GLI STUDENTI SUPINI NEL CORTILE DEL CASTELLO SEGNANO LA “SUPERFICIE” DELLE VITTIME DELL’AMIANTO
SILVANA MOSSANO
CASALE MONFERRATO
Scorreva come un fiume cupo, di acque limacciose e scure, il serpentone di studenti e insegnanti che dalle 8 si è snodato dall’istituto Leardi fino al castello, passando per il centro storico. Era un fiume gonfio di lutti pronto a impersonare le centinaia di vittime che una polvere bianca e insidiosa – l’amianto – si è inghiottita e si inghiotte. Qualcuno, più o meno sottovoce, manifesta insofferenza a questa insistenza nel portare sempre alla ribalta le vittime dell’amianto. Basta morte, si sente mugugnare. Che sono quelle bandiere tricolore con sopra stampato, in nero, «Eternit Giustizia»?
Quelle bandiere – che ogni lunedì fanno da scialle sulle schiene curve di tanti casalesi instancabili, seduti nell’aula di giustizia torinese ad ascoltare i testimoni del processo Eternit – ieri mattina erano solenni sui corpi dei ragazzi stesi a terra nel cortile del castello.
I quasi settecento studenti del Leardi, e anche alcuni insegnanti, si sono coricati sull’acciottolato per misurare la superficie dei morti d’amianto: 700 moltiplicato per 2, perché le vittime sono 1400 e più.
Supini, quasi tutti con le magliette nere e gambe jeansate. Uno appiccicato all’altro a formare una distesa. E, sopra alcuni, erano appoggiate le bandiere, proprio come quelle che si posano sui sepolcri degli eroi. Dopo il saluto del vicesindaco Beppe Filiberti, portavoce della municipalità che ha concesso il castello per la performance, mentre anche la vicepresidente del Consiglio comunale Maria Merlo si stendeva a terra, il professor Mauro Bonelli nel megafono ha richiamato al silenzio. Tutti muti. «Non-muo-ve-te-vi». Immobili. «Conto fino a cinque» e poi… tutti in piedi, con le mani alzate, le urla vive e le bandiere sventolate perché non è per la morte che si fa tutto questo, ma è per ribadire cocciutamente che si difende la vita.
Si ripete la performance, la prima è stata una sorta di prova generale. Tutti di nuovo a terra supini, silenzio, metà cortile all’ombra e metà al sole. «Avete portato i cappellini?» domanda il professore. Resistono. «Uno, due … cinque» e via di nuovo con le mani alzate. Su un lato del cortile un nutrito gruppo di Famigliari Vittime Amianto solleva il lungo striscione, simbolo di tante battaglie.
In tutto, la performance dura una decina di minuti. A renderla immortale gli scatti dei fotografi. A futura memoria. Ma a renderla eterna, più dell’Eternit, il solco di sensibilità che ha scavato nell’anima di questi ragazzi. Ha urlato nel microfono Romana Blasotti Pavesi, presidente dell’Associazione Famigliari Vittime: «Noi siamo i nonni che lottano ancora, ma voi siete il nostro futuro».