SILVANA MOSSANO
MELDOLA
Dieci anni fa, l’allora ministro della salute Renato Balduzzi individuò un gruppo di cinque esperti – Dino Amadori, Silvio Garattini, Benedetto Terracini, Corrado Magnani e Giorgio Scagliotti – affidando loro il compito di indicare il tracciato per dare impulso alla ricerca di una cura del mesotelioma, il cancro causato dall’amianto.
La cosiddetta «chemioterapia standard» era l’unica via praticata e concedeva poco spazio alla speranza. Qualche gruppo di ricercatori provava a studiare alternative, ma i risultati, più che fiducia, instillavano un’illusione di speranza. E, tuttavia, furono utili anche quelli, per coltivare l’idea che non si rimanesse fermi, tanto più che ci è sempre stato ripetuto che, essendo il mesotelioma uno dei cosiddetti «tumori rari», le case farmaceutiche non hanno interesse a investire risorse adeguate nella ricerca.
A parte la discutibile definizione di «tumore raro» attribuita al mesotelioma (che, se lo si diagnosticasse seriamente in tutto il mondo dove l’amianto si è a lungo lavorato e dove abbondantemente lo si impiega ancora, di sicuro il numero dei malati sarebbe tutt’altro che raro), restava il fatto che, allora, la conoscenza della malattia e i tentativi di aggiustamento delle terapie chemioterapiche non spostavano di molto il limitato orizzonte della prognosi infausta.
A distanza di una decina d’anni, ricercatori e medici ci annunciano «l’inizio di una nuova era», aperta dall’immunoterapia, studiata e applicata al mesotelioma pleurico.
Questa apertura di speranza, documentata con dati e con testimonianze di pazienti, è stata presentata in un convegno che si è svolto all’Istituto per la ricerca scientifica e tecnologica di Meldola, intitolato a Dario Amadori, fondatore del centro oncologico emiliano, morto improvvisamente un paio di anni fa. Amadori e i 4 colleghi, investiti da quella grande responsabilità dall’allora ministro Balduzzi, indicarono la via di rigore e scienza che altri ricercatori e medici hanno seguito e incrementato.
Il professor Balduzzi, che ora è presidente dell’Irst di Meldola, si è assunto l’onere di aprire e chiudere i lavori del convegno sul tema «Immunoterapia nel mesotelioma pleurico: l’inizio di una nuova era», sotto la responsabilità scientifica di Luana Calabrò, direttore dell’Oncologia clinica e sperimentale di Immunoterapia e Tumori rari dell’Irst di Meldola, e Federica Grosso, responsabile della Struttura dipartimentale Mesotelioma dell’Azienda ospedaliera di Alessandria e di quella dell’Ospedale S Spirito di Casale. L’evento è stato organizzato dall’associazione TuTor (Tumori Toracici Rari), con il sostegno di Fondazione Buzzi Unicem, Afeva, Fuck Cancer Choir, Vitas, Comune di Meldola, Regione Emilia Romagna, Istituto Dino Amadori e Istituto Oncologico Romagnolo.
In esordio, Balduzzi si è domandato se non fosse stato prudente completare il titolo con un punto di domanda: è l’inizio di una nuova era? Al termine, dopo aver ascoltato gli scienziati che si sono succeduti, si è convinto che, sì, la nuova era è cominciata.
E bisogna dirlo, bisogna che lo sappiano i malati di mesotelioma, i loro famigliari e coloro che, vivendo in zone più a rischio, nutrono il costante timore di ammalarsi: bisogna dirlo, pur con cautela, che ci sono speranze e non soltanto illusioni.
Torna alla mente la fondata previsione del professor Garattini, espressa sulla base della sua vasta esperienza di scienziato: «Quando la ricerca parte, i passi che si compiono sono più celeri, una porta ne apre un’altra e i risultati arrivano più in fretta. E’ già accaduto con le leucemie e con altre forme di tumore». Le sue parole, così autorevoli e ferme, furono già allora un’iniezione di, pur cauta, fiducia.
I farmaci impiegati ora nell’immunoterapia per il mesotelioma pleurico si chiamano «Ipilimumab» e «Nivolumab», somministrati insieme perché creano sinergia tra loro. Rispetto alla chemioterapia tradizionale, «abbiamo qualcosa in più che funziona» hanno annunciato i ricercatori. Funziona in termini di significativo prolungamento della sopravvivenza: in maniera più marcata nei mesoteliomi «non epidelioidi» (cioè bifasici e sarcomatoidi).
«Questo traguardo – ha commentato la dottoressa Calabrò – deriva da anni di lavori e studi, frutto della ricerca indipendente. Quando questi studi producono dati solidi e convincenti, allora anche le case farmaceutiche sono disponibili a investire».
Ci ha investito, in particolare, l’americana Bms (Bristol Myers Squibb), una delle maggiori aziende farmaceutiche al mondo, con centri di ricerca in vari Paesi. Ora la fase di sperimentazione si è conclusa. La dottoressa Grosso sottolinea che con questa terapia è già stata trattata, in «uso compassionevole», anche in una trentina di pazienti della Struttura Mesotelioma di Casale-Alessandria che lei dirige, individuando quelli più idonei a riceverla rispetto alle caratteristiche della malattia.
Adesso si attende il salto importante. «Negli Usa – è stato spiegato al convegno – la Fda, l’ente regolatorio americano, ha dato piena approvazione nel settembre 2020 e, lì, quindi, possono fare l’immunoterapia tutti i pazienti. L’agenzia europea per il farmaco, Ema, ha dato a sua volta approvazione a giugno 2021. Ora deve pronunciarsi l’Aifa (l’Agenzia italiana per il farmaco)». E’ un obbiettivo importantissimo, perché i farmaci sono molto costosi e soltanto con l’autorizzazione dell’Aifa la terapia potrà essere adottata in modo più esteso, continuando a studiarla e a migliorarla, anche negli effetti collaterali che produce, «per lo più gestibili» dicono gli oncologi. Hanno altresì spiegato che i pazienti che hanno dovuto sospendere l’immunoterapia con Ipilimumab e Nivolumab per pesanti effetti collaterali di tossicità sono anche quelli che, sul contrasto al tumore, hanno evidenziato una maggiore efficacia.
Come recita il titolo del convegno è, appunto, iniziata una nuova era, da percorrere e, certo anche da correggere, ma con in mano nuovi strumenti per agire.
E, intanto, il mesotelioma è sempre meno uno sconosciuto: lo si va a misurare con i numeri, attraverso le indagini epidemiologiche («senza i dati, non ci sono azioni»); lo si va a stanare e ad attaccare nel dna e nel suo microambiente circostante che, come si è osservato, tende a creare una barriera resistente alle terapie; lo si prova a colpire con vaccini terapeutici; lo si va a cercare con diagnosi tempestive e lo si affronta con strategie multidisciplinari, che caratterizzano i centri dove la presa in carico dei pazienti con mesotelioma si fa via via più specializzata, completa e puntuale. E, quando si parla di multidisciplinarietà, si includono anche gli aspetti psicologici, che affliggono i pazienti e i loro famigliari, e la tipologia di nutrizione, che migliora e favorisce l’efficacia dei farmaci oncologici.
Tutto questo lavoro, questo sforzo di intelligenza e di tenacia, di umanità e di umiltà marcia verso un traguardo: dare speranza ai pazienti di mesotelioma, prima spacciati. Perché, anche dopo «quella» diagnosi, non gettino la spugna: come Mauro, medico torinese che convive da 10 anni (forse anche di più) con il mesotelioma, coltiva l’orto, sale in montagna a 2000 metri, e conduce una vita normale; come Margherita, che si cura, sta bene, non ha mai spesso di lavorare e, in più, ha cominciato a cantare nel Fuck Cancer Choir, nato per iniziativa della dottoressa Grosso e della biologa Stefania Crivellari, che ne è la direttrice. E la fiducia genera nuove leve di studiosi, come Greta che ha visto morire il nonno del cancro dell’amianto e ora frequenta la facoltà di Medicina.
No, non lasciamoci andare alle illusioni che l’abbiamo imparato bene quanto possono essere nocive, non meno della diagnosi nefasta, ma, ha concluso Balduzzi, «constatiamo che c’è stata una svolta che ci spinge verso una forte speranza».
Nella foto grande, l’apertura del convegno di Meldola, con le responsabili scientifiche Federica Grosso e Luana Calabrò
Purtroppo per coloro che sono andati avanti, è un treno perso.
Questo crea dolore per la scarsa attenzione che si è avuta negli anni.
La speranza ci aiuterà. Grazie come sempre per le informazioni utili per tutti
Auguriamoci che la Ricerca Scientifica trovi la strada e e giusti medicamenti e strumenti per debellare questa bruttissima malattia. Tutto insieme ognuno per il suo piccolo ce la faremo.
Una forte speranza era la cosa che avrei desiderato di più 28 anni fa, quando a mio marito Paolo fu diagnosticato il mesotelioma. Mi sarei accontentata anche di una piccola speranza, che invece mancava del tutto. Ricordo che pensavo che condannati a morte nei regimi assoluti di un tempo avevamo almeno la speranza di ricevere una grazia del sovrano. Mio marito invece non aveva neppure questa.
Leggere adesso che una speranza concreta esiste mi consola, perché vuol dire che tante lacrime, tante parole e gesti e incontri non sono stati invano