SILVANA MOSSANO
ALESSANDRIA
Il giornalista televisivo alessandrino Franco Capone è morto con le carte da gioco in mano e una tazzina di caffè sul tavolino, nel bar latteria di via Verona che frequentava da una vita. La notizia, mercoledì 7 ottobre, ha fatto il giro della città in pochissimo tempo e ha destato lo stupore che si prova quando se ne va d’improvviso qualcuno che ti sembra incredibile non poter più incontrare. Ad esempio, sugli spalti del Moccagatta a tifare i “grigi” o sulla scena di un crimine o a una conferenza stampa in Questura o al Comando dell’Arma.
Sabato 10 ottobre alle 11, in Duomo, si celebra il suo funerale. Poi la salma sarà cremata, questo era il suo desiderio. “Non voglio impegnare qualcuno a dover portare fiori sulla mia tomba – aveva ripetuto più volte ai famigliari -. Si conta da vivi”.
E da vivo, diciamolo affettuosamente, nel suo mestiere era un gran rompiscatole. Se fiutava una notizia – e il fiuto ce l’aveva eccome – non mollava fino a che non ne veniva a capo ricostruendola in qualche modo dalla genesi all’epilogo. Per accertarla, però, “tampinava” assiduamente colleghi, politici, esponenti delle istituzioni a qualunque livello, amici, conoscenti.
In queste circostanze, con i colleghi delle testate concorrenti – che, poi, in realtà, nelle ore della trincea, anche tra avversari cadono le barriere e si condivide lo stesso gelo, la stessa pioggia battente, la stessa calura infernale, la stessa fuga di notizie – aveva consolidato una tattica. Questa: ti chiedeva una cosa (quella che gli interessava realmente) e ti ripagava dandotene un’altra qualsiasi. Scambio diretto, era un copione: ti telefonava, salutava con immancabile garbo e cominciava offrendoti un’informazione: “Lo sai già che…”; a quel punto tu eri già sul chi vive e ti aspettavi la richiesta, vero motivo della telefonata, che puntualmente arrivava. A volte lo scambio era un affare, pareggiavi il do ut des, a volte un po’ meno.
Abituato alle telecamere, era sempre “sul pezzo”, impeccabile ed elegante, ovunque ci fosse un evento o un fatto di cronaca da raccontare. La mano destra pronta ad agguantare l’interlocutore di turno, la sinistra serrata sul microfono.
A partire dagli anni Ottanta è stato tra i pionieri del telegiornale di Telecity, l’emittente per la quale ha firmato quasi sempre, tranne una breve parentesi alla concorrente Primantenna a inizio anni Novanta.
Ultimamente, a causa del covid, aveva mollato un po’ l’impegno professionale, ma, a 79 anni compiuti, non è mai venuto meno il suo interesse vigile e appassionato per ogni accadimento cittadino. Anche la partitella pomeridiana a scopa era occasione per tenere le orecchie tese, pronte a carpire un possibile “si dice”, un’eventuale “voce di corridoio”.
Mercoledì pomeriggio, seduto al tavolino del bar latteria di via Verona, dove era di casa, ha fatto la consueta ordinazione: “Mi porti un caffè, per favore?”, ma, già con le carte tra le mani e prima di accostare la tazzina alle labbra, “mi sento male” ha lamentato in un bisbiglio. E’ stramazzato e poi più niente. L’ultimo scoop lo ha fatto su sé stesso.
Nella foto: Franco Capone nella redazione di Telecity, al rientro da un servizio farlocco, quando il direttore dell’emittente, Ketty Porceddu (sullo sfondo), lo aveva mandato al fiume Tanaro per un delitto che, in realtà, era un “pesce d’aprile”