SILVANA MOSSANO
ALESSANDRIA
Domenica 30 agosto è morto l’avvocato Claudio Simonelli, decano del Foro di Alessandria. Aveva 85 anni. Marito, innamorato, di Claudia, innamoratissima, lei, di Claudio. Un’unione esclusiva condivisa per ventun anni.
Domenica mattina si era svegliato, aveva messo i piedi giù dal letto, ma il desiderio di prolungare il sonno aveva avuto il sopravvento: giorno di festa, non doveva andare in ufficio e il dormire era un piacere in cui indugiava volentieri. “Se non mi alzo prima, chiamami per mezzogiorno”. E così Claudia ha fatto.
E’ uscita a prendere il giornale, perché Claudio lo trovasse al risveglio e, all’ora convenuta, ha aperto la porta e si è avvicinata al letto, in punta di piedi. Nessun movimento. Poi il richiamo, in un sussurro; troppo piano? Il tono di voce si accentua, diventa più insistente, più intenso. Più ansioso? Eppure stava bene, abbiamo fatto le cose di sempre: le ore in studio a lavorare con occhi e cuore affondati tra i fogli delle cause da studiare, la consueta cena di sabato con gli amici. Ma perché non risponde? Perché non rispondi? Claudio, dimmi qualcosa. Claudio, Claudio. Niente.
Più niente. L’ultimo complice reciproco saluto alle 10 di domenica 30 agosto – “chiamami per mezzogiorno” – , un giorno festivo come i molti altri che hanno vissuto amorevolmente insieme.
La notizia si è diffusa ad Alessandria in poche ore, seminando prima incredulità, poi una profonda, incontenibile malinconia.
Claudio Simonelli era un uomo amabile e di stile.
Di autentica fede socialista, ha fatto politica come attività di servizio per l’umanità che conosceva nei suoi vizi e nelle sue virtù. Il suo studio, da alcuni anni in via Mazzini, era una grande stanza assediata di fascicoli. Sopra a ogni fascicolo, il nome di un uomo o di una donna che ha difeso, a dispetto di ogni vizio e virtù. E ha sostenuto, incoraggiato, consolato. Ogni fascicolo una vita. Sapeva apprezzare e lodare nella stessa misura in cui sapeva comprendere e abbracciare con indulgenza anche chi proprio da lodare non era.
Claudio Simonelli brillava per intelligenza, senza necessità di vantarsene. L’acume che lo contraddistingueva non aveva bisogno di toni elevati per emergere: lo si percepiva anche nel sussurro delle parole (tendevi ansioso l’orecchio per ascoltare) e nelle arringhe mai scontate, che svelavano sempre un argomento inedito e curioso. Indossava la toga con orgoglio (sempre, rigorosamente, accompagnata dal “bavaglino” di foggia speciale e distintiva, bordato di pizzo Sangallo) e non ha smesso di averla addosso fino all’ultimo dei suoi giorni.
Gli occhi erano i primi trasmettitori della sua ironia e le parole traducevano la semplicità della sua visione, la capacità di mediare, la vocazione a moderare. La vita gli ha presentato molti ostacoli: li ha affrontati senza aggirarli, con coraggio, intelligenza, garbo e stile.
Chi ha avuto la fortuna di incrociarlo e di conoscerlo non ha potuto che ammirarlo e volergli bene.