E’ la settimana della scuola. Si ricomincia. Sono cambiati i tempi, è cambiato il modo con cui si va a scuola (molte auto, anche parcheggiate in doppia, tripla fila… ahimé, molto meno si va a piedi o in bicicletta); zaini al posto delle vecchie cartelle; abbigliamento; impostazione degli orari; le lavagne Lim, interattive, con lo schermo touch screen, invece dei polverosi gessetti che stridono sull’ardesia… C’è, però, qualcosa di immutato: l’emozione e l’euforia alla riapertura di ogni anno scolastico.
Forse è determinata dalla consapevolezza che si ha un anno in più e, quando si è bambini e ragazzi, avere un anno in più significa essere più grandi.
E allora mi unisco al coro augurale: tanti auguri a tutti i bambini e le bambine, ragazze e ragazzi, insegnanti, dirigenti, segretarie e segretari, bidelli e bidelle, tecnici.
Auguri di che cosa? Di imparare a essere felici.
Non voglio dire felici come assenza totale di dolore, sarebbe utopia; e un augurio impossibile che augurio è?
Auguro di imparare a essere felici nel senso di imparare – attraverso lo studio, la lettura, la conoscenza – che cos’è l’equilibrio, che cos’è l’armonia, che cos’è l’attesa, che cos’è la pazienza, il rispetto dato agli altri e preteso per sé stessi.
Imparare a essere felici significa stimolare una competizione sana e costruttiva, che non è rivalità cinica con gli avversari, ma, prima di tutto, anzi, al di sopra di tutto, è competizione con sé stessi. La competizione con sé stessi vuol dire riuscire a raggiungere – utilizzando l’impegno, l’intelligenza, la tenacia, lo sforzo – un risultato desiderato e poter dire «ce l’ho fatta: io sono in grado di farcela, l’ho sperimentato e quindi lo so». E’ una soddisfazione intima che fa scoppiare il cuore.
E, se questa acquisizione di consapevolezza avviene per un compito in classe, per una interrogazione, per una gara sportiva, ancor di più conta di fronte ai numerosi ostacoli che la vita inevitabilmente ci mette sul cammino. Allenarsi attraverso le prove che la scuola pone vuol dire che, quando altre difficoltà (diverse dai compiti o dalle interrogazioni) si presenteranno, sapremo con certezza quali sono le nostre capacità, i nostri limiti e la forza d’animo già verificata. «Se ce l’ho fatta a scuola, ce la posso fare anche adesso!».
L’altro augurio è quello di imparare a usare le parole. Non i mozziconi di parole, formule, slogan, luoghi comuni sbrigativi e tutti uguali, abuso di emoticon, ma le parole belle nella loro pienezza, con le meravigliose sfumature che la tavolozza dei sinonimi ci offre, financo a inventare… perché no?… dei neologismi.
I libri sono un ottimo strumento per imparare a maneggiare le parole. Come diceva la pedagogista Anna Lorenzetto (Roma, 18 aprile 1914 – Grosseto, 25 maggio 2001), in ogni luogo ci deve sempre essere un libro in vista, perché, una volta o l’altra, essendo lì a portata di mano, potrebbe suscitare la tentazione di aprirlo, per scoprire che le parole contengono un potenziale immenso, ineguagliabile, affascinante, rivoluzionario.
Ma vanno maneggiate con rispetto, con attenzione e con riguardo, sempre: quando si fa un articolo o una relazione, quando si scrive un libro, quando si fa un discorso o si difendono le proprie ragioni, quando si compone una canzone o quando si recita su un palcoscenico, quando si racconta una storia a un bambino, o si scrive una lettera o un’email, quando si fa una dichiarazione di amore e financo quando si bisticcia, toh!
Le parole sono strumenti delicati ed esigenti, pretendono rispetto. Se non le si tratta bene, diventano volgari. Se, invece, le si usa con appropriatezza, possono essere rivoluzionarie.
E ci costringono a scegliere da che parte stare.
Non esagero, non esagero per niente.
Con le parole, si può creare o distruggere, suscitare amore o odio, placare le discordie o aizzarle, perseguire la pace o fomentare le guerre, incidere sulla vita o sulla morte.
Le parole, ancor più quando assumono la responsabilità di esprimere verità severe, dure, scomode, se vengono scelte con cura possono invece suscitare comprensione, empatia, fascino, bellezza e ricchezza culturale, etica e spirituale. Possono dare consolazione e coraggio.
E, in modo speciale, le parole sono un segno distintivo di identità.
Siamo individui unici, siete individui unici, opponetevi all’omologazione, difendete la vostra originalità: è un bene prezioso. Non accettate di diventare dei robot. Fatevi amiche le parole, usatele bene!
Buon anno scolastico!
Come sempre il tuo scritto lascia il segno. Che bei ricordi! Tornare a scuola, anche con un po’ di apprensione ma anche curiosità per le novità che avremmo dovuto affrontare. A proposito dell’uso delle parole condivido le tue riflessioni. Mi viene in mente La Civil conversazione:per S. GUAZZO il dialogo con se stessi e con gli altri esprime la caratteristica fondamentale della natura umana, comunicare sentimenti e idee, anche non condivise, ma sapersi confrontare “civilmente”
Grazie Silvana,, trasmetto questo tuo augurio ai miei nipotini ,sono certa che li farà riflettere. Un grande abbraccio!
Un bellissimo augurio, forza ragazzi, cambiate il mondo