SILVANA MOSSANO
Marcella Bono si è allontanata da qui, per sempre, domenica 21 marzo. Nel primo giorno di primavera che segna simbolicamente il ritorno alla vita, lei si è lasciata alle spalle gemme e fiori e ha imboccato il viale lungo di un’altra vita che non è più quella che fino a ora abbiamo condiviso. L’ultimo respiro intorno alle 16. Poi, dietro a sé, il silenzio ha squarciato un immenso sbrego, che urla come un boato. E si polverizza, tra le dita, la sorpresa per un tempo sfuggito di mano in fretta e furia, senza più neppure la sosta per un caffè.
«Silvotta, ce lo facciamo il nostro caffettino prima di Natale?».
No, non ce l’abbiamo fatta, Marci. Maledizione a tutte le volte che si rimanda ubbidendo, con inconscia sottomissione, a una scala di priorità il cui senso, d’improvviso, si sgretola miseramente.
La notizia della sua morte è stata divulgata subito sulle varie testate e sui social. Marcella Bono, 59 anni compiuti il 14 febbraio scorso, moglie di Enrico e madre di Niccolò e Simone, era personaggio pubblico qui nel Monferrato da almeno un quarto di secolo, da quando cioè era stata selezionata, tra varie candidature, come amministratore delegato e direttore della nascente associazione Mon.DO., voluta e sostenuta dall’allora sindaco Riccardo Coppo, che era fortemente decisa a esaltare e far conoscere la vocazione e la potenzialità turistica del Monferrato. Marcella ci era riuscita, in questo compito, aggregando tutti i piccoli paesi del circondario («i miei sindaci» diceva con affetto e con stima profonda) e inventando, tra le altre, quella kermesse straordinaria chiamata «Riso&Rose» che, attraverso iniziative originali e affascinanti, a ogni maggio e per anni traghettò in questa terra frotte di turisti curiosi e affascinati.
Casalese autentica, dopo il liceo Classico si era laureata in Giurisprudenza alla Cattolica, si era specializzata in marketing e aveva fatto molta esperienza a Milano. A Casale ci era tornata accettando la sfida di MonDo, e anche perché, in quel momento, con il più piccolo dei due figli da allattare, riusciva a contemperare impegni professionali e famigliari.
E’ stata apprezzata per la sua indiscutibile bravura – vulcanica di idee, con una vocazione innata per il bello e l’armonia, eccellente nella scrittura dei comunicati in cui sapeva sempre indicare il particolare sfizioso che ingolosiva i giornalisti, garbata ed empatica nei rapporti umani – e ha saputo tessere una rete straordinaria nel Monferrato, tra amministratori pubblici e abitanti di questa terra, stanando e coinvolgendo altresì i proprietari di suggestive location, spesso sconosciute e invece trasformate in mete attrattive. Che dire delle «sette dimore» in cui furono ambientate le «sette fiabe» interpretate dalla grande affabulatrice Ombretta Zaglio?
Marcella Bono si è fatta apprezzare moltissimo anche come comunicatrice in Alexala e pure nell’Oda (Opera di assistenza diocesana), così come in campagne nazionali di marketing per conto di aziende, enti e associazioni in più parti del Nord Italia.
Impegnata anche nel sociale, fin da ragazza ha indossato con orgoglio e impegno la divisa dell’Oftal e ha partecipato attivamente a parecchi pellegrinaggi a Lourdes.
Di questi ruoli pubblici hanno dato conto le varie testate online e i social, dove si rincorrono i ricordi di diversi stralci della personalità di Marcella. E, insieme, sono state pubblicate le sue foto, per lo più catturate dal profilo facebook, di lei sorridente. Il sorriso era la sua cifra; riusciva a farlo emergere, magari con malinconica ironia, persino quando piangeva.
E, in questi anni, abbiamo pianto e riso molto insieme.
Molto tempo fa, era di questi giorni, all’inaugurazione della San Giuseppe ricevetti una chiamata sul cellulare; ero lì per servizio, ad ascoltare i discorsi delle varie autorità. Uscii di corsa e raggiunsi un parcheggio attorno a piazza d’Armi e scorsi la sua auto; vi salii, tirai fuori dalla borsa il mio fazzoletto e glielo passai per asciugare le lacrime di cui non conoscevo l’origine. E’ rimasto suo, il fazzoletto, ed è stato suggello di confidenze che si sono interrotte soltanto domenica, primo giorno di primavera.
Anni dopo, ero io spersa a vagare in piazza Mazzini, a immaginare, disperata, un appiglio che offrisse ancora qualche spunto di speranza per Marco, dopo la chemio che con lui non aveva funzionato per niente contro il mesotelioma. D’improvviso me la trovai seduta vicino su una panchina, la bicicletta posata sul cavalletto. Come l’aveva saputo che ero lì? Non glielo domandai. Accettai grata il suo braccio sulle mie spalle curve.
Assonanza su tutto? Macché. Dibattevamo su tante cose e, a volte, le convinzioni personali non coincidevano, ma che bello poter esprimere il dissenso con chi non ti rifugge e non ti giudica anche quando ti avverte diverso. Un rispetto reciproco fortissimo.
Ma, a proposito di dissonanza, c’era da sempre la faccenda dei termini inglesi. Marcella, anche per deformazione professionale, ne faceva ampio uso, pure quando doveva raccontare banalità quotidiane. Uffa, Marci! Non puoi dirlo che si capisca? E attaccavo in dialetto: «Chi sum-ma a Casà!». «Scema» replicava affettuosamente e rideva, rideva forte, aveva una risata potente, contagiosa che le raggrinziva le rughette intorno agli occhi in modo buffo.
Whatsapp dei primi di dicembre scorso: «Tok tok, Silvotta, prima di Natale se non vieni in cucina da me a prendere il caffè ti tolgo il saluto». Risposi sicura: «Ce la faremo». Così, quando tornò alla carica intorno al 20 con un perentorio «ti ingiungo di venire per un caffè», risposi, pronta, il 21 dicembre: «Passo stamane per le 10,30-10,45?». Evidentemente non era cosa: «Silvotta, scusa, sto messa malissimo, scadenze lavoro».
E si era arrivati all’Antivigilia: «Vedersi ante Natale la vedo durissima. Ti faccio avere il regalino? E poi cerchiamo di vederci finalmente con calma dopo» scrisse. Il regalino era sempre un libro: ne comprava due copie uguali, una per me e una per sé, in modo che potessimo leggere le stesse pagine e poi commentarle. Io le recapitavo una scatola di agnolotti. Quello scambio di doni era un rito.
Adesso mi manca quel coffee break – come l’avrebbe chiamato lei – che abbiamo saltato. Non ce ne saranno più né nella sua cucina sotto la grande lavagna e in un’atmosfera di avvolgente penombra, né d’estate sulla terrazza, tra i veli del patio che ogni tanto si sollevavano lievi come ali d’angelo.
L’8 gennaio: «Ciao Silvotta. Buon anno. Ho saputo che devo fare un intervento…», era seccata, ma non particolarmente preoccupata, non intuiva un’evoluzione crudele del destino. Il 9 gennaio: «Oggi va meglio, meno male perché devo andare per lavoro a Casalcermelli».
Poi i giorni hanno cominciato a camminare sempre più in fretta, con la sensazione di correre all’indietro, a trascinarla in direzione contraria rispetto a un possibile traguardo positivo. E, a seguire, quell’ineluttabile altalena tra batoste e speranze, o, forse, adesso vien da dire, illusioni, mentre l’inverno andava sfumando, e tornavano i giorni di San Giuseppe, quando le ho passato il fazzoletto bianco perché lei lo stropicciasse in lacrime liberatorie.
Ed è arrivata domenica 21 marzo. «E’ il primo giorno di primavera/ ma per me/ è solo il giorno/ che ho perso te». Non conosco altre parole di quella vecchia canzone dei Dik Dik, ma questo ritornello continua a martellarmi la testa.
Immagino le sue scarpe basse vezzose, a punta, appaiate nell’armadio, e i foulard di seta color pastello nel cassetto, e il rimmel cacciato nel beauty. Penso alla torta di ananas che mi ha insegnato a fare, «è facilissima e fa un figurone». Mi raffiguro il computer che aspetta inutilmente le sue dita a picchiettare i tasti.
E mi domando se, quando se n’è andata, ha avuto paura o no, se ha avuto male o no, se – era un suo pensiero ricorrente – ha fatto in tempo a dire tutto quel che aveva da dire o no. Domenica mattina, alle sette e mezza, le avevo mandato, su whatsapp, un mio disegno di fiore buffo. «Tok tok…» ho scritto. Non ha risposto più.
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E’ sempre un’emozione leggerti. Poi quando il tema è la nostra Marce le lacrime piovono… Grazie Silva
Silvana, che dispiacere!
Marcella è esattamente questa cosa qui. E’ lei. E mi emozioniona leggerrti perché mi sembra di vederla, lei, le sue scarpe a punta e foulard.
La mia, la nostra Marci.
Che altro commentare. Un profondo senso di tristezza che ti prende e non ti lascia. Ho avuto l’onore di conoscerla in occasione di nostre manifestazioni.
Però che bello sapere che c’è una persona che ti è amica. Il tuo ricordo lei lo ha già letto e ti sorride da lassù.
Bellissimo
Silva , le tue parole mi hanno commosso fino alle lacrime . E’ da ieri che ci penso . Per me e’ stato un fulmine a ciel sereno . Marcella e’ stata la mamma dei miei due bravi alunni Niccolò e Simone , insieme abbiamo discusso , riso e chiacchierato ogni volta .Poi sull’orientamento scolastici dei figli avevamo avuto delle divergenze di opinione , ma semore soft , con il sorriso . Avevamo anche Franca , la nostra parrucchiera in comune e fingevamo di bisticciare quando compravamo l’ultimo rossetto di nome Peace in vendita li’ . Era un lip gloss chiarissimo che piaceva ad entrambe . Tutto tristissimo …. mi sono ritrovata in pieno in ciò che hai scritto . Marci , ieri sera poi sono andata in bagno e nel mobiletto di pasticci vari e trucchi ho cercato e ho trovato il famoso rossetto e due lacrime sono scese ….
Si, è proprio lei! E la sua risata , è vero, forte e inconfondibile e già mi manca, spero di riuscire a conservarne il ricordo….
Il tempo per lei è stato davvero crudele. Non le ha dato modo di stare almeno per un poco al suo passo, l’ha superata d’un balzo, e non si è più fatto raggiungere. Marcella era uno scoppio di vitalità, anche nei momenti tristi. Lo sgambetto del tempo nella sua corsa della vita è l’evidenza della nostra vulnerabilità estrema. È il campanello per chi rimane. Prendiamocelo il caffè, perché è quasi sempre “lui” la priorità!
Sino a questo momento, non avevo pianto , bisogna fermarsi, amici cari
Non conoscevo personalmente Marcella Bono ma le parole che tu hai scritto, mi hanno davvero commossa. Doveva essere proprio una bella persona.
Purtroppo la morte non risparmia né chi ha rughe leggere né chi le ha profonde. È però naturale chiedersi ” Perché proprio lei, ancora così piena di vitalità, ancora così giovane…”
È davvero meglio non fare aspettare il caffè… Pensiamoci
Cara Silva mi hai fatto commuovere !!conoscevo Marcella perché era stata una mia cliente e di lei ricordo proprio il suo sorriso !!
Vorrei offrirti un caffè presto !!
A gennaio tra ex compagni avevamo iniziato a pensare che il prossimo luglio ricorreranno i 40anni dalla maturità e lei aveva commentato “……… devo dimagrire!” e poi aveva fatto anche una battuta sulla reunion dei 50 anni…
grazie Silvana per queste belle parole, lei era proprio così, un sorriso pieno di vita