana di essere resilienti nella solidarietà, nonostante le sfibranti evidenze contrarie. https://www.silmos.it/storia-di-joseph-piccolo-ebreo-i-tedeschi-mi-hanno-rubato-linfanzia-e-il-mio-sacchetto-di-biglie/
Finale: l’universo da aggiustare del titolo è un vecchio planetario meccanico, semidistrutto, abbandonato tra le rovine lasciate dall’esercito tedesco che avevano occupato l’edificio scolastico. Un modello del sistema solare di metallo e cartapesta, la manovella per il moto di rivoluzione, i pianeti dipinti a tempera … Gilla adora immergersi negli ingranaggi. Ha imparato dal padre orologiaio. Stesse mani d’oro. Durante quel difficile anno scolastico proverà a riparare il planetario, e chissà se riuscirà a utilizzarlo per insegnare un po’ di astronomia alle sue alunne?
Un libro sorprendentemente attuale, non perdetevelo.