Rossella Angelino, già cancelliera in tribunale, prima a Casale Monferrato, poi a Vercelli, è morta improvvisamente sabato 30 marzo. Il rosario sarà recitato martedì 2 aprile alle ore 20,30 nella parrocchiale di san Grato a Penango, paese dove da alcuni anni si era trasferita. Il funerale si terrà mercoledì 3 aprile alle ore 15 nella parrocchia dell’Addolorata, a Casale Monferrato. Lascia il marito Daniele Rampi e i figli Alessandro e Valentina, la mamma e la sorella Laura.
SILVANA MOSSANO
La Lella amava le viole. Quelle violette che i bambini disegnano con due petali in su e tre petali in giù, attorno a un cuore rotondo e giallo al centro. Proprio quelle che crescono a ciuffi, sotto l’influsso dei primi tiepidi raggi di sole sul finire dell’inverno e l’inizio di primavera. O che sono così tenaci da spuntar fuori addirittura tra fessure di cemento.
A proposito di violette, ricordo che, quando eravamo compagne di liceo – Scientifico Palli di Casale Monferrato, sezione B, quinquennio 1971/1976 – , ammiravo un completo di maglia, casacca e gonna, di quel colore, che esaltava la sua figura longilinea.
Era, quello, un tempo in cui la spensieratezza (pur se già, in qualcuno, profondamente scossa…) era ritenuta scontata. Come se ci spettasse di diritto.
Oggi, che di tempo ne è passato mezzo secolo… così in fretta!…, sono sconvolta dal dolore. La Lella è morta la vigilia di Pasqua. Colpa di un aneurisma che le ha squassato il petto.
Rossella Angelino [in foto grande, con il cappello], dopo il liceo scientifico, si era laureata in Giurisprudenza. Era stata insegnante, prima di superare il concorso per il ruolo di cancelliere, ricoperto per molti anni nel tribunale di Casale e, poi, a Vercelli dopo la revisione delle sedi giudiziarie che aveva portato alla soppressione di quella casalese. Ha svolto la sua professione con molto rigore, fino al 2016.
Ecco, capita così: dopo gli anni della spensieratezza, si cresce, chi imbocca una via, chi un’altra, e, per imperscrutabili venture, talvolta ci si ritrova allo stesso crocevia.
E noi ci siamo reincontrate e frequentate perché, pur per professioni diverse, nel Palazzo di giustizia lei appunto svolgeva la sua mansione di cancelliere, io bazzicavo procura e tribunale per scrivere articoli di cronaca.
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Ora, dire che le piacevano le violette è riduttivo. In realtà, amava ogni filo d’erba, ogni gemma, ogni bulbo, ogni ramo che la terra sia in grado di generare. E se la terra faceva fatica, lei le dava tutto il sostegno possibile, parlandole pure a tu per tu, per spronarla ad assecondare la sua vocazione di sorgente di vita (come quando «convinse» il pesco a fiorire, per scongiurare l’accetta del giardiniere che lo dava per sterile e improduttivo!).
Nel palazzo del tribunale in piazza Bernotti era diffusa la sua «impronta»: tutti i corridoi straripavano della vegetazione che lei curava, anche soltanto con lo sguardo al passaggio oltre che con lo spruzzino. Un vaso dopo l’altro, sembrava di passare sotto un’allea. Alcune piante arrivavano a sfiorare i pur alti soffitti.
E quando, nel complesso di Santa Chiara, fu allestita la sede dei giudici di pace, Rossella Angelino si batté con tenacia perché il chiostro al centro non venisse spianato in un parcheggio, ma fosse attrezzato ad area verde. Vinse la battaglia. Avevo preso a chiamarlo il «giardino della Lella». E sarebbe bello, ora, intitolarlo al suo nome.
Ma il più bel giardino è quello che ha immaginato, desiderato e realizzato a Penango. Un sogno immenso ben delineato nella sua mente, e progettato in crescendo con sapienza e intelligenza, un riquadro di terra dopo l’altro, con fonti d’acqua agganciate alla luce del sole per generare energia pulita, e un caleidoscopio di colori armonicamente accostati per rasserenare l’animo e la mente, e compiacere l’olfatto.
La dimora di Penango è il contrario di una casa con il verde intorno: è, invece, un giardino fantastico – protagonista – con una casetta al centro. Una casetta delicata e luminosa, con i mobili chiari, i ricami, le vecchie cornici appese al muro con le foto di famiglia, gli stencil floreali, le tendine vezzose, la poltrona dormeuse su un lato del soggiorno… «il suo posto». Ogni angolo pensato per una utilità armonica.
Il «fuori», invece, non pone limiti allo spazio, è esuberante di vita, con combinazioni erboree fantasiose e mai statiche. E protetto con riserbo, con accesso privilegiato a chi la Lella sentiva affine per sentimenti e interessi. Come i soci della Orticola Casalese, che aveva orgogliosamente ospitato, qualche tempo fa, per mostrare, in particolare, la fioritura degli iris.
Nel «giardino con la casetta al centro», Rossella e Daniele, a settembre, avrebbero festeggiato i cinquant’anni di vita condivisa. Avevano cominciato a prendersi per mano quando erano poco più che adolescenti. Poi si sono sposati e hanno avuto due figli: Alessandro e Valentina. Lui, Daniele Rampi, la carriera nel mondo bancario. Lei, appunto, in ambito giudiziario.
«Siamo stati fortunati» si dicevano, quasi sottovoce, per non dar nell’occhio al Destino, e custodivano quella «fortuna» gelosamente. Lei, un giorno in cui si parlava di questo & quello, mi disse: «Se il Dani non fosse stato così onesto, non so se mi sarei innamorata di lui». Un amore profondo reciproco. E lui ora confida: «Non avevo occhi che per lei».
Sabato mattina, Lella stava preparando il pranzo di Pasqua. Preferiva di gran lunga i fiori ai fornelli, ma sapeva farci pure in cucina (anche se «il risotto buono come lo fa il Dani io non sono capace a farlo»). E, intorno alle 10, aveva incontrato un tecnico per concordare come posizionare le reti antigrandine.
Poi il male al petto. La telefonata: «Non sto bene».
Il 118 arrivato in brevissimo tempo, e l’elettrocardiogramma che non dava segni nefasti, e tuttavia le perplessità del medico, e la corsa al Pronto Soccorso dell’ospedale di Asti. E le ore passano veloci, e gli arresti cardiaci, prima uno, poi un secondo, e ti riagguanto, perdio, vita, se ti riagguanto! C’è ancora tanto da fare, e questa è la stagione che genera, che rinasce, che butta fuori i germogli.
Ma proprio alle 2 di quel pomeriggio infausto si doveva fermare?
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A metà maggio di due anni fa, Rossella aveva vinto il primo premio ex aequo del concorso «Madamin, che bel caplìn» a Ponzano. Le piaceva indossare copricapi vezzosi e originali. E’ di colore rosso il cappellino scelto per questo ultimo viaggio.
Ma con la zappetta e le mani sporche di terra, la Lella, c’è da giurarci, rimane a Penango, nel suo fantastico giardino che abbraccia una casetta.
Hai descritto meravigliosamente Rossella e tutto quello di cui si era circondata. Quando il marzo scorso era venuta a Breme a trovarci, non oso pensare il suo pensiero quando aveva visto il nostro prato sostituto da una distesa di ghiaia, messa per utilità in quanto non ci sentivamo più in grado di gestirlo, lei ci sarebbe riuscita certamente. Ricordo ancora quando ad Aprile siamo andati io e mio marito a trovare Rossella e Daniele a Penango ricordo i suoi occhi pieni di gioia nel mostrarci tutti i suoi fiori e descriverci i loro progetti. Maledetto destino. Ciao Rossella troverai certamente un giardino in cielo da curare