RECENSIONE DEL SABATO
di SERGIO SALVI
«Non tutto è perduto». autore Marco Vichi, pubblicato nel 2022 da Ugo Guanda Editore, seconda edizione luglio 2022, pp. 454.
In una frase: romanzo piacevole e ricco di storie ben raccontate.
Sono contento di aver letto questo romanzo, che è la puntata più recente della serie dedicata da Marco Vichi al personaggio del commissario Bordelli. I motivi di soddisfazione sono molti, uno su tutti: il commissario Franco Bordelli è andato in pensione. Finalmente! Tra i tanti commissari/ispettori/marescialli che hanno attirato e affascinato migliaia di lettori, me compreso, è finora l’unico – tra quelli che conosco – che si prepari a uscire di scena dall’attività investigativa in modo tutto sommato normale.
In questa rubrica ho avuto modo di commentare l’eutanasia letteraria del Commissario Montalbano costruita con «Riccardino» da Andrea Camilleri. Il mio amatissimo Commissario Ricciardi viene lasciato in lacrime ne «Il pianto dell’alba» da Maurizio Degiovanni, autore che non ha poi nessuno scrupolo a concludere (?) la serie de «I Bastardi di Pizzofalcone» con «Angeli» un finale che finale non è, anche se gli concedo un’attenuante perché almeno il vicecommissario Pisanelli in pensione ci è andato.
Insomma, Marco Vichi sceglie di raccontare il suo personaggio in quella delicata fase della vita in cui si lascia ufficialmente il lavoro: «Era uscito da poco dal palazzo della questura dove aveva lavorato per ventitré anni … Ma non essere più un commissario capo in servizio, bensì un questore vicario in pensione, cambiava la sua visione del mondo». (p. 9).
Il romanzo è ambientato a Firenze e dintorni nella primavera del 1970, 60 anni (per l’appunto età, appena compiuta, del commissario Bordelli), è il limite invalicabile per chi presta servizio nelle forze dell’ordine. Bordelli lascia «ufficialmente» il lavoro, ma in realtà ha deciso di indagare, a titolo personale, su un caso di omicidio del 1947, il primo caso affidatogli, e l’unico rimasto insoluto. Un ragazzo, si chiamava Gregorio, figlio di un industriale ritenuto simpatizzante del fascismo, era stato ucciso a coltellate, e così all’epoca si era pensato a una vendetta partigiana. «Alla fine il questore o chi per lui aveva deciso di lasciar perdere, non era il momento giusto per andare a frugare nel recente passato con il rischio di accendere un fiammifero in mezzo a una polveriera. Adesso quel periodo era lontano. Erano passati ventitré anni, da quel delitto … ora che aveva tempo avrebbe cercato di dare un volto all’assassino o agli assassini di quel ragazzo … per un quarto di secolo aveva fatto un lavoro che gli piaceva, forse l’unico che potesse fare, e adesso quel capitolo era chiuso, almeno ufficialmente. Ma non tutto è perduto, pensò. Aveva finito un capitolo, ma non il libro». (p.19).
Marco Vichi (classe 1957) è magistrale nel coinvolgere il lettore negli stati d’animo e nei pensieri dei suoi personaggi. Intendiamoci: le vicende poliziesche sono intriganti e avvincenti, tuttavia la forza e l’originalità di questo autore e anche le sorprese più entusiasmanti del romanzo si scoprono nelle descrizioni dell’intensa umanità di Franco Bordelli e degli altri protagonisti: la giovane fidanzata, i suoi amici, le persone che man mano si affacciano nella narrazione, e Blisk «l’orso bianco che fingeva di essere un cane” fino a Geremia “il teschio più simpatico che ci sia».
L’indagine sull’omicidio di Gregorio si rivela ardua, a cominciare dalla documentazione, davvero scarsa: «il fascicolo più piccolo del mondo» (p.68) lo definisce l’amico Porcinai, il capo dell’archivio della Questura. Tre soli fogli, uno scarno verbale di sopralluogo in data 20 luglio 1947, tre righe di resoconto dell’autopsia eseguita il 22 luglio senza né foto, né disegni, né dettagli, infine la lapidaria dichiarazione di archiviazione del caso, datata agosto 1947 «L’accurata e scrupolosa inchiesta svolta dagli investigatori nell’ambito dell’omicidio avvenuto in data 20 luglio 1947, in località Molino del Piano, frazione di Pontassieve, perpetrato con arma da taglio non rinvenuta, che vede in Guerrini Gregorio la vittima di un probabile agguato, non ha dato esito alcuno, in nessuna qualsivoglia ipotesi presa in esame, e nessun indizio, seppur minimo, è sopraggiunto per suggerire una possibile direzione a ulteriori indagini. Consideriamo il succitato omicidio non risolto e pertanto archiviato». (p. 74).
«Inchiesta accurata?» Bordelli, ai tempi del fatto vice commissario in prova, era stato mandato, da solo, allo sbaraglio, aveva avuto anche un drammatico confronto con i genitori di Gregorio, aveva fatto domande ai dipendenti dell’industria di proprietà della famiglia della vittima: nessuno aveva voglia di parlare, ovvero, tutti avevano paura di parlare, e così, in meno di due settimane, l’archiviazione.
L’indagine del neo «questore vicario in pensione» riprende dalla ricerca dei famigliari di Gregorio, riesce a incontrare la madre, e in questa circostanza viene a conoscenza dell’esistenza di un parente del padre dell’ucciso, si chiama Tancredi Terracina e vive vicino a Montepulciano. Le pagine che descrivono l’incontro tra i due sono bellissime, e i suggerimenti di Tancredi sembrano molto puntuali, quando, nel luglio del 1947, egli aveva accompagnato il padre di Gregorio all’istituto di Medicina Legale, si era accorto che il cadavere del cugino presentava diversi tagli sparsi e disordinati, soltanto tre o quattro profondi, uno dei quali sul collo, e gli altri più superficiali. «Nulla che facesse pensare a uomini decisi a uccidere per vendetta, ma piuttosto alla mano disperata di una donna che mai aveva immaginato di poter fare una cosa del genere» (p. 153).
Bordelli, nonostante le interessanti informazioni avute da Tancredi, riuscirà a stento a trovare il tempo per dedicarsi in pieno alle indagini sul vecchio omicidio. Prima di tutto è alle porte una cena (il pensionamento è un evento da festeggiare) con gli amici della «Confraternita del Chianti». Una cena meravigliosa, preparata con estrema cura e misurata abbondanza, cucinata da due dei Confratelli del Chianti in casa dell’ex commissario, con un prezzo, fisso, da pagare per ogni commensale: ciascuno dovrà infatti raccontare una storia.
La descrizione del simposio forma una corposa (100 pagine) e tuttavia armonica, digressione nel romanzo: i dieci partecipanti narrano storie molto interessanti e avvincenti, perlopiù fatti legati della seconda Guerra Mondiale e all’immediato dopoguerra, oltre a curiosi episodi di un’umanità, commovente, tragicomica, divertente.
Il sapore, gli aromi e il calore della grande cena non sono ancora intiepiditi che il vice commissario, Pietrino Piras, anch’egli Confratello del Chianti e strettissimo collaboratore di Bordelli, gli chiede di aiutarlo per due indagini appena affidategli dal questore: «Un omicidio e un ragazzino sfuggito a un maniaco sessuale, cosa preferisce?» e Bordelli: «Devo per forza sceglierne una?» (p. 337).
La messa a riposo è infatti troppo recente e l’ex commissario si butta a capofitto in entrambi i casi, muovendosi e ragionando come se fosse in servizio attivo.
La squadra Bordelli-Piras, di gran classe e ben affiatata, riuscirà a venire a capo dei due «gialli», entrambi molto delicati e di forte impatto emotivo, privilegiando le capacità umane a dispetto della violenza.
La soluzione del caso dell’omicidio di Gregorio Guerrini sarà invece rimandata al prossimo romanzo della serie.
Finale: gran bel libro, per me una valida scoperta, insisterò con le opere di questo autore.
Per chi è affascinato da Firenze e dalle colline circostanti (vorrei vedere…), troverà molto piacevoli le descrizioni degli angoli della città e dei paesaggi che fanno da sfondo ai personaggi del romanzo.
Vichi è bravo nel mantenere desto il lettore, senza mai ricorrere a immagini violente o truculente, piuttosto si viene sollecitati da enigmi e curiosità che punteggiano tutta la narrazione con un ritmo indovinato e accattivante.