RECENSIONE DEL SABATO
di SERGIO SALVI
“Oscura e celeste” autore Marco Malvaldi, pubblicato da Giunti Editore, prima edizione aprile 2023, pp. 348, comprensive di ampia nota dell’autore e cronologia della vita di Galileo Galilei.
In una frase: romanzo vivace e profondo.
Marco Malvaldi è uno scienziato, un chimico per l’esattezza; la sua notorietà come scrittore è dovuta soprattutto ai ben otto romanzi gialli dedicati ai “vecchietti del Bar-Lume”, che hanno ispirato una fortunata fiction televisiva, iniziata nel 2013 e giunta all’undicesima stagione.
Il romanzo “Oscura e celeste” è ambientato a Firenze e la vicenda inizia in una sera di ottobre del 1631, a Palazzo Pitti, allora reggia del Granducato di Toscana. Il Granduca Ferdinando II de’ Medici si trova nella Sala del Trucco (il “trucco” era un enorme biliardo, lungo cinque metri e mezzo e largo due) chino sul biliardo, gioca da solo e, contemporaneamente, ascolta il suo segretario di Stato che gli sta leggendo una lettera del priore del convento di San Marco in Firenze.
Da oltre un anno, la città e il circondario erano tormentati da una grave epidemia di peste e il priore propone al Granduca di organizzare un’imponente processione di clero e popolo. Il Granduca non è per nulla d’accordo su questa idea: “Sì, perché sebbene nessuno avesse capito le cause del contagio, qualcuno perlomeno era abbastanza umile, sia tra gli ufficiali che tra il clero, da fidarsi della propria capacità di contare, più che di quella di saper leggere la Bibbia: pregare Dio pentendosi dei propri peccati era una possibilità, ma l’aumento dei casi di peste a seguito di grossi assembramenti di popolazione era una certezza”. (p.27).
Che fare allora? “Ferdinando, pur essendo nobile, era uomo di mondo e conosceva la sua gente. Ogni settimana visitava i lazzeretti, girava tra i malati, confortava i parenti dei defunti. E sapeva che le funzioni religiose, per la gran parte del popolo, erano la principale forma di intrattenimento (…). Proibire l’unica forma di svago e di contatto sociale era probabilmente saggio, ma sicuramente fastidioso. Da che mondo è mondo, e da che pandemia è pandemia, le misure sanitarie sono impopolari, e una certa parte di potere non manca mai di marciarci”. (p. 29).
Il Granduca non desidera contrapporsi apertamente alle iniziative del clero, anche perché sa che tanti frati, preti e chierici, assistevano gratuitamente i malati e che “non possiamo dare loro, tranne che in rari casi, né un nome né una faccia, così come non potevano i loro assistiti; i membri della compagnia della Misericordia, per esempio, vestivano un cappuccio che nascondeva il volto, garantendo l’assoluto anonimato di chi prestava l’opera, secondo il principio per cui la beneficenza deve rimanere anonima e lontana dalle celebrazioni (…), dei molti che persero la vita, tentando di salvare quelle di persone che nemmeno conoscevano, abbiamo perso anche il nome. Di pochi ci è rimasto, e sono quelli sui quali il Granduca sapeva di poter contare”. (p.31).
Uno di questi è il canonico Niccolò Cini, Ferdinando II lo convoca e gli affida l’incarico di “Commissario generale della Sanità per la parte sud di Firenze, dall’Arno verso Roma, con la pienissima autorità di fare e disfare, in nome di Sua Signoria Eccellentissima il Granduca di Firenze”.
Sara quindi un uomo di Chiesa, tra le tante altre incombenze di questo nuovo e gravoso incarico, a dover persuadere il priore di San Marco a rinunciare (per il momento?) alla solenne processione.
Mentre il segretario di Stato sta accompagnando monsignor Cini verso l’uscita, il neo Commissario gli chiede se ci sia qualche luogo particolarmente “a rischio” di comportamenti contrari al contenimento della pandemia.
Il segretario gli suggerisce di indagare sulle clarisse del convento di San Matteo in Arcetri, poiché “è voce comune nel contado che le suore … ecco, diciamo così, ricevano”. (p. 34).
“L’aspetto peggiore della vita delle clarisse di San Matteo in Arcetri era, senza ombra di dubbio, la più assoluta indigenza – parola sin troppo elegante per descrivere in modo adeguato quella che, in realtà, era vera e propria miseria” (p. 39)
Tra le clarisse di San Matteo (poco più di trenta, a quell’epoca) ci sono le due figlie di Galileo Galilei: la primogenita Virginia (diventata suor Maria Celeste), maestra del coro e segretaria del convento, e Livia (ora suor Arcangela), provveditora (vale a dire responsabile degli acquisti).
Le due ragazze erano state destinate alla vita claustrale dal padre, e se Virginia, ciononostante, continuava ad amarlo “più di ogni altra cosa al mondo” senza covare alcun risentimento, viceversa Livia non faceva mistero della sua acida contrarietà alla vita monastica e della sua conseguente disistima nei confronti del genitore.
“In convento bisognerebbe entrare solo per autentica vocazione, e la primogenita di Galileo ne aveva per due; il rovescio della medaglia è che in questo modo era toccata tutta a lei, mentre sua sorella Livia ne era rimasta completamente priva. Purtroppo, però, a San Matteo erano state schioccate tutte e due.” (p. 72).
Accanto a quel convento, in una villa presa in affitto, Galileo Galilei si era trasferito da Firenze, a fine settembre del 1631; il grande filosofo e scienziato desiderava infatti stare vicino alle sue figlie anche perché suor Maria Celeste aveva l’incarico di rendere leggibili gli scritti del padre, ricopiando la scrittura di Galileo “piccola e sgorbiosa, inclinata verso l’altro o verso il basso a seconda di come era messo, se seduto o sdraiato”, per renderla comprensibile al tipografo che stava stampando il trattato “Dialogo sui massimi sistemi”, la sua opera più conosciuta.
Una delle altre clarisse, la giovane suor Agnese, è appassionata di scienza e filosofia; non solo è in ottimi rapporti con suor Maria Celeste, ma intrattiene anche un rapporto epistolare con lo stesso Galileo Galilei.
Durante un incontro tra Galileo e la figlia Suor Maria Celeste, questa gli riferisce che suor Agnese desidererebbe incontrarlo il giorno successivo, e lo scienziato ne è ben lieto.
Il giorno successivo è lo stesso scelto dal canonico Niccolò Cini per la visita ispettiva al convento di San Matteo, ed è giunto nei pressi al monastero quando si sente chiamare per nome: “Monsignor Niccolò!” e il canonico: “Maestro Galileo! Che piacere vedervi. Che ci fate qui?”, “Ci abito, Niccolò! Piuttosto, cosa ti porta al convento?” “E’ a causa dell’epidemia. Sua Signoria Eccellentissima si vuole sincerare delle condizioni delle case di ogni ordine religioso” rispose il canonico Cini. Visto che fra le professe di San Matteo c’erano entrambe le figlie di Galileo, forse non era il caso di dire esplicitamente «il Granduca ha paura che qualche suora rimanga incinta»” (p. 79).
Galileo e il suo ex allievo si incamminano insieme verso l’ingresso del monastero, il canonico-commissario per indagare, lo scienziato per incontrare Suor Agnese, ma hanno appena varcato il cancello quando vengono informati dell’improvvisa morte di Suor Agnese.
Le apparenze fanno pensare al suicidio, anche Galileo lo ritiene plausibile, invece suor Maria Celeste è certa del contrario: “Padre, io sono sicura che la povera suor Agnese non si sia tolta la vita. Potreste aiutarmi a dimostrarlo?” (p.86).
Così Galileo Galilei e il suo ex allievo devoto amico monsignor Niccolò Cini inizieranno a tentare di dipanare una matassa davvero aggrovigliata e sorprendente.
Finale: “Oscura e celeste” è un romanzo con due protagonisti principali: uno è Galileo Galilei, l’altro è il pensiero galileiano. Il thriller, ben riuscito e coinvolgente, è a mio avviso meno prezioso del pensiero di Galileo così come Malvaldi è riuscito renderlo accessibile per il lettore di oggi.
Ecco un esempio: “Insegnare. Bella parola. In-signo, scrivo dentro. E quello che incido rimane. Non siamo fogli di carta (…), non è facile cancellare dalla nostra mente ciò che ci viene insegnato. E si fa più danno a insegnare cose sbagliate che a non insegnare affatto. Per questo, oltre a insegnare, occorre imparare”. (p.97).