RECENSIONE
Di SERGIO SALVI
«Il destino è nelle nostre mani» la testimonianza di un percorso spirituale – autore Morris West, traduzione di Annabella Caminiti edito da Sperling & Kupfer 1997 pp.183
In una frase: un libro da leggere, assolutamente.
Morris West (1916-1999) è uno dei miei tre scrittori preferiti. Cominciai a leggere i suoi libri su suggerimento di Romeo Giovannacci, il grande Libraio casalese della nostra gioventù. Il signor Romeo mi mise nelle mani (poteva essere il 1983) «I giullari di Dio» – edizione Oscar Mondadori: fu un colpo di fulmine.
Da allora, in una decina d’ anni, lessi quasi tutti i libri dello scrittore e drammaturgo australiano (i suoi romanzi hanno avuto successo mondiale, tradotti in 27 lingue e venduti in 60 milioni di copie); solo di recente ho scoperto l’esistenza di «Il destino è nelle nostre mani», opera esplicitamente autobiografica.
Il racconto inizia così: «Mi è stato chiesto più volte di scrivere la storia della mia vita. Ho sempre rifiutato. La cronaca del mio lavoro e dei miei giorni è già stata presentata sotto la pudica cortina del romanzo. Ciò che invece offro in queste pagine è una testimonianza: quella di un pellegrino, di un individuo con una conchiglia sul cappello, un bastone stretto in una mano, ottant’anni di vita registrati nella mente e le articolazioni doloranti. Si tratta anche della celebrazione della sopravvivenza e del riconoscimento di quegli immeritati doni che l’hanno resa possibile».
E’ il primo paragrafo del Prologo di questa intensa, profonda e semplice (non facile) opera; ne cito un altro breve passo: «Gli antichi teologi parlavano del dono della fede. A mio avviso esiste un dono anche precedente: un desiderio, una disponibilità a ricevere la luce quando e se offerta. Questa disponibilità è la stessa qualità di percezione che si trova nella poesia, nelle capacità profetiche, o nella meravigliosa fantasia di un bambino felice».
Testimonianza del cammino spirituale svelata al lettore con un’arte dello scrivere impareggiabile. Sono un entusiasta dei romanzi di Morris West, gli intrecci narrativi, la psicologia dei personaggi, i colpi di scena, la classe della scrittura. Con «Il destino è nelle nostre mani» l’autore utilizza i suoi talenti artistici per catturare l’attenzione sulle problematiche del rapporto tra l’uomo e Dio, tra il credente e la Chiesa Cattolica, tra credenti fra loro, senza indulgere in esibizioni dotte o artifici per «strappare l’applauso».
Gli snodi principali del cammino spirituale corrispondono, com’è naturale che sia, ai momenti cruciali della vita dell’autore, come fu la decisione di entrare in convento a 13 anni, descritta senza mezzi termini come «una fuga» da un’infanzia e adolescenza difficili, e poi, dopo dodici anni di esperienza da novizio, la rinuncia ai voti definitivi e il «rientro nel mondo».
«Avrebbe dovuto essere un momento di liberazione, tuttavia, anche dopo aver varcato il cancello del collegio, sentii che la liberazione non era completa. Non sapevo chi ero, né dove stessi andando. I miei familiari erano degli estranei per me. Non li vedevo da quasi dieci anni. Abitavano a circa un migliaio di chilometri di distanza». (p.16)
«Tra me e la pace nella quale ora vivo vi furono molti e dolorosi viaggi: gli anni della guerra, un matrimonio fallito, un’attività radiofonica nevrotica e di grande successo, un esaurimento nervoso, un rischioso cambiamento di carriera, un secondo matrimonio, questa volta riuscito, venti anni trascorsi lontano dal mio paese (l’Australia, n.d.r.) e una lunga battaglia contro l’ingiustizia presente nella Chiesa e per sostenere il mio diritto a far sentire la mia voce all’interno della comunità … la pace dello Spirito consolatore giunge in modo strano e silenzioso, come i primi stupori dell’infanzia: avvicina una conchiglia all’orecchio e sentirai il mormorio di tutti gli oceani del mondo». (p. 17)
Quest’autobiografia così ermetica merita, per poter capire meglio le vicissitudini umane dell’autore, di essere integrata con la lettura della breve nota biografica che si trova sul sito https://www.themorriswestcollection.com/biography . Da essa si scopre che egli fu un bambino isolato e deriso per la sua povertà, emarginato dalla parrocchia cattolica irlandese a causa della separazione dei suoi genitori e dei vizi del padre, e poi fu un lavoratore talmente assiduo da ammalarsi e restare paralizzato per settimane.
Insomma, Morris West è stato uomo che ha sofferto molto e nella sua vita ha sempre rispettato la sofferenza degli altri, mi vien da dire che la «pace» della quale ha goduto, oltre che il frutto delle sue capacità e dei successi conseguiti, sia stato anche un premio terreno al suo atteggiamento di costante attenzione, pietà e impegno verso i più deboli.
Lo scrittore condivide con il lettore le sue riflessioni su quattro argomenti principali: la percezione del male, la risposta alla violenza, la dissidenza e la profezia. Gli interrogativi sono sempre di stringente attualità, perché universali e connaturati all’essere umano, le risposte offerte e le speranze suscitate derivano da episodi concreti, immediati, qualche volta stupefacenti, sempre ben comprensibili.
Il titolo scelto per l’edizione italiana, «Il destino è nelle nostre mani», è più coerente con la vita di Morris West (una vita da «numero primo» movimentata e a volte avventurosa), più che con il contenuto di queste pagine. Il titolo originale si traduce infatti così: «Una visione dal crinale». L’autore ne spiega il senso: «Mentre mi accingo a scrivere, mi sento come un alpinista che, dopo una salita lunga e difficile, ha infine raggiunto l’alto crinale della catena montuosa e qui si ferma per riprendere fiato e raccogliere il coraggio necessario a intraprendere l’ultimo tratto del cammino». (p.1)
Finale: dopo che lo avrete letto, desidererete certamente leggere qualcos’altro di Morris West; per chi ne fosse completamente digiuno, e quindi avrà molte gioie letterarie davanti a sé, suggerisco di cominciare con un romanzo di fantafinanza «l’Arlecchino», pubblicato nel 1974.
Protagonisti e antagonisti nella vicenda sono il raffinato banchiere svizzero George Harlequin e il duro e privo di scrupoli Basil Yanko, americano, presidente della Creative Systems Incorporated, società fornitrice dei servizi informatici alla banca di Harlequin (oltre che al Dipartimento di Stato statunitense). Dalla contabilità della banca – registrata dai computer della Creative Systems – risulta un ammanco di 15 milioni di dollari e, quasi contemporaneamente alla scoperta del problema, Yanko presenta ad Harlequin un’offerta apparentemente molto vantaggiosa per l’acquisto del pacchetto azionario di maggioranza della banca.
Voce narrante del romanzo e terzo protagonista è l’australiano Paul Desmond, amico fraterno di George Harlequin e padrino del suo unico figlio, un bimbetto di tre anni, Paul.
La percezione del male, la risposta alla violenza, il desiderio e il sapore della vendetta sono i drammi umani che vengono affrontati in una girandola di vicende emozionanti e di colpi di scena che vi terranno in sospeso fino all’ultima delle 317 pagine del libro.
Se «l’Arlecchino» prefigura con un anticipo di quarant’anni i rischi dell’immenso potere collegato alle tecnologie informatiche e concentrato nelle mani dei pochi capi delle aziende detentrici dei dati (si pensi al caso Facebook-Cambridge Analytica, inizio del 2018), tre romanzi di Morris West, ambientati in Vaticano, gli hanno fatto attribuire misteriose capacità profetiche.
Nel 1963 pubblicò «Nei panni di Pietro», romanzo in cui il protagonista è un cardinale russo che viene eletto al papato, e ciò 15 anni prima dell’elezione di Karol Wojtyla al soglio di Pietro con il nome di Giovanni Paolo II; il sequel «I giullari di Dio», pubblicato nel 1981, racconta di un Papa che si dimette, e ciò viene narrato ventidue anni prima che Benedetto XVI dismettesse la tiara. Nel romanzo «Eminenza» del 1998, poi, si anticipa l’elezione di un Papa proveniente dall’America del Sud; e nella realtà è avvenuto con Papa Francesco, argentino, nel 2013.
Singolari e affascinanti intuizioni si possono apprezzare anche ne «La Salamandra», del 1974, ambientato nell’Italia tormentata dalla strategia della tensione e ne «Il grande mediatore», del 1991, ove si prefigura un ritorno inesorabile nell’ex Unione Sovietica di regimi governativi di carattere autoritario.
Una curiosità: nel 1979 Margareth Tatcher, dopo averne parlato con Giulio Andreotti a margine di un incontro ufficiale, fece consegnare a Palazzo Chigi, in dono all’allora premier italiano, due romanzi di West: «Nei panni di Pietro» e «L’avvocato del Diavolo» (1959), quest’ultimo ambientato principalmente in Italia.