RECENSIONE di
SERGIO SALVI
«L’album dei sogni» di Luigi Garlando, edito da Mondadori, prima edizione ottobre 2021 pp. 521.
In una frase: romanzo famigliare, ricco di storie avvincenti e ben raccontate.
La narrazione si svolge in un arco temporale che va dal maggio del 1916 fino all’ottobre del 1988; i protagonisti sono i componenti di un “ramo” della famiglia Panini, e cioè Antonio Panini, classe 1897, sua moglie Olga e i loro otto figli: Veronica, Norma, Maria Luisa, Giuseppe, Edda, Benito, Umberto e Franco. L’evento più importante, amalgamato indissolubilmente con le vicende personali di Olga e dei suoi figli, è la nascita, lo straordinario successo e lo sviluppo dell’attività di produzione e distribuzione degli album di collezione delle figurine dei calciatori, cosa che ha reso noto il nome “Panini” in gran parte del mondo.
Il romanzo è diviso in tre parti. La prima termina il 6 gennaio 1945 con l’acquisto da parte di Olga e dei figli (Antonio, appena quarantaquattrenne era morto, il 9 novembre 1941) di un’edicola a Modena, in corso Duomo.
Antonio Panini aveva combattuto nella guerra ’15-‘18 in fanteria, poi aveva fatto domanda di essere trasferito in aeronautica, per l’insopprimibile passione anzi, vocazione, verso qualsiasi tipo di marchingegno meccanico (il padre di Antonio, che portava lo stesso nome di questo suo tredicesimo figlio, era una specie di meccanico/inventore).
L’istruttore di volo di Antonio sarà il capitano Natale Palli, il noto casalese asso dell’aria (insieme a D’Annunzio nel celebre volo su Vienna del 19 agosto 1918). Il brevetto da pilota, conseguito da Antonio Panini il 28 settembre 1918, mentre la Grande Guerra stava, finalmente, sfumando, non sarà utilizzato per sparare a nessuno.
L’Italia aveva “sconfitto l’Impero Austroungarico, ma non la fame” (p. 52) Antonio e Olga, sposatisi nell’agosto del 1920, in dieci anni avevano avuto otto figli e le condizioni della famiglia erano a dir poco precarie. “Antonio non ha la furbizia del commerciante, il pelo sullo stomaco dell’affarista, l’ostinazione paziente per far crescere una nuova attività … è un aviatore che ha bisogno di volare da un’occupazione all’altra per non annoiarsi”. (p.56).
Ai richiami di Olga, solida e pratica madre di famiglia, Antonio “atterra”, impiegandosi presso l’Accademia Militare di Modena, con mansioni di “famiglio”, vale a dire “servire ai tavoli, aiutare in cucina” e “deve badare alla caldaia a vapore, che sbuffa, romba, promette un decollo, ma resta inesorabilmente inchiodata a terra, lontana dalle nuvole” (p. 57).
Grazie al salario sicuro del capofamiglia, i Panini possono permettersi di affittare mezzo appartamento in città, l’altra metà è infatti abitata da un’altra famiglia. Il bagno è nella porzione “Panini”; “ovviamente anche gli altri hanno diritto di usarlo”, puntualizza il padrone di casa (avvocato Ramazzini, alto, magro, un Abramo Lincoln modenese), al quale Antonio ha nascosto il vero numero dei figli, dichiarando “solo” tre femmine e un maschio. Uno stratagemma che si scioglie dopo poche settimane, durante le quali i quattro figli “non dichiarati” erano ospitati per la notte da parenti di Modena e di giorno andavano a trovare “gli amici Panini” nel mezzo appartamento famigliare.
E’ un sabato di primavera del 1936 un giorno “di quelli che metterebbero voglia di correre anche a uno spaventapasseri” (p. 60). I quattro fratellini maschi giocano, dalle risate alla lite il passo è breve, urla, fuga con inseguimento per le scale a incocciare la figura austera del padrone di casa.
L’avvocato freme di rabbia, aspetta il rientro di Antonio per apostrofarlo: “Lei mi ha mentito! Traditore!” e al tentativo di spiegazioni da parte dell’inquilino grida: “Lei non deve spiegare nulla! Lei deve raccogliere i suoi stracci e andarsene dalla mia casa prima di notte!”.
Le urla hanno richiamato gli inquilini alle finestre, anche Olga, i figli sono al riparo dietro di lei. Antonio, con calma, dice: “Le propongo un’altra soluzione, signor Ramazzini. Salgo e ne uccido quattro, così i conti tornano”.
“Non si capisce se, a dispetto dell’aria funerea, l’avvocato disponga di un insospettato senso dell’umorismo. Oppure se, più semplicemente, abbia colto negli occhi del suo affittuario la disperazione di un padre costretto a nascondere i figli per riuscire a mantenerli. Fatto sta che l’avvocato accenna un sorriso e si allontana senza aggiungere altro, dopo aver augurato la buona sera.” (p.62)
Nell’estate del 1941 Antonio si ammala; non guarirà. Prima che il cancro lo uccida lascia ai figli una raccomandazione: “La testa. Usate sempre la testa e non sarete mai servi di nessuno”, a tu per tu con Giuseppe, il più grande dei figli maschi, apprendista in un’azienda meccanica, gli sussurra: “Quando scattano i sedici anni, ti dovranno dare l’aumento. Ricordatelo”. E poi: “Da stasera a cena ti siedi a capotavola”. La morte arriva il 9 novembre, è anche il sedicesimo compleanno di Giuseppe Panini che riceve in dono dal dolore la responsabilità della famiglia: è lui ora il più anziano dei maschi. Paga di tasca sua le spese del funerale”. (p.80).
Dicembre del 1944, Olga continua ad abitare con gli otto figli il “mezzo” alloggio, miracolosamente salvo dai bombardamenti; è donna tanto pragmatica quanto intuitiva: si presenta l’opportunità di acquistare un’edicola al centro di Modena, ed è lei a convincere i figli riluttanti (specialmente Giuseppe) che occorre fare il sacrificio e rilevare l’attività. La guerra finirà presto e molte cose cambieranno e poi “Un’edicola non ha padroni” proprio ciò che avrebbe voluto Antonio per i figli
Belle parole, ma la realtà è dura: “In effetti, per ora, l’edicola è uno sgabuzzino striminzito, vuoto e sporco, con un banchetto di legno malmesso.” (p. 112). “In quei primi giorni di edicola si contano più raid aerei che copie vendute. Le monete nella scatola metallica sono sassolini sul fondo di un oceano.” (p.113).
Modena fu bombardata per l’ultima volta il 18 aprile 1945; quattro giorni dopo fu liberata. Con il dopoguerra e le tensioni ideologiche di quel nervosissimo periodo, il lavoro dell’edicolante assumeva un rilievo politico non secondario. Olga aveva un motto: “Io non voglio fare politica, io voglio vendere”, quindi presso l’edicola dei Panini si trovavano anche pubblicazioni ignorate da quasi tutte le altre edicole di Modena, come “Candido” e “l’Uomo qualunque”. E’ un comportamento coraggioso, nel clima dell’epoca erano tuttavia in molti a considerarlo provocatorio. Così tre uomini si presentano all’edicola, un giorno che Olga non c’è, “di sevizio” sono Umberto e Franco, 15 e 14 anni. I tre si prendono tutte le copie de “L’Uomo qualunque” e “Candido”, Franco vorrebbe fare il conto ma uno dei tre dice: “Non serve, non li compriamo, li bruciamo”. I giovani Panini, a casa, raccontano il fatto a Giuseppe, che dal settembre 1943 era andato con i partigiani. Giuseppe è chiaro: “I libri in piazza li bruciavano già quelli di prima, non ci siamo liberati per dare fuoco alle idee degli altri. Tenetevi pronti e non dite niente alla mamma” (p. 120).
Giuseppe, informato di una nuova “spedizione di sequestro dei giornali reazionari”, consegna a ciascuno dei tre fratelli un bastone e i quattro ragazzi si dispongono a protezione dell’edicola. “E così che li trova Olga quando sbuca dalla penombra dei portici. Strappa i randelli a ciascuno dei figli e li scaraventa all’interno dell’edicola: “Andate a casa. Subito. Qui resto io. La legna serve a far fuoco. Non si spreca. E la guerra è finita” (p. 120).
Giuseppe è soprannominato dai fratelli “Il Vecio”, Benito “gode” di più soprannomi, uno è “Tullio”, forse perché l’originale “Tirabusciùn” (cavatappi, a causa delle orecchie a sventola) è troppo lungo da pronunciare, Umberto sarà il “Biàtta”, (parola che indica genericamente un utensile da officina), a sottolineare la sua passione e dedizione per la meccanica. Franco, il più piccolo, diventerà “Uellas”, la traduzione in dialetto modenese di Wallace, perche appassionato, fin da ragazzo, dei gialli di Edgar Wallace. Tra le femmine l’unica a meritarsi soprannomi ufficiali è Maria Luisa, la terzogenita, chiamata in famiglia “Napoleon” o “Diopèder” (Dio Padre, roba da niente!).
La seconda parte del romanzo è il racconto del passaggio all’età adulta dei fratelli Panini, dei loro amori, dei successi, dei tanti lavori fatti e dei sogni inseguiti, a volte realizzati, a volte sfumati per poco. Tra molte vicende curiose e divertenti, sono narrate anche difficoltà drammatiche, come la malattia di Giuseppe: una tubercolosi osteoarticolare che lo costringerà a indossare un busto metallico, e lo porterà a scegliere di sottoporsi a un rischioso intervento chirurgico, per tentare di guarire, e la fortuna lo premierà.
Un intrecciarsi di grandi scelte, come quella di Umberto che emigrerà in Venezuela, dove farà fortuna come eccezionale manutentore meccanico, e di semplici storie quotidiane, con l’edicola a fare da sfondo, in essa lavora Olga a tempo pieno, appoggiandosi soprattutto a Benito; gli altri danno una mano quando possono.
Il lettore è coinvolto in una rappresentazione corale, che sembra fatta apposta per lanciare la grande svolta: la confezione e distribuzione delle figurine dei calciatori del campionato italiano di Serie A. E’ il 1960, Giuseppe acquista da una casa editrice milanese, a prezzo molto vantaggioso, una gran quantità di figurine dei calciatori del campionato 1960/1961 rimaste invendute. Saranno imbustate da tutta la “tribù”, nipoti compresi, e rivendute a un prezzo competitivo, il successo è di proporzioni inaspettate. “Ma allora abbiamo fatto goal. E’ stupendo!” gioisce Franco.
Forte del primo risultato Giuseppe propone ai fratelli di diventare editori in proprio, nascerà così il primo vero e proprio “Album delle figurine Panini” quello dei calciatori e delle squadre che partecipano al campionato italiano di Serie A 1961/1962, un successo ancora più grande.
La terza parte del romanzo comincia con l’uscita dell’album delle figurine del campionato 1963/1964; la collezione di Pizzaballa, uno dei tormentoni più curiosi del mondo del collezionismo.
La figurina dell’allora portiere dell’Atalanta, Pierluigi Pizzaballa (ottimo nel suo ruolo, giocò anche per Roma, Verona e Milan), divenne celeberrima perché introvabile. Sembrava non fosse stata stampata apposta per alimentare l’interesse, tutti la cercavano. Un vero e proprio enigma, di banale soluzione: quando il fotografo era andato a fare le foto ai calciatori dell’Atalanta, Pizzaballa non c’era perché infortunato: “La figurina è stata stampata con mesi di ritardo e sta entrando in commercio solo ora. L’anno trovata in pochi”. (p. 348).
L’autore ripercorre l’impressionante crescita della Panini, un’azienda famigliare in tutto e per tutto, o meglio, una famiglia che si è dedicata all’azienda con la voglia e il gusto di essere tutti insieme a portare avanti l’attività, ciascuno con i compiti ben definiti, con discussioni e punti di vista diversi, e la capacità di trovare, sempre, una sintesi. “La trasparenza è il nostro orgoglio, certifichiamo il bilancio dal 1971, quando era obbligatorio solo per le società quotate in borsa. Nell’81 abbiamo certificato il primo bilancio consolidato, insieme alla Fiat” (p. 515). Si incrementa il giro d’affari, le dimensioni aziendali lievitano, l’organizzazione è sempre più complessa … e gli anni passano.
Nel 1986 muore Benito, il 13 febbraio 1987 Olga, “La coccoina di una famiglia intera, la figurina più preziosa dell’album dei sogni” (p. 510).
Queste due perdite, più ancora di altre pur ovvie considerazioni, sembrano motivare la cessione dell’azienda, formalizzata il 15 ottobre 1988, e la contemporanea uscita dal capitale sociale dei tre fratelli: “Siamo entrati insieme, usciremo insieme”, così ha stabilito “Il Vecio”.
Franco Panini terrà per sé la “Divisione libri”, da lui stesso costituita alla fine degli anni ’70, che diventerà la ben nota casa editrice Franco Cosimo Panini.
Finale: con le figurine ci ho giocato, pur senza averle mai collezionate, per me “Panini” non aveva nulla di mitico; grazie a questo piacevolissimo libro che consiglio di cuore, a tutti, ho scoperto una storia, anzi, una serie di storie divertenti e incoraggianti e in questo periodo storico c’è bisogno di coraggio. I protagonisti del romanzo si distinguono anche per un’incrollabile voglia di “fare”, di realizzare, di ripartire sempre dopo aver sbagliato, o dopo aver perso, davvero un bell’esempio.