RECENSIONE di
SERGIO SALVI
“Oro puro”, autore Fabio Genovesi pubblicato da Mondadori, prima edizione giugno 2023, pp. 437.
In una frase: un bellissimo viaggio, per scoprire cose antiche, cose nuove, cose eterne.
Apprezzavo Fabio Genovesi per la sua attività di commentatore televisivo durante le tappe del Giro d’Italia, e mi aveva colpito la sua capacità di raccontare, in modo semplice e accattivante, i fatti storici le curiosità e i personaggi legati ai territori attraversati dalla competizione.
Mentre leggevo “Oro puro”, spesso le parole del testo mi risuonavano nella mente come se fossero pronunciate dalla voce stessa di Genovesi; lo stile dello scrittore è infatti coerente con quello delle sue performances ai microfoni RAI: chi lo ascolta, e lo legge, si sente coinvolto da una persona che ha il piacere di condividere storie, avventure, e, perché no, riflessioni profonde.
Spagna, 3 agosto del 1492, Andalusia, porto di Palos: è appena scaduto il termine del decreto reale, del 31 marzo precedente, con il quale i monarchi Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona avevano imposto che entro il 31 luglio tutti gli ebrei del regno non convertiti al cristianesimo avrebbero dovuto abbandonare la Spagna, liquidando case e averi, oppure sarebbero stati uccisi.
I reali avevano concesso una breve proroga, una decina di giorni, e così al porto c’è una ressa di persone: “Così tante e appiccicate che sembrava la folla alla fiera di San Giorgio, ma alla fiera c’erano banchi di roba da mangiare e gente che suonava e ballava e beveva e rideva. Qua tutti grigi e zitti, occhi bassi e fissi, schiene curve sotto la roba in spalla, animali sfiniti alla corda, bambini per mano. Sudati sfiancati e sudici, mescolati da questa corrente che li aveva raccattati in posti nel mezzo della Spagna … per arrivare devastati fino a qui, dove il loro viaggio cominciava davvero … tutti avevano infatti il fiocco al petto …”. (p. 23).
Il fiocco, di colore giallo, il contrassegno che gli ebrei dovevano obbligatoriamente portare in bella vista, per poter essere facilmente riconosciuti “e anche se la polvere e lo sporco scurivano il giallo la gente dalle botteghe e lungo la strada li riconosceva lo stesso, e li insultava … “(p.23).
A questa folla si aggrega Nuno, protagonista principale del romanzo e voce narrante, anche lui deve portare il fiocco giallo: “Mi chiamo Nuno, e oggi ho tanti anni ma una volta molti meno. Ero un ragazzino con un nome strano, ma non era un problema perché gli altri ragazzi mi chiamavano solo Figlio di Puttana. Però si sbagliavano, la puttana era mia zia Blanca, la mamma ha smesso quando sono nato io”. (p.11).
La madre di Nuno, che, a differenza della sorella ed ex collega Blanca, non si era voluta convertire al cristianesimo, aveva imparato a scrivere da un vecchio signore portoghese, lo scrivano che lavorava per i marinai del porto di Palos e stava diventando cieco.
Quello scrivano si chiamava Nuno, così, la giovane donna, non avendo altro per contraccambiare il dono prezioso che le aveva fatto insegnandole a scrivere, aveva voluto rendergli omaggio dando al suo bambino quello stesso nome, e aveva anche fortissimamente voluto che il piccolo Nuno imparasse a scrivere, come lei.
“Era diventata bravissima la mamma, la cercavano tutti, e i marinai viaggiavano tra la Grecia e l’Egitto e l’Italia e l’Oriente, ma per le loro lettere aspettavano di fermarsi a Palos, dove c’era la Vedova … la chiamavano così perché vestiva sempre di nero … o anche la Gallega, che è un altro modo per dire puttana”. (p.13).
Il 3 agosto 1492: “… ero uscito di casa prima dell’alba. Avevo sedici anni e mezzo, un sacco quasi vuoto in spalla, il mare e il cielo e una vita davanti, ma a ogni passo morivo.
Perché tanti pensano che la cosa più triste sia andarsene per sempre e dire addio alle persone che ami, ma è molto peggio voltarti indietro, un attimo prima di sparire, e non avere nessuno da salutare.
La mamma infatti se n’era andata prima di me, ormai da un anno … e io e la zia… stavamo chiusi in casa, sempre insieme, perché la mamma ci mancava in un modo così assurdo e feroce che in tutto il mondo la sola che poteva capirmi era la zia, e io lei … per questo è stato ancor più doloroso andarmene … ero scappato di nascosto, per sempre … addio alla zia, alla nostra casetta, al giardino dietro, alla mamma, a ogni cosa che avevo visto e toccato e usato con loro, a un pezzo assai grande di me.
E tutto per un minuscolo fiocchetto giallo”. (p.15).
Finalmente è arrivato anche per Nuno il momento di salire su una delle barche per il trasbordo su una delle tante navi in attesa nella rada, e qui, proprio sul molo di imbarco viene apostrofato: “Oh, i soldi?” (p. 24).
“E io ancora oggi me ne vergogno, ma per un istante, un istante corto e scemo, ho pensato che mi avessero chiesto se volevo qualche moneta, perché partire senza un soldo era una follia. Ma la realtà era ancora più folle: il fiume di persone strappate dalla loro terra e dalle loro case, obbligate a lasciare tutto e andarsene per sempre chissà dove, questo viaggio infernale se lo dovevano pure pagare”. (p. 24/25).
Nuno non ha denaro; viene brutalmente cacciato dalla fila degli esiliati e resta a guardare gli altri che tirano fuori le monete e salgono a bordo, ignari di ciò che li attende: “… a qualche passo da me c’erano un paio di pescatori anziani, guardavano la scena con le reti in mano, e uno ha detto all’altro che certe navi partivano e il giorno dopo erano già di ritorno, vuote e pronte a caricare ancora …esci in mare aperto, butti giù tutti quanti, ed ecco che sei pronto per un altro viaggio”. (p. 25/26).
Nuno è spaventato e smarrito, si toglie il fiocco giallo dal petto e si allontana dalla banchina, cammina verso la piazzetta davanti al porto, il luogo “dove ero cresciuto insieme alla mamma. E sorridevo a lei. Perché qualcosa della mamma era rimasto per forza nei muri dei palazzi, nei piastroni della piazza, in quel posto che era stato suo … quel mattino la mia unica idea era parlare con la mamma, anzi ascoltarla, sperando che mi dicesse lei cosa fare … sono arrivato agli scalini di sasso che dal porto salivano alla piazza, e lì mi ha bloccato una voce. Che non era la sua, era grossa e di un uomo, ma chiamava il suo nome: «La Gallega! La Gallega!» urlava il nome con cui chiamavano lei e la zia Blanca, e veniva dalla mia parte, indicava me. «Oh, giovane, scommetto che anche tu cerchi la Gallega eh?».
E io sì, certo che la cercavo. Perché ero matto. Ma lui? … sul suo petto grosso e sudato i peli erano tanti che la camicia gli stava come sospesa intorno, e in mezzo a quella foresta nera si perdeva un crocifisso. «Stai cercando la Gallega, vero?».
«Sì, io … sì, ma come lo sapete?».
«Eh, con quel sacco in spalla, a guardarti intorno. Anche gli altri hanno fatto uguale. Perché cercate tutti la Gallega, ma non si chiama più così. Questo nome a Lui non piace, ha detto che non è rispettoso, allora da oggi la nave di chiama Santa Maria. Però è la Gallega, capito?».
No, non avevo capito. Ma ormai quel mattino mi ero abituato a non capire niente, quindi ho fatto di sì”. (p. 27).
La Santa Maria, sì, proprio “quella” Santa Maria, fin dalle Elementari ci è stato ripetuto: Cristoforo Colombo partì dal porto di Palos, con tre caravelle, La Nina, La Pinta e la Santa Maria che era la nave ammiraglia, anzi era l’unica delle tre imbarcazioni che potesse in qualche modo essere definita “nave”.
Colombo aveva faticato per convincere i reali di Spagna a finanziare la spedizione con la quale era convinto di raggiungere le Indie navigando verso occidente, ossia verso l’ignoto, affrontando quello che veniva definito il Mare Tenebroso.
Era stato difficile anche mettere insieme gli equipaggi (in tutto 90 uomini, per tutte e tre le imbarcazioni), tanto che una buona parte era formata da galeotti, tra i quali non pochi erano i condannati a morte.
“Nessuno sapeva niente di questo viaggio strano. Eppure dove saremmo arrivati, cosa avremmo trovato e cosa stava per succederci, l’avrebbe saputo il mondo intero. Che sarebbe cambiato per sempre. Anzi, quel mattino, venerdì 3 agosto 1492 … il mondo intero ancora non esisteva. Andavamo noi a trovarlo” (p.31).
Finale: imbarcarsi con Nuno verso le Indie è bello, divertente, indimenticabile.
“Oro puro” è un affascinante romanzo di mare, ma le pagine volano!
mi pare interessante ma forse la sintesi presentata è poco sintetica!
Implume ti amico mio
Complimenti amico mio