SILVANA MOSSANO
CASALE MONFERRATO
Schietta, diretta, esplicita, dava una sola versione dei fatti e dei pensieri: quella che riteneva sinceramente autentica ed essenziale. Era poco incline all’edulcorazione delle parole. Forse Elisabetta Corona, la Eli, questo stile asciutto, e comunque sempre permeato di garbo e generosità, l’aveva fatto proprio per via della professione che l’aveva impegnata per tutta la vita lavorativa; infermiera, è stata caposala storica nel reparto di Dermatologia dell’ospedale Santo Spirito, in un’epoca in cui quei tipi di ammalati necessitavano di lunghi ricoveri. La sofferenza l’aveva vista molto da vicino.
Determinata e pragmatica, diceva sempre la verità. Anche a se stessa, in particolare sulla malattia. Certo la diagnosi di mesotelioma, dopo aver superato un altro tumore che l’aveva provata pochi anni fa ma da cui era uscita, non se l’aspettava. E, poi, ne è stata un bersaglio, che dire?, incomprensibile. La madre, che era stata dipendente all’Eternit, dalla fibra d’amianto non era stata minata: era morta a 97 anni non a causa dell’amianto. Elisabetta Corona, invece, chissà dove se l’è preso e chissà da quanto tempo covava dormiente.
Agli amici, con la schiettezza che era un segno distintivo della sua personalità come il sorriso luminoso lo era del suo viso, nelle ultime settimane aveva detto: «Sono pronta, non mi spaventa morire, nella vita ho fatto ciò che mi ha dato molte intime soddisfazioni e sono contenta».
A parte il lavoro, cui si era dedicata con devozione, ha assecondato e coltivato una fede cattolica profonda, non accettata supinamente, ma interprete non poche volte del cosiddetto dissenso, in colleganza con alcuni sacerdoti da trincea. E’ stata molto legata, ad esempio, al gruppo dei preti «Servi di Maria» (i Serviti), che per alcuni anni si erano stabiliti a Torcello (tra cui Cristiano Cavedon, che lavorava come infermiere alla casa di riposo, e Bernardino Zanella, prete operaio all’Eternit, poi missionario in America latina). Altrettanto assiduamente e con convinzione ha frequentato la Cascina G di don Gino Piccio, a Ottiglio.
«Sono pronta – ha detto, appunto, ad alcuni amici – non ho paura di morire». Ma un timore lo aveva confessato: «Ho paura di soffrire». Il dolore lo aveva conosciuto nel suo ruolo professionale, sapeva quanto la sofferenza fisica può arrivare a incidere anche l’animo.
Si era trasferita alla casa di riposo dove riceveva costante e adeguata assistenza; quando non è più bastato, è stato disposto il trasferimento all’Hospice, in ospedale. Ci è rimasta un giorno, poi ha chiuso gli occhi per sempre, all’età di 82 anni.
Molti hanno conosciuto la sua genuina generosità e molti altri, invece, no, anche se, inconsapevolmente, ne hanno beneficiato. Finché è stata in vita è stato un segreto; ora, per giustizia, è trapelato: di quel che aveva, Elisabetta Corona tratteneva per sé il minimo indispensabile, il resto lo consegnava a un’amica: «Usalo per aiutare chi ha bisogno, ci sono tanti ragazzi stranieri qui che fanno fatica a vivere».
La sua vita è stata sempre sobria, ma se n’è andata lasciando una ricchezza profonda: il ricordo della sua sincerità e del suo altruismo.
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