La «Recensione del Sabato»
di SERGIO SALVI
«Il re e il suo giullare – L‘autobiografia di Enrico VIII annotata dal buffone di corte Will Somers». Autore: Margaret George, traduzione di Roberta Rambelli edito da TEA su licenza Longanesi, pubblicato nel 1986 prima edizione TEA 1995, prima edizione «I Grandi» TEA novembre 2010, terza ristampa novembre 2014 pp. 944.
In una frase: magnifico esempio di storia romanzata.
«Enrico VIII era un uomo grasso, enorme, ipersessuato, molto maleducato a tavola, che ebbe otto mogli, le uccise tutte e morì di sifilide» (p.941). L’autrice riferisce che questa era «più o meno» l’opinione espressa dai suoi amici e conoscenti da lei interpellati nell’accingersi a sviluppare un’opera ponderosa ed emozionante.
Si tratta di un’autobiografia immaginaria, un vero e proprio romanzo quindi, fondato tuttavia su approfonditi studi, ricerche e analisi storiche; un lavoro che ha richiesto ben 15 anni di tempo per essere portato a compimento. Trovo che il risultato sia eccellente, sia dal punto di vista dei «fatti» raccontati, sia dal punto di vista letterario.
Precisiamo: la classificazione di Enrico VIII Tudor (1491-1547) tra i «cattivi» della Storia viene discussa e non capovolta da questo libro; tuttavia il lettore si sente raccontare, a tratti confessare, dal protagonista le emozioni, i desideri, le frustrazioni e le speranze di un uomo che ha regnato per ben 38 anni (dal 1509 al 1547) in un’Inghilterra ancora scossa dalle nefaste conseguenze della «Guerra delle due rose». Ricorrente e ossessiva priorità del monarca, condivisa dal popolo inglese, era la nascita di un erede maschio, meglio almeno due, per avere la possibilità di un eventuale ricambio nella linea di successione. Nei suoi trentotto anni di regno, Enrico si sposò sei volte, fece condannare per alto tradimento e decapitare due delle sue mogli; delle altre, una morì in stato di prigionia, un matrimonio fu fatto annullare, ma alla consorte ripudiata fu riconosciuto il titolo di «sorella del re!». Le amanti «riconosciute» e «confessate» furono due, entrambe non morirono di morte violenta, né furono imprigionate, entrambe resero il re padre. Lo scisma religioso e la conseguente nascita della Chiesa Anglicana si realizzò gradualmente: il re pretendeva il riconoscimento dal Papa dell’annullamento delle sue prime nozze e le trattative con la Santa Sede durarono sei anni, ma fallirono. Ricevuta la scomunica papale, il sovrano si fece riconoscere dal Parlamento inglese «Unico capo della Chiesa d’Inghilterra», voleva infatti essere il capo di una chiesa cattolica … senza il Papa, e non un protestante.
La macroscopica contraddizione (in questo caso di natura teologica) è emblematica ed è il tratto fondamentale del carattere del personaggio: si manifesta continuamente, nei confronti delle mogli, dei figli, dei ministri e cortigiani, con una sola eccezione, che è bello e commovente scoprire leggendo il romanzo.
Altre caratteristiche personali importanti del sovrano sono la sua bellezza e prestanza fisica, destinate però a decadere in modo drammatico, l’elevato grado di istruzione, la sensibilità artistica e la notevole predisposizione per la musica, strumentista, danzatore, e anche compositore.
Enrico VIII comincia a raccontare la sua vita quando è, e si sente, «vecchio» per l’epoca (suo padre, il re Enrico VII, era morto di malattia a 52 anni); compila un resoconto cronologico, una sorta di «diario dei ricordi», che inizia così: «Ieri uno sciocco mi ha chiesto qual era il mio primo ricordo. Si aspettava che mi lanciassi beatamente nelle reminiscenze sentimentali dell’infanzia, come amano fare i vecchi rimbambiti. E’ rimasto molto sorpreso quando gli ho ordinato di allontanarsi dalla mia presenza. Ma ormai il danno era fatto; e non potevo ordinare con la stessa facilità al pensiero di allontanarsi dalla mia mente. Qual era il mio primo ricordo? Qualunque fosse non era piacevole. Di questo sono sicuro». (p. 21).
Il primo ricordo fissato nella memoria di Enrico VIII è un dialogo su di lui tra suo padre, il re Enrico VII, e un consigliere della Corona. Il re disse: «E’ soltanto il maschio secondogenito. Pregate Dio che non ci sia mai bisogno di lui. Se dovesse diventare re…». Il consigliere, che sapeva quanto il re stimasse il figlio primogenito Arturo, rispose: «Questo non avverrà, abbiamo Arturo, che sarà un buon re …», Enrico VIII annota: «”Arturo secondo” mormorò mio padre con aria sognante “Sì, sarà un grande giorno”». (p.24).
Il destino del piccolo Enrico era quello di diventare prete: «Io, il secondo figlio maschio, dovevo essere un ecclesiastico e dedicare le mie energie al servizio di Dio, non al tentativo di usurpare il posto di mio fratello. Quindi, dall’età di quattro anni, ricevetti insegnamenti liturgici da una serie di preti dagli occhi tristi». (p. 25).
Ma il principe ereditario Arturo morì a 15 anni, e così il figlio cadetto divenne l’erede al trono.
L’autrice Margaret George, per lunghi tratti del romanzo, coinvolge il lettore nei pensieri più profondi e nelle emozioni del personaggio, in modo così credibile che mi è venuto naturale il parallelo con «David Copperfield» di Charles Dickens, un capolavoro tra i romanzi autobiografici.
E il giullare? Perché questo personaggio è così importante da meritare un richiamo nel titolo? Nella finzione romanzesca Will Somers il buffone di corte, trascorsi oramai 10 anni dalla dipartita di Enrico VIII, e sentendo l’approssimarsi della sua morte, decide di inviare a una figlia (illegittima) del re defunto il manoscritto autobiografico di cui si era impossessato nelle cupe ore successive al decesso del sovrano: «Uscii dalla camera del morto tenendo il diario sotto il braccio. Nell’adiacente sala privata gli altri consiglieri e cortigiani attendevano di avere notizie, di sapere dov’era l’anima del re. No, per la verità non si curavano di dove fosse la sua anima, ma solo di dov’erano il suo testamento, il suo oro, il suo erede. Tuttavia era stato un buon regno; e, a parte i cortigiani, il popolo era addolorato per la sua morte. S’era comportato bene con tutti, tranne che con sé stesso». (p.928)
Will non si limita a chiosare il «diario» con il racconto della morte e delle esequie di Enrico VIII. Egli postilla infatti molte delle pagine scritte dallo stesso re: puntualizzazioni, chiarimenti, talvolta commenti cinici e irriverenti, tipici del ruolo di buffone, eppure prevale la sfumatura d’affetto verso un uomo che egli giudica «d’un sentimentalismo incorreggibile». (p. 9).
Finale: tante, davvero tante storie interessanti e curiose, raccontate in modo scorrevole e accattivante. Oltre all’introspezione del personaggio principale, è anche molto efficace l’illustrazione dei meccanismi che regolano i rapporti degli uomini con il «potere» nelle varie fasi della sua evoluzione: anelito, formazione, conquista, gestione, decadenza. Monarchi, ministri, ambasciatori cortigiani, servi, buffoni. Su questo ultimo aspetto di natura sociologica le analogie con l’attualità sono così numerose e puntuali da rendere questo romanzo quasi un manuale di studio, valido in tutti i contesti organizzativi: sono cambiati i modi e gli strumenti, le pulsioni e le ambizioni sono sempre le stesse, come il buffone Will non mancherebbe di sottolineare, con un ghigno amaro.
A proposito di Will: un plauso è dovuto all’intuizione dell’editore italiano del romanzo che ha deciso di mettere alla ribalta il buffone già nel titolo e nel sottotitolo; il titolo originale è infatti più scarno «The Autobiography of Henry VIII», la versione italiana dà un’idea meno seriosa del volume, e, a mio avviso, rende meglio giustizia allo spirito dell’opera.