MI RICORDO… 200 VOLTE E PIU’ (2009)
di Silvana Mossano
Introduzione
“I remember”: nel 1970 l’artista americano Joe Brainard pubblicò un’antologia di ricordi in ordine sparso. Fu la prima di successive raccolte: “More I remember” (1972), “More I remember more” (1973) e “I remember Christmas” (1973). Nel 1978, lo scrittore francese Georges Perec uscì con “Je me souviens”, dichiaratamente ispirato alla produzione editoriale di Brainard, e anche questo fu successo. Altrettanto, all’americano e al francese si ispirò Matteo B. Bianchi che, nel 2004, pubblicò “Mi ricordo” (edito da “Fernandel”). L’ispirazione è comune – raccolta di ricordi brevi, in ordine sparso, senza paletti cronologici o tematici -, ma l’esperienza no, in ciascuno è originale e personalissima. Se ne potrebbe scrivere un numero infinito di antologie di questo tipo e ognuna sarebbe diversa dall’altra, anche se, certo, con alcuni (magari molti) punti di contatto. Questa è l’emozione: pescare a caso nella memoria, senza caricarla di un vello nostalgico, senza l’ossessione per il rigore storico, senza l’oppressione o il timore di un giudizio e senza nessuna pretesa letteraria. Il semplice affiorare lieve di ricordi tra i quali, qua e là, anche chi legge può ritrovare un po’ di sé. E magari lasciarsi andare ad altri ricordi, così che l’antologia non si chiude mai, diventa un libro senza fine. Qui ho raccolto duecento e più ricordi; fino a un attimo prima di portare la bozza in tipografia ho continuato ad aggiungerne. Mi arrivavano in testa d’improvviso: mi fermavo sulla corsia d’emergenza in autostrada, frenavo a bordo della via in bicicletta, mi alzavo dal letto nel cuore della notte perché non volevo perderli e li annotavo subito, su una vecchia agendina del 2003, sull’angolo di un volantino pubblicitario, sul retro dello scontrino della lavanderia, su un pezzo di carta strappato dal sacchetto del pane. Finché ho dovuto mettere il punto per consegnare alla stampa, ma con il rammarico che qualche ricordo non è arrivato in tempo.
Pazienza, me ne ricorderò domani.
Il mio augurio è che chi piluccherà tra questi duecento e fischia “Mi ricordo” trovi qualche spunto per sorridere o per commuoversi e, magari, di tanto in tanto, per dire “anch’io, anch’io, me ne ricordo anch’io”. Sarà un bel modo per sentirci un po’ vicini.
Mi ricordo… 200 volte e più –
Mi ricordo che, nella casa dove abitavo da piccola, le quattro camere da letto comunicanti erano scaldate con una sola stufa a carbone. Mi ricordo che mia mamma ci rovesciava dentro tante uova nere di carbone che erano in un secchio di ferro con il manico. Ogni volta mia madre sbuffava e imprecava e io le domandavo “che cos’hai” e lei mi rispondeva “niente”, ma faceva una faccia brutta.
Mi ricordo, che le sere d’estate, c’erano molte lucciole; noi bambini camminavamo nell’orto, bucando la penombra della luna, catturavamo con delicatezza le lucciole e le tenevamo tra le mani chiuse a ostrica.
Mi ricordo che le zanzare pungevano fino alle dieci di sera. Poi “andavano a dormire” diceva mio padre, e allora potevamo accendere la luce.
Mi ricordo che un giorno giocavo a pallone con mio fratello Mauri, e lui rideva ogni volta che mi colpiva sulle gambe e sul petto e anche sulla pancia. E anche io ridevo perché non mi faceva troppo male. Poi, ho mirato bene e l’ho colpito io sulla pancia. Anzi, un po’ sotto la pancia. Lui ha urlato ahi, e si è accovacciato. E mio padre mi ha sgridato forte, guai a te se lo fai ancora. Ma io non capivo perché aveva sgridato me così e invece non aveva sgridato mio fratello quando lui mi aveva colpito sulla pancia, anzi un po’ sotto la pancia.
Mi ricordo che, nel mese di maggio, dopo il rosario, il chierichetto più grande che si chiamava Giorgio spegneva i ceri alti accesi sull’altare maggiore, con un bastone nero che finiva con un cappello di rame. E io non me ne andavo finché non li aveva spenti tutti e rimanevano tanti fili di fumo che salivano verso il soffitto alto.
Mi ricordo che noi femmine, nel cortile, avevamo imparato a correre con le ciabatte e pure a saltare la corda. Guastavamo un paio di ciabatte alla settimana. Ce le ricompravano al mercato del martedì o del venerdì e costavano 500 lire.
Mi ricordo che, un giorno, ho visto passare un cavallo che tirava un carretto guidato dal padrone. E io ho gridato: “papà, guarda, c’è un cavallo!”. E a mio padre sono venuti gli occhi umidi e ha detto: quando ero ragazzo, ho visto un’auto e ho gridato “guarda, c’è una macchina!”. A me sembrava che mio padre si sentisse un po’ vecchio.
Mi ricordo che, quando c’era la luna piena, mia nonna diceva che nascevano i bambini. Ma mio fratello Coto non è nato. E ha aspettato quando c’era più solo un quarto di luna. Allora mia nonna non l’ha detto più della luna piena.
Mi ricordo che il 14 ottobre 2000 era domenica. E’ squillato il telefono: “Qui a Trino sta arrivando l’acqua”. Voleva dire che, entro poche ore, l’acqua sarebbe arrivata anche a Morano e a Popolo e a Balzola e a Terranova, che lo sapevamo perché era già successo nel ’94. Solo che nel 2000, poi, è stato peggio.
Mi ricordo che, quando il 14 ottobre 2000 stava arrivando l’acqua, ho pensato “adesso chi glielo dice a quei poveracci di Morano, di Popolo, di Terranova, di Balzola che c’è un’altra alluvione dopo soli sei anni?”.
Mi ricordo che quella del 1994 l’avevano definita “piena millenaria”. Forse perché una è stata nel secondo millennio e l’altra, di sei anni dopo, nel terzo?
Mi ricordo che, dopo l’alluvione, una donna anziana voleva tornare a casa perché nel frigo aveva l’insulina per il diabete. Mi ricordo che un’altra aveva bisogno le pastiglie per il “polesterolo”. Mi ricordo che un uomo non trovava più le sue galline. Mi ricordo che, dopo l’alluvione, tutto era marrone. Anche le facce delle persone erano marrone, quello era il colore della desolazione e della rassegnazione.
Mi ricordo che quando la gatta Birba era incinta avevamo preparato una cesta con dei vecchi stracci perché potesse partorire. Invece, la gatta è salita sul letto, si è infilata sotto le coperte e ha fatto lì quattro gattini, che per quella notte il letto non si è potuto usare. Mi ricordo di un’altra gatta, Minuta, che ha partorito sul sedile posteriore della Milleotto di mio padre.
Mi ricordo che mio padre un giorno ha acceso la televisione e mi ha detto “l’uomo sta per scendere sulla Luna”. E quando l’astronauta è sceso sulla Luna, mio padre aveva gli occhi lucidi, allora ho pensato che era una cosa davvero importante.
Mi ricordo che una amica di mia nonna diceva che, da casa sua, la sera vedeva gli astronauti che camminavano sulla Luna. Mi ricordo che mia nonna diceva “non ci credo”, ma a me pareva che fosse un po’ invidiosa.
Mi ricordo di quando Bramieri in tivù diceva “è mo è mo… è moplen” e ho scoperto che c’era un signore che si chiamava Moplen e aveva inventato la plastica delle bacinelle di moplen.
Mi ricordo quando ero convinta che i panettoni Bistefani li facesse il signor Bistefani.
Mi ricordo che c’era chi diceva “quelli che lavorano all’Eternit sono fortunati, ma senza un calcio in culo non si riesce a entrare all’Eternit”.
Mi ricordo che quelli che lavoravano all’Eternit avevano la puvri e facevano a gara a chi ne aveva di più: io ho il 30 per cento, io ho il 50, io ho il 60, che più puvri avevano nei polmoni e più soldi prendevano.
Mi ricordo di un uomo che, quando ha saputo di avere il mesotelioma, si è sparato in cantina. Mi ricordo di una ragazza che mi raccontò “mi hanno detto che ho quel misoteloma lì, una malattia un po’ difficile, tu l’hai mai sentita?”. Mi ricordo una signora di Milano che mi ha spiegato “mio marito vive da più di otto anni con il mesotelioma e sta bene, si cura e sta bene”.
Mi ricordo il primo giorno di scuola, che la maestra ci ha fatto disegnare la scuola sulla prima pagina del quaderno. Poi abbiamo copiato le parole che la maestra aveva scritto alla lavagna. Mi ricordo che la maestra ci ha detto che, sotto il disegno, avevamo scritto “la mia scuola”, ma io non sapevo né leggere né scrivere. Mi ricordo che le maestre, allora, non erano contente che gli scolari sapessero già leggere e scrivere già il primo giorno, perché volevano insegnarlo loro il “metodo”.
Mi ricordo quando mi hanno tolto le rotelle dalla bicicletta. E mi hanno detto vai, e io sono andata senza rotelle.
Mi ricordo quando andavo in bicicletta senza mani.
Mi ricordo che una volta che andavo in bicicletta senza mani sono caduta sulla ghiaia e nelle ginocchia erano conficcate tante piccole pietre aguzze. Ma non piangevo, perché quelli che piangevano valevano di meno.
Mi ricordo che i maschi non dovevano piangere mai. Però alcuni piangevano, e li chiamavamo “piagnoni”.
Mi ricordo quando mangiavamo la neve con lo zucchero ed era proprio buona.
Mi ricordo quando saltavo la corda e la milza faceva male da scoppiare, ma schiacciavo il male con la mano e continuavo a saltare per vincere la gara.
Mi ricordo la Tivù dei ragazzi. Mi ricordo che nella sigla c’erano sagome di bambini che si tenevano per mano.
Mi ricordo quando non c’era la Telecom, ma c’era la Stipel. Mi ricordo che la telefonata in città poteva durare quanto si voleva tanto il costo non cambiava. E c’era chi stava al telefono dieci minuti, o un’ora, o due. Mi ricordo di donne che si telefonavano per ore anche se abitavano a due passi.
Mi ricordo che per telefonare fuori città bisognava chiamare la Stipel, dire il numero con cui ci si voleva collegare e aspettare che richiamassero per mettere in comunicazione. Si chiamavano telefonate interurbane. Mi ricordo che nelle telefonate interurbane si gridava forte per farsi sentire.
Mi ricordo che Calimero non era nero, ma era solo sporco.
Mi ricordo quando la Madonna di Crea era nera. Poi l’hanno restaurata e si sono accorti che non era nera, ma solo sporca del nerofumo delle candele.
Mi ricordo che una sera hanno interrotto i programmi televisivi per annunciare che avevano sparato al presidente americano John Kennedy. Mi ricordo che dissero “assassinato” e io non avevo mai sentito prima quella parola.
Mi ricordo quando scrivevo con il pennino e l’inchiostro. A volte cadeva la macchia, si strappava la pagina e si doveva rifare tutto daccapo.
Mi ricordo le lucertole che d’estate strisciavano veloci sul muro della scuola e si nascondevano nel cespuglio di lavanda.
Mi ricordo che avevo paura dei topi. Ho ancora tanta paura dei topi.
Mi ricordo quando nascevano i vitellini e i bambini venivano tenuti fuori dalla stalla che non potevano vedere quell’ambaradan finché il vitellino non era nato. E poi si entrava: il vitellino era sulla paglia, tutto bagnato come se avesse preso la pioggia.
Mi ricordo a ottobre la processione di Santa Teresa. E a maggio quella della Madonna.
Mi ricordo il rosario nelle sere del “mese di Maria”, che è maggio.
Mi ricordo la corona del rosario con i grani di vetro sfaccettato che avevano riflessi colorati e lucenti e sembravano diamanti.
Mi ricordo le litanie e quella che preferivo era “Rosa Mistica”.
Mi ricordo la rosa bellissima stampata sulla confezione a cilindro dei biscotti “Bucaneve” Doria.
Mi ricordo la “canestrella” avvolta in carta trasparente che mio padre portava a casa la domenica: era una torta morbida, con il gusto di nocciola e una crosta zuccherata sopra, ma a me non piaceva tanto perché c’era anche il liquore.
Mi ricordo del ballo a palchetto. Sui balli a palchetto nei paesi mi accompagnavano mio zio e mia zia. Mi ricordo che non venivamo via proprio per ultimi, perché mia nonna diceva che non stava bene fare quelli che puliscono la pista da ballo.
Mi ricordo quando è morto mio fratello Mauri. E che mentre lo chiudevano nella bara ho pensato “mai più. Non lo vedrò mai più”. Mi ricordo che stavo male. Anche adesso sto male tutte le volte che penso “mai più”.
Mi ricordo il suo funerale. Mi ricordo che tutti mi dicevano “non piangere” e io non capivo perché.
Mi ricordo l’odore di tanti fiori insieme: delle corone e dei cuscini e dei mazzi e mi faceva stare proprio male. Anche adesso.
Mi ricordo il grembiule nero abbottonato davanti. Ma solo da quando ho cominciato le scuole medie, alle elementari era abbottonato dietro. Mi ricordo che anche le maestre portavano il grembiule nero con il collettino bianco.
Mi ricordo il salvadanaio di cartone con le facce di bambini negri stampate sopra. Mi ricordo che la maestra diceva che bisognava mettere i soldini per i moretti che morivano di fame.
Mi ricordo che l’autobus si chiamava corriera. La corriera la prendevano quelli che abitavano in campagna per andare in città.
Mi ricordo che sabato all’una c’era “Oggi le comiche”, e a me piacevano Stanlio e Ollio. Mi ricordo che sabato pomeriggio c’era “Chissà chi lo sa” con Febo Conti.
Mi ricordo che i panini si chiamavano sanguis” che era il modo per tradurre sandwich. Mi ricordo il sanguis di salame, il sanguis di prosciutto.
Mi ricordo il film “L’esorcista” e c’erano quelli che ridevano perché dicevano che il vomito era brodo di verdura e il sangue era salsa di pomodoro. E altri avevano paura. Mi ricordo che io avevo paura e per un po’ di settimane accendevo tutte le luci in casa.
Mi ricordo Canzonissima con le gemelle Kessler. Mi ricordo che erano uguali, era difficile capire la differenza.
Mi ricordo i Beatles. Mi ricordo che i ragazzi con i capelli lunghi si diceva che erano beat. E anche chi portava i blue jeans era beat.
Mi ricordo le mani sbilenche di mia nonna, storpiate dall’artrosi. E le sue carezze che grattavano la pelle, ma leggere, sfioravano lievi.
Mi ricordo l’odore della lampada a petrolio, del latte appena munto, della stalla, della conserva di pomodoro. Mi ricordo che, nella conserva di pomodoro, si metteva una polverina bianca che si chiamava acido salicilico.
Mi ricordo di nascondino, di palla avvelenata, di “aut e bas chi l’è suta l’è ‘n pajass”. Mi ricordo della cerbottana, della canna da tujot, e delle figurine “ce-lo ce-lo manca”.
Mi ricordo che il gelato si mangiava soltanto d’estate. Mi ricordo che il ghiacciolo si chiamava stick e costava venticinque lire (poi era aumentato a trenta lire). Il cono due gusti costava cinquanta lire. I gusti erano crema, cioccolato, limone e fragola.
Mi ricordo che quando veniva un ospite si offriva il Fernet o il Marsala nel bicchierino da cichèt.
Mi ricordo che i grandi si salutavano tra loro dicendo ciarèja, ma ai piccoli bisbigliavano “saluta, di’ buongiorno, buonasera”, perché i bambini dovevano imparare a parlare in italiano e non in “indialetto”.
Mi ricordo l’odore dei libri nuovi. Mi ricordo che i libri di scuola arrivavano pochissimi giorni prima che cominciasse l’anno. Mi ricordo che l’anno scolastico, fino a un certo punto, iniziava il 1° ottobre.
Mi ricordo che certe mamme usavano il detersivo Omo e altre usavano il Tide. Mi ricordo che noi bambini preferivamo il Tide perché nella scatola, dentro la polvere, erano sepolti dei giochini in regalo.
Mi ricordo il buco nelle orecchie per mettere gli orecchini d’oro.
Mi ricordo il cortile sterrato e il polverone che veniva su.
Mi ricordo le libellule che mia nonna chiamava “gava j’occh”, cava-occhi.
Mi ricordo il parabris e i sedili di scai che scottavano d’estate.
Mi ricordo “Piccolo grande amore” di Claudio Baglioni e “Samba Pa Ti”di Carlos Santana. Mi ricordo che, dopo, è uscita “Europa”, ma non faceva friggere la pelle come “Samba Pa Ti”.
Mi ricordo “La Bustarella” su Antenna 3 con Ettore Andenna. Mi ricordo che tutte le ragazze volevano assomigliare a Diana, che era la sua valletta (e poi lui l’ha sposata).
Mi ricordo dei vecchi che gli occhiali li chiamavano baricule
Mi ricordo che al Festival di Sanremo c’erano i “Quattro + Quatto di Nora Orlandi”.
Mi ricordo la sfilata del Torneo Caligaris in via Roma. Mi ricordo che c’erano i giocatori delle squadre anche straniere con grandissime bandiere tenute stese da più mani come lenzuola. Mi ricordo che c’erano la banda musicale e le majorettes con le gonne corte.
Mi ricordo che le gonne corte si chiamavano minigonne. Mi ricordo che, dopo le minigonne, sono venute di moda le gonne lunghe al polpaccio. E si chiamano midi.
Mi ricordo i pantaloni a zampa di elefante. E quelli di maglina. Mi ricordo che gli indumenti di maglina, a toglierli al buio, si vedevano le scintille.
Mi ricordo le cabine del telefono e i gettoni. Mi ricordo che, quando si andava in vacanza al mare, si telefonava a casa dalla cabina, si metteva nella fessura un certo numero di gettoni e te li facevi bastare.
Mi ricordo che, per far mettere la foto sul giornale in un necrologio, bisognava fare il clichet.
Mi ricordo la notte di marzo 1986, che i vigili urbani giravano per le strade con i megafoni e urlavano di non bere l’acqua dei rubinetti. Mi ricordo che il giorno dopo abbiamo saputo che era stato avvelenato l’acquedotto di Casale.
Mi ricordo le cisterne nelle piazze per andare a prendere l’acqua con i bidoncini di plastica perché quella dei rubinetti era vietato berla, e neppure lavarsi si poteva.
Mi ricordo dei fenoli, del vino al metanolo, del benzene e dell’atrazina assorbite dalla terra dei campi. Mi ricordo dello scoppio di Cernobyl e che c’era paura delle radiazioni nucleari. Mi ricordo che quell’anno sono cresciuti pomodori e melanzane grossi come zucche e angurie. Mi ricordo che li guardavamo con curiosità, ma nessuno voleva mangiarli.
Mi ricordo quando è stato ucciso Pier Paolo Pasolini.
Mi ricordo il rapimento di Aldo Moro. Mi ricordo quando Moro è stato trovato nel bagagliaio della Renault 5, e aveva la posizione e la faccia di uno che semplicemente dorme.
Mi ricordo di Alfredino nel pozzo: che sono stata su tutta la notte davanti alla tivù e avevo imparato che esistevano gli speleologi.
Mi ricordo di mia nonna che urlava come un’indemoniata quando noi bambini ci avvicinavamo al pozzo in campagna. E aveva sigillato la bocca del pozzo con assi di legno, mattoni e vecchi teli unti e stracciati.
Mi ricordo degli spaventapasseri nei prati.
Mi ricordo della pista di automobiline a otto di mio fratello, mi ricordo dei Lego, della bambola Susanna prodotta dalla Furga e della Petula che parlava schiacciando un pulsante sulla pancia.
Mi ricordo le calzette corte che non mi piacevano, mi ricordo delle calze al ginocchio con l’elastico liso che scivolavano giù alle caviglie.
Mi ricordo le mutandine bianche a costine che le tiravi su fin sopra l’ombelico.
Mi ricordo che una volta alla settimana si mangiava il bollito con il bagnet, una volta alla settimana la bagna cauda d’inverno e, al venerdì, c’era il pesce perché mangiare la carne di venerdì era peccato. Mi ricordo che, al venerdì, mangiavamo il merluzzo impanato o in umido con il sughetto di prezzemolo.
Mi ricordo che per fare la Comunione bisognava essere a digiuno da tre ore e non aver bevuto da almeno un’ora.
Mi ricordo che alla domenica pomeriggio d’estate si ballava alla Fons Salera, la domenica sera e, d’inverno anche al pomeriggio, si ballava al Music Hall della Canottieri.
Mi ricordo che dicevano che Andreotti i segreti li nascondeva nella gobba.
Mi ricordo di Mary Poppins e di Supercalifragilisticespiralidoso che tutti cercavano di dirlo e pochi ci riuscivano.
Mi ricordo: su qui e su qua l’accento non va. Su lì e su là l’accento va. Mi ricordo “Ma Con Gran Pena Le Reti Cala Giù” per ricordare il nome delle Alpi (Marittime, Cozie, Graie, Pennine, Lepontine, Retiche, Carsiche, Giulie).
Mi ricordo che una volta si faceva la denuncia Vanoni” (come la Ornella) e poi è venuta una tassa chiamata “Iva” (come la Zanicchi).
Mi ricordo Mina che cantava “L’importante è finire” e io non capivo che cosa doveva finire.
Mi ricordo il giradischi Lesa e il mangiadischi. Mi ricordo che i dischi piccoli si chiamavano 45 giri e quelli grandi lp. Mi ricordo il juke box: si infilava il gettone, si pigiavano alcuni pulsanti e il disco veniva pescato dal braccio di un robot, poi cominciava la musica.
Mi ricordo l’odore dell’erba bagnata all’alba, il profumo del fieno secco nel tardo pomeriggio e quello della paglia accatastata in balle sotto il portico.
Mi ricordo che le ragazze e le donne in chiesa dovevano mettere il velo. Mi ricordo che avevo un velo di pizzo ecrù fatto a triangolo.
Mi ricordo che mi è sempre piaciuta la neve. E anche la pioggia. Il sole non tanto, mi faceva male agli occhi.
Mi ricordo che, quando ho fatto la Prima Comunione e avevo sei anni, mi hanno regalato il libro “Le storie dei santi”. Mi ricordo che mia mamma ha detto “ringrazia” e io ho detto “grazie”, ma non ero neanche un po’ contenta, perché non mi sembrava un libro divertente. Forse perché era scritto fitto e non c’era neppure una figura.
Mi ricordo il primo sciopero in prima Liceo. Mi ricordo che la prof Costanzo, il giorno dopo, ci ha chiesto “perché non siete entrati?” e noi abbiamo detto “perché quelli di quinta facevano i picchetti”. Mi ricordo che lei ci ha detto “pecoroni”. Mi ricordo un altro sciopero e allora noi di prima, con la testa bassa, ma decisi, abbiamo sfondato il picchetto di quelli di quinta e siamo entrati. La prof Costanzo ci ha chiesto “perché siete entrati?” e noi orgogliosi “perché non abbiamo dato retta a quelli di quinta che facevano i picchetti”. E lei “salami, che questa volta lo sciopero era per i vostri diritti”.
Mi ricordo al Liceo le assemblee in aula magna e pure gli spettacoli di Natale in aula magna. Mi ricordo che si faceva il debutto al mattino per gli studenti e i professori, e la replica alla sera per i parenti. Io ho cantato “Fila la lana” di De André e “Insieme” di Mina.
Mi ricordo i trattamenti antipidocchi e lo zuccherino che si chiamava “Sabin”.
Mi ricordo la varicella che, dopo i primi tre giorni, si andava a scuola lo stesso se le pustoline non si vedevano in faccia.
Mi ricordo quando è venuto Pertini, e la gente sui bordi delle strade aspettava che passasse la macchina all’uscita dalla città verso il casello Casale Sud dell’A26.
Mi ricordo il sarto Berardi e le sue cravatte colorate. Mi ricordo che aveva dei baffi singolari e che aveva inventato una gara che si faceva in piazza tra tutti quelli che avevano baffi stravaganti.
Mi ricordo l’acne, che qualcuno ce l’aveva e qualcuno no. Mi ricordo che, quando uno aveva i brufoli dell’acne, quelli grandi dicevano “beata gioventù”.
Mi ricordo Carosello, lo Zecchino d’oro e il mago Zurlì. Mi ricordo Carmensita, Tutto-bene-ti-va, La-pancia-non-c’è-più, gli schiaffi della Cera Grey ottima direi, Quarantaquattro gatti e il Caffè della Peppina.
Mi ricordo la maionese montata con il cucchiaio di legno e il filo d’olio di oliva. Mi ricordo che a volte la maionese “impazziva”, si buttava via tutto e si ricominciava da capo.
Mi ricordo che quando uno era un po’ tocco si diceva “ma vai da Broglia!”, che era il primario di Neurologia dell’ospedale Santo Spirito.
Mi ricordo dei cappelletti e degli agnolotti fatti a mano, sul tavolo infarinato, con il “pin” di arrosto di carne e il foglio di pasta all’uovo.
Mi ricordo che si contavano e si disponevano su assi coperti di teli bianchi. I cappelletti con il “pin” di arrosto e il foglio di pasta all’uovo, per Natale, li faccio a mano, a uno a uno, ancora adesso.
Mi ricordo la Befana del vigile urbano, che gli automobilisti passavano in piazza del Cavallo e lasciavano giù un pacco per gratitudine di una multa evitata o sperando di non prenderne nell’anno nuovo. Mi ricordo che su un lato della piazza, verso mezzogiorno, c’era una grande montagna di panettoni e scatole di bottiglie.
Mi ricordo il Circo Americano in piazza Castello, che aveva tre piste. Mi ricordo che al centro c’era il trapezio e a me piaceva molto perché sognavo che da grande avrei fatto la trapezista.
Mi ricordo che ho fatto una foto vicino a un elefante.
Mi ricordo che c’era un’edicolante che caricava i giornali in due cestoni della bicicletta e andava in giro per le strade a gridare “Stamp’e Poppolo”, perché vendeva La Stampa e la Gazzetta del Popolo.
Mi ricordo che se ti spelavi dovevi disinfettarti con lo spirito o l’acqua ossigenata, “se no ti viene il tetano”. Mi ricordo che lo spirito e l’acqua ossigenata bruciavano, “ma quello è il suo buono perché disinfetta di più” ti dicevano.
Mi ricordo i bernoccoli che ci mettevi sopra la “carta da zucchero” bagnata.
Mi ricordo il cortile, che era un bel posto per giocare. Mi ricordo che, in cortile, i “grandi” non mettevano il becco. Ogni tanto gridavano con autorità per riportare ordire, ma non s’immischiavano e stavano a distanza perché ce la sbrigavamo da noi.
Mi ricordo che sullo sterrato si giocava a biglie. C’erano le marmorine e i biglioni. Mi ricordo le sfide a gallo&gallina. Una volta ho perso il mio biglione e ho pianto.
Mi ricordo la prima lavatrice che, dicevano, “fa tutto da sola”.
Mi ricordo che a mezzogiorno suonavano tutte insieme le campane di tante chiese, vicine e lontane.
Mi ricordo che, a mezzanotte, sentivo la tromba che suonava “Il silenzio” nel Casermone dove c’erano migliaia di soldati. Mi ricordo che, quando i soldati erano in libera uscita con la divisa da fanti e ti passavano vicino, avevano un odore un po’ così. Un odore di caserma, avevano. Mi ricordo quando c’era il giuramento, e c’erano code di macchine e fiumane di gente nelle strade attorno alle caserme. E allora si diceva, “eh, c’è il giuramento”, ma nessuno si lamentava, perché il giuramento portava lavoro nei negozi, nei ristoranti, nelle pizzerie, nelle tabaccherie.
Mi ricordo che la mia prima enciclopedia si chiamava “Il tesoro”. Mi ricordo che alcune mie compagne avevano “Conoscere” o “La vita meravigliosa”. A me sarebbe piaciuto avere “Conoscere” o “La vita meravigliosa” perché avevano molte figure colorate.
Mi ricordo che in Biblioteca civica c’era l’enciclopedia Treccani che occupava un intero scaffale di più ripiani. Quando l’ho toccata la prima volta ero emozionata. Mi ricordo che dicevano che “sulla Treccani si trova tutto, ma proprio tutto”.
Mi ricordo che ad alcuni piaceva temperare le matite su due lati. Mi ricordo della matita doppia rossa e blu. Mi ricordo della biro che scriveva con più colori e si chiamava Carioca.
Mi ricordo che avevo paura del buio e mia zia diceva “ma va là, la paura è fatta di niente!”. Però, lei aveva paura dei cavalli. Io, invece, dei cavalli non avevo paura. Cavalcavo una puledra che si chiamava Stella.
Mi ricordo che, nei libri di lettura e nelle poesie, si citava spesso il pettirosso. Anche nella canzone di Mary Poppins “con un poco di zucchero la pillola va giù” c’è il pettirosso, ma io non ne ho mai visto uno.
Mi ricordo che all’ospedale c’era una ostetrica che chiamavano “la Bianco”. Mi ricordo che l’ostetrica della clinica Sant’Anna la chiamavano “la Nuccia”. Mi ricordo che la casa delle ostetriche, cioè delle “levatrici”, era una stanza dentro l’ospedale o la clinica.
Mi ricordo quando ho scoperto che in Argentina il Natale è d’estate, e si va a fare il bagno in spiaggia. E non volevo crederci che a Natale si andava senza cappotto e senza sciarpa e senza guanti. Mi ricordo che ho pensato “un Natale d’estate non lo voglio vedere mai”.
Mi ricordo della fuga di Renato Curcio dal carcere di Casale. Mi ricordo della foto in bianco e nero, pubblicata, un po’ di tempo dopo, su Oggi, di sua moglie Margherita Cagol morta sparata, stesa nell’erba di un prato.
Mi ricordo che nelle balere si facevano quattro balli lenti, quattro shake e quattro di liscio. Mi ricordo che, quando c’erano i lenti, le luci erano quasi spente e il fumo di sigarette era denso come nuvole.
Mi ricordo il geghegé di Rita Pavone.
Mi ricordo che la tuta blu del meccanico si chiamava “toni”.
Mi ricordo che d’estate si andava a raccogliere la carta e il cartone con “i cattolici” che poi erano don Gino, don Gigi, don Mario, don Antonio che ingaggiavano i ragazzi di molte parrocchie.
Mi ricordo le notti in tenda nel campeggio di Taizè e la basilica immensa dove si parlavano tante lingue.
Mi ricordo pane burro e acciughe, pane burro e zucchero, pane e tumatiche col sale. Mi ricordo la soma d’aj, che puzzava, pizzicava un po’ la lingua, ma era gustosa.
Mi ricordo che, quando si andava ad Arenzano, mia zia comprava un chilo di acciughe, le puliva, le stendeva una vicino all’altra su un asse di legno e, quando erano asciutte, le infarinava e faceva la “fricia d’anciuji”.
Mi ricordo che la “gomma da masticare” si chiamava cicless. Mi ricordo quando il pallone di cicless ti scoppiava in faccia e rimanevi tutto appiccicaticcio.
Mi ricordo la riga nera di cracia sotto le unghie e la maestra che faceva l’”ispezione”: delle unghie, delle orecchie e dei pidocchi.
Mi ricordo il barbiere che tifava l’Inter. Mi ricordo che, quando l’Inter ha perso lo scudetto, di notte gli hanno appiccicato un manifesto da morto sulla porta del negozio.
Mi ricordo che mio fratello aveva l’acetone e gli davano la Citrosodina. Io l’acetone non l’avevo, ma di nascosto mangiavo la Citrosodina perché era buona.
Mi ricordo l’Angelus, il Chirieleison – Cristeleison, il Dominusubiscum – et – cumspiritutuum, l’Orapronobis, l’Oremus e il Deprofundis.
Mi ricordo i pastelli Giotto, i colori Fila, i quaderni Pigna, la gomma da cancellare rossa e blu.
Mi ricordo il tema che prima si faceva in brutta e poi si ricopiava in bella copia e in bella scrittura. Mi ricordo gli errori segnati in rosso, in rosso e blu o solo in blu (che erano gli “erroracci”). Mi ricordo il 10-, il 7/8, il 7+, il 5/6 “per incoraggiamento”, il Benino, il Bene, il Brava e pure il Bravissima.
Mi ricordo “né par ridi né par dabon fati nen bütà ‘n parson” che lo diceva sempre mia zia.
Mi ricordo l’ospedale Gaslini che non si poteva entrare per le visite se non avevi 14 anni. Mi ricordo che per entrare a vedere mio fratello, mia mamma faceva finta di portarmi a fare le visite ortopediche. Finita l’estate, bon, non ho più fatto le visite ortopediche, perché mio fratello non c’era più.
Mi ricordo Giamburrasca, che combinava “le marachelle” come diceva mio padre, ma a me era simpatico.
Mi ricordo che, d’inverno, ci si infilava un giornale sotto il maglione per proteggersi dal gelo.
Mi ricordo Crea a piedi, che si partiva alle 5 del mattino quando era buio e si arrivava al Santuario prima delle 11 per “messa grande”. Mi ricordo che la fatica più grossa erano la salita di Ozzano e le scorciatoie nei boschi dopo Forneglio. Mi ricordo che la prima volta che sono andata a Crea a piedi avevo sei anni.
Mi ricordo il Capodanno all’Oratorio, con un complessino che cantava Miniera e Pensiero. Io avevo una gonnella di velluto nero e una camicetta di pizzo bianco.
Mi ricordo i telegrammi, che arrivavano quando c’era la notizia di un parente morto che stava in un’altra città.
Mi ricordo i cortili sterrati con le pozzanghere da pestarci dentro. Mi ricordo che certe pozzanghere avevano riflessi colorati.
Mi ricordo la vera di mia nonna che si era consumata ed era sottile come un fil di ferro conficcato nella pelle dura dell’anulare. Mi ricordo che lei con il pollice e il medio della mano destra provava a sfilarla e diceva “Vedi? Non viene più via, perché è tanti anni che è qui”.
Mi ricordo il naso che cola e mia madre che diceva “soffia bene, neh!”
Mi ricordo la pipì nella stalla e mia nonna che diceva “falla tutta, neh!”
Mi ricordo le patatine Pai con la sorpresa.
Mi ricordo la polenta del giovedì alla mensa della scuola di Santa Teresa (però non si diceva “andiamo in mensa”, si diceva “andiamo in refettorio”).
Mi ricordo l’altalena con le catene e le gare a chi andava più in alto a toccare le foglie degli ippocastani con la punta delle scarpe.
Mi ricordo la fettuccia che si chiamava grogrén e i bottoni di metallo pussuar.
Mi ricordo che per andare in Liguria si faceva il Sassello o si prendeva l’autostrada Serravalle-Genova. Mi ricordo che noi non facevamo mai il Sassello perché mio padre diceva che era tutto curve e controcurve e “la bambina vomita”. Mi ricordo che mia mamma mi dava il Valontan, anzi solo metà Valontan perché “sennò la bambina è intontita tutto il giorno”.
Mi ricordo che, dalla camera da letto di sopra, si sentivano le mucche che muggivano nella stalla. Mi ricordo che mia nonna diceva “mi chiamano perché hanno fame, ma tu dormi che è ancora buio”. Mia nonna scendeva dabbasso con la lampada a petrolio a dare da mangiare alle mucche, dopo un po’ veniva chiaro e anche il gallo si faceva sentire.
Mi ricordo le fette di zucca cotte nel forno della stufa a legna e la torta di zucca che mia nonna chiamava “turtulon”.
Mi ricordo le bucce d’arancia o di mandarino che l’altra mia nonna buttava sulla stufa accesa, “perché profumano” diceva.
Mi ricordo la cioccolata calda con la panna che si comprava in latteria dentro delle vaschette di plastica bianca.
Mi ricordo mio fratello che “sciava” in cortile con due stecche di una vecchia tapparella legate sotto le scarpe.
Mi ricordo che c’erano quelli che andavano in vacanza a Loano o a Borghetto Santo Spirito o a Varazze oppure sull’Adriatico che costava meno. Mi ricordo che c’erano quelli che andavano in vacanza in colonia o nella baracca a Po e facevano il bagno nel fiume ma da stare attenti ai mulinelli dell’acqua “traditora”, che potevi pure annegare.
Mi ricordo quando mi sono slogata la caviglia saltando il fosso e mi hanno portato dal “settimino” (il guaritore).
Mi ricordo quando il “medico di base” si chiamava “dottore della mutua”, e andava a visitarti a casa anche la sera tardi o la domenica. Mi ricordo che, quando il dottore andava a vedere mia nonna che aveva la bronchite, lei gli faceva su dodici uova nella carta da giornale.
Mi ricordo la matita copiativa, la carta carbone e la carta assorbente.
Mi ricordo “rata bürata la cua di ‘na rata” e “pimpiripettennuse pimpiripettepan”.
Mi ricordo Gig robot d’acciaio.
Mi ricordo che mio zio metteva 5.000 lire di benzina nella Fiat Cinquecento.
Mi ricordo le Nazionali con e senza filtro. Mi ricordo la pipa di mio padre e le miscele di tabacco che mi faceva mescolare.
Mi ricordo la cerchiolina al neon in cucina.
Mi ricordo la locomotiva che sbuffava fumo bianco sotto la passerella pedonale. Mi ricordo la Littorina.
Mi ricordo la Simca 1000, la Lancia Fulvia, la Millecinque Lunga e la 850 coupé.
Mi ricordo i manganelli di plastica a Carnevale.
Mi ricordo quando le mosche si ammazzavano col flit.
Mi ricordo la patata americana dentro un vaso d’acqua che faceva lunghi germogli. Mi ricordo che sul davanzale della finestra della scuola si coltivava il grano su un tappeto di cotone che doveva essere bagnato ogni giorno.
Mi ricordo quando dicevano che il vino era cattivo perché sapeva di nata.
Mi ricordo della mari dell’aceto.
Mi ricordo i filari di piselli. Mi ricordo che mangiavo i piselli crudi e lasciavo i baccelli vuoti appesi alle piante.
Mi ricordo il sussidiario.
Mi ricordo le statuine del presepio fatte di Cera Pongo e di Dash.
Mi ricordo la Lambretta del signore che faceva il marmorino e il ciclomotore Solex di mia zia.
Mi ricordo il gran movimento di auto con i fari accesi, la notte, vicino al “voltone del gas” e giù dal cavalcavia, verso il cimitero. Mi ricordo che quel “movimento” i grandi lo chiamavano “le bagase”.
Mi ricordo che c’era una che riceveva tante visite la sera e dicevano che “faceva la vita”.
Mi ricordo i bidoni di ferro nei cortili. Mi ricordo che, a un certo punto, era obbligatorio costruire nei cortili delle casotte di cemento per tenere i bidoni. Mi ricordo che, dopo un po’, la casotte sono rimaste vuote perché hanno tolto i bidoni dai cortili e li hanno messi sulle strade.
Mi ricordo la pacecca con la terra e l’acqua.
Mi ricordo le montagne di sabbia e le gallerie che si scavavano con le mani, uno di qua e uno di là, fino a che ci si toccava le dita. E allora si rideva.
Mi ricordo la purè. O il purè. Non so. Mia mamma diceva la purè.
Mi ricordo che mia nonna raccoglieva nei campi “gli” zucchini e, poi, quando si compravano nella bottega, si chiamavano “le” zucchine.
Mi ricordo la cucina di “fòrmica”.
Mi ricordo che, quando il pavimento era bagnato di pioggia, si metteva la segatura.
Mi ricordo la cera Liù e i pattini di panno per non lasciare le righe sul pavimento.
Mi ricordo quando il Luna park si chiamava “i baracconi”, per la Fiera di San Giuseppe in piazza Castello, e c’erano la giostra di pe’ ant al cù e l’otto volante e la pesca delle ochette e i motociclisti che facevano il giro della morte.
Mi ricordo il libro “Cuore” e “La piccola vedetta lombarda” che mi faceva piangere.
Mi ricordo quando al telegiornale hanno detto che alcuni genitori non volevano che un bambino handicappato restasse sulla spiaggia con i loro bambini sani. E io ho pianto di nascosto.
Mi ricordo un barattolo di crema bianca che usava mia nonna per le mani screpolate e che si chiamava Diadermina. Mi ricordo il Vix Vaporum e pure le “pappine” di semi di lino che puzzavano e bruciavano, ma dovevi stare fermo perché “fanno bene” dicevano.
Mi ricordo l’acqua viscì. Mi ricordo che la viscì Idrolitina aveva due bustine: prima si versava la polverina della bustina azzurra, dopo quella della bustina rosa e poi si doveva aspettare qualche minuto perché la Viscì doveva “farsi”.
Mi ricordo il pallottoliere colorato.
Mi ricordo il rapimento di Milena Sutter a Genova e il biondino della spider rossa.
Mi ricordo la radio a transistor.
Mi ricordo il profumo del sapone di Marsiglia.
Mi ricordo le cartoline fermate con una molletta da bucato alla forcella della bicicletta per fare il motorino.
Mi ricordo i ciabot di legno e le scarpette di gomma marrone che si usavano in campagna, con la paglia dentro che assorbiva il sudore.
Mi ricordo Rintintin, i Quattro di Bonanza, Simon Templar e Furia cavallo del West.
Mi ricordo le amarene cotte che erano “brusche” e con i noccioli da sputare.
Mi ricordo i capelli cotonati. Mi ricordo la messinpiega con i bigodini.
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Mi ricordo la calcolatrice Olivetti a manovella di un colore tra il verde e il carta-da-zucchero, che era il colore Olivetti. Mi ricordo la macchina per scrivere Olivetti Lettera 32. Per alcuni anni, gli articoli li ho scritti con quella. Mi ricordo il nastro bicolore nero e rosso: quando il nero era consumato, si abbassava la levetta e si scriveva con il rosso, fino a quando le lettere non si leggevano proprio più.
Mi ricordo la puntura con la siringa di vetro, che mia zia sterilizzava ogni volta facendola bollire in un piccolo contenitore rettangolare di alluminio.
Mi ricordo che i calli si chiamavano aiasin.
Mi ricordo i rammendi nelle calze di lana che, a volte, erano spessi e facevano male.
Mi ricordo la trottola, lo jo-jo, il gioco della settimana disegnato con una pietra sullo sterrato o con un coccio di mattone sul cemento, le bocce di legno e il gioco con i cinque noccioli di pesca.
Mi ricordo i “lavoretti” che si facevano all’asilo e alle elementari – con le mollette di legno della biancheria, con le castagne d’India, i gusci delle noci, il cartone punteggiato con lo spillo, la carta del collage o la cartapesta – e si regalavano ai genitori a Natale, a Pasqua, alla Festa della mamma e del papà. Mi ricordo la lettera a Gesù Bambino o a Babbo Natale che, sul frontespizio, aveva un disegno colorato e spruzzato di polverina d’oro o argentata.
Mi ricordo i bicchieri di plastica da viaggio che si aprivano e si chiudevano a fisarmonica. Mi ricordo la borsa che usavano le mamme per fare la spesa che era una rete fatta di cordino plastificato, blu o rosso.
Mi ricordo la bilancia stadera che mia nonna usava per pesare la verdura o il pollame; mi ricordo la basacüla. Mi ricordo la bilancia con due piatti e il set di pesi di ottone, ognuno corrispondente a una precisa pezzatura: un etto, mezzo chilo, un chilo eccetera: su un piatto si posava la merce, sull’altro si caricavano tanti pesi fino a che i due piatti stavano in equilibrio. Così si conosceva il peso della merce. E il calcolo del prezzo si faceva “a mente”.
Mi ricordo il tentativo di rapina in bottega, e mia zia che ha preso i due balordi a calci nel sedere.
Mi ricordo di una compagna di scuola di mio fratello che aveva raccontato in un tema della casa allagata e di sua madre disperata perché non riusciva a trovare un “udriaculo” (idraulico).
Mi ricordo in un’alba di febbraio 1990 quando alla stazione, sui binari della Piccola Velocità, è arrivato il lungo convoglio con circa mille profughi albanesi. Sono scesi dal treno con le loro facce spaurite e le mani strette ai manici dei sacchi di plastica che era tutta la loro roba.
Mi ricordo le gare con i sassi piatti lanciati a raso sul pelo dell’acqua del fosso, o della risaia, o del fiume; vinceva chi riusciva a far fare più salti.
Mi ricordo “la sposa bambina” di quattordici anni che era stata uccisa per gelosia in una casa di via Lanza.
Mi ricordo quando non ho studiato una poesia a memoria e ho preso “impreparata” scritto con la biro rossa sul diario. Mi ricordo che ho pianto di vergogna.
Mi ricordo le prime calze fini che si tenevano su con gli elastici oppure con il reggicalze. Dopo un po’, hanno inventato i collant che sono comodi, però sono brutti.
Mi ricordo Ercolino-sempre-in-piedi e Susanna-tutta-panna che si prendevano con i punti dei formaggini.
Mi ricordo le pietre dolci che erano caramelle. Mi ricordo le morbide mou della Elah.
Mi ricordo che giocavamo a nascondino nel prato attorno al cimitero degli ebrei.
Mi ricordo le immaginette colorate dei Santi che mia nonna chiamava le mistà. Alcune le infilava nella cornice dello specchio del comò.
Mi ricordo che, vicino al campo sportivo dell’Astor in via Cardinal Massaia, dove adesso c’è il “nido” di Porta Milano, ho visto una biscia lunga così. Un ragazzo ha preso un mattone e l’ha schiacciata.
Mi ricordo la folla davanti al Municipale, già da quando era ancora notte, per aspettare che al botteghino cominciasse la vendita dei biglietti per la serata di riapertura del Teatro, con Gassman prima e, poi, con Paolo Rossi.
Mi ricordo la volta che sono rimasta senza benzina. Più di una volta sono rimasta senza benzina. Mi ricordo che arrivava mio fratello in motorino con un doppio litro di Super e poi ripartivo.
Mi ricordo il pancione e il vestito premaman.
Mi ricordo che sono diventata mamma alle 8 del mattino tutte e due le volte, come se dovessi timbrare la cartolina.
Mi ricordo le notti in bianco per studiare. Mi ricordo le notti bianche a scrivere. E mi ricordo le notti bianche… che i bambini non dormivano.
Mi ricordo quando, quelli che avevano la mia età di adesso, li vedevo vecchi.
Mi ricordo quando, ancora con i brufoli e senza rughe, guardavo lontano, più lontano del cortile e dello stradone e del cavalcaferrovia e pensavo: “Un giorno, prendo un treno e me ne vado!”.
E, invece, adesso mi piace restare qui a guardare le risaie e la linea sinuosa delle colline, camminare sulla strada lunga, osservare i cespugli di rose e ortensie nei giardini delle villette, cercare la stella più luminosa tra le bave biancastre che si stiracchiano nel cielo notturno sopra il cortile.
Sì, rimango qui, incantata dalla musica della pioggia lenta, dal profumo della nebbia, dalla magia della neve, ad ascoltare l’eco di storie vecchie, un po’ malinconiche e un po’ da ridere. O, forse, sono ricordi?
GRAZIE, tutte queste frasi di “mi ricordo..” mi hanno portato indietro di 40, 50, 60 anni e più e mi anno emozionato nel riviverle. Sono tutti ricordi veri e belli anche per mè, sono del Monferrato artigiano e l’unica cosa che non ricordo è il chinchè la luce con petrolio, il resto è perfettamente simile alla mia infanzia.
GRAZIE ancora
Luigi