SILVANA MOSSANO
CASALE MONFERRATO
Una volta o l’altra, qualcuno lo farà un film sui rugbisti delle “Tre Rose”, così come è avvenuto per appassionanti pellicole americane, ad esempio: “Momenti di gloria”, “Invictus” con Morgan Freeman e Matt Damon, “Moneyball” con Brad Pitt, “Colpo vincente” con Gene Hackman. Storie vere di genuina quotidianità, portate sul grande schermo come esempi di tenacia, impegno, voglia di riscatto attraverso lo sport. Non semplicemente la vittoria di un campionato, di una coppa, di una medaglia, ma del senso della vita.
Una volta o l’altra, dunque, qualcuno ci scriverà una sceneggiatura sulla squadra multietnica casalese delle Tre Rose, che si allena ogni sera dopo il lavoro (quale che sia, purché sia) sul campo recintato dentro l’anello della pista ciclabile del Ronzone, storico quartiere periferico della città, desideroso e bisognoso di scrollarsi d’addosso la polvere dell’Eternit; e sulla sede della società costruita con l’assemblaggio di un po’ di assi e mantenuta a regola d’arte da volontari entusiasti.
E qualcuno sceglierà il cast di attori per interpretare gli atleti soprannominati “Rose nere”, volti scuri provenienti da oltre una dozzina di Paesi dell’Africa sub sahariana.
E dovrà poi scegliere l’attore che interpreterà Paolo Pensa, presidente della società: un ex carabiniere che, una notte di un bel po’ di anni fa, finì malamente fuori strada mentre, alla guida di una gazzella, con coraggio e spericolatezza stava inseguendo un delinquente. Lo tirarono fuori dai rottami praticamente sfasciato, c’era pochissimo da scommettere sulla sua sopravvivenza. Il capitano si piegò sul suo corpo steso su un letto in ospedale “Brigadiere Pensa, mi riconosce?” provò a domandargli. E lui, tramortito da un misto di dolore e anestetici, trovò la voce per rispondere in un sussurro: “Comandi, signor capitano”. Guarì, ma dopo qualche tempo dovette congedarsi dall’Arma; non dal senso del dovere che l’Arma gli aveva trasmesso, però, e che gli fu utile nella sua nuova vita.
E qualcuno, addetto al cast, dovrà scegliere un’attrice che prenda il volto e assuma il ruolo di Mirella Ruo, una “sempre-ragazza” instancabile nella battaglia infinita dalla parte degli emarginati. I migranti, prima di tutto, cui insegna che l’aiuto e l’assistenza bisogna riscattarlo con l’impegno. Nello sport, ad esempio. “Avevo saputo che in città c’era una squadretta di rugby e avevo immaginato che questi ragazzi, arrivati qui con un carico di miseria e con difficili prospettive, avrebbero potuto farne parte. Così, ero andata a parlare con Pensa”.
E, poi, bisognerà scegliere l’interprete di coach Raffaele Contemi, un ragazzo arrivato dal Sud, un po’ di tempo fa, per un posto, vinto a concorso, da ufficiale giudiziario nel tribunale che, allora c’era ancora, a Casale. Era una città nuova, lontana dal suo sole, ma Raffaé si è impegnato nel lavoro e nell’integrazione: un’esperienza personale che ha potuto ben spiegare alle “Rose nere” prima di insegnare loro come passarsi la palla ovale.
Ci vorrà, pure, chi vestirà i panni dei “dottori”. A partire da Roberto Stura, cooptato, per caso, come medico della squadra di rugby: “Mentre facevo l’abituale corsetta alla pista ciclabile, il presidente Pensa mi ha intercettato e mi ha chiesto se potevo visitare uno dei ragazzi che non stava bene”. Da quel momento, ha finito per prendersi cura delle magagne di tutti gli atleti. Non di meno, lo specialista ortopedico Umberto (per tutti: Titti) Deambrogio che, dopo essersi ritirato dalla panchina della squadra in seguito a infortunio, continua ad accudire regolarmente alla forma fisica di tutti i giocatori. Gratis, naturalmente. Così come Gabriella Zavattaro, sul campo di gara ogni volta che ce n’è bisogno e sempre presente ai tornei scolastici dove si insegna che il rugby non è affatto uno sport violento, ma uno sport che educa a neutralizzare la violenza trasformandola in energia positiva.
E servirà pure un bravo attore per vestire i panni di un grande campione, giocatore di rugby della Nazionale italiana: Maxime Mbandà, che ha stretto un forte legame di amicizia con gli atleti casalesi.
Intanto, però, nell’attesa che qualcuno decida di farci un film su questa straordinaria ed esemplare storia vera di integrazione, la società “Tre Rose Rugby” di Casale Monferrato viene ora insignita del premio internazionale “Testimoni di fratellanza” istituito dall’associazione Artaban, che si occupa di cooperazione e aiuto umanitario in Burkina Faso, Mali, Nicaragua, Ecuador e Perù. “Il premio è un riconoscimento a chi si è distinto in attività concreta di aiuto al prossimo, senza farsi distrarre dal falso mito della fama e della notorietà”. La consegna ufficiale avverrà nella serata di lunedì 26 ottobre a Torino, ma l’anteprima dei festeggiamenti si tiene già domani, 11 ottobre, all’incontro conviviale fissato per le 12,30 al circolo del Ronzone in via XX Settembre. Il premio “Testimoni di fratellanza” di Artaban nel 2020 viene assegnato ex equo al presidente Pensa (che è anche riuscito a ottenere deroghe ai regolamenti della Federazione nazionale rugby affinché la sua squadra multietnica potesse disputare regolarmente il campionato in serie C2) e a Paolo Fornetti, padre italiano e madre etiope: per vent’anni è stato giocatore di rugby, ora è arbitro nazionale, coordinatore degli arbitri piemontesi, osservatore nazionale degli arbitri e da alcuni anni coordina progetti scolastici per conto del Comitato piemontese rugby e della Società Valledora.
La società sportiva “Tre Rose Rugby” era già stata notata a livello nazionale, per somma di meriti sportivi e sociali. Nel 2016, era stata insignita di un riconoscimento del Coni, consegnato a Roma dal presidente Giovanni Malagò. Nel 2017 il Coni aveva nuovamente premiato la società per l’intensa attività svolta a sostegno dell’inclusione sociale. Nel 2019, poi, il coach Raffaele Contemi ha ricevuto il premio intitolato al grande allenatore di calcio Emiliano Mondonico: il riconoscimento è riservato ai tecnici che, come Contemi, sono impegnati in formazioni sportive con una forte connotazione sociale. A settembre 2018, erano pure stati ricevuti da Papa Francesco.
E’ una gran bella storia da raccontare quella del riscatto delle “Rose Nere”. Ma, in attesa che qualcuno scriva il copione e, trovati i soldi (come auspica Walter Zollino che ha già realizzato un documentario), inizi a girare le scene con la macchina da presa, si può cominciare a condividerla dal vivo, ogni giorno, a bordo campo, al Ronzone.
Grazie e complimenti per il suo bellissimo articolo sull’amico Paolo e sul premio da noi istituito. Roberto Veglia, Presidente Artaban Onlus