RECENSIONE di
SERGIO SALVI
“Titanic – Naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale-” autore Vittorio Emanuele Parsi, pubblicato da Società editrice il Mulino, seconda edizione, 2022 pp. 277 di testo oltre a 61 pagine di riferimenti bibliografici.
In una frase: un saggio completo, accessibile e utile, anzi, utilissimo.
Vittorio Emanuele Parsi (Torino, 1961) è professore ordinario di Relazioni internazionali, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore; oltre a svolgere altri importanti ruoli in ambito accademico, è autore di numerosi volumi, saggi e articoli, attualmente è editorialista de “Il Messaggero” e lo è stato per “La Stampa”, “Avvenire” e “Il Sole 24 Ore”.
“Titanic” è un libro che dà al lettore la possibilità di comprendere meglio le conseguenze sulla nostra vita (qui, oggi) di fatti storici che tutti conosciamo, o abbiamo conosciuto, e che la maggior parte di noi ha anche vissuto, soprattutto dal punto di vista emotivo, grazie alle immagini televisive.
La caduta del muro di Berlino, la tragedia dell’11 settembre 2001, l’invasione dell’Iraq e l’impiccagione di Saddam Hussein, il linciaggio di Gheddafi … le bare del Covid.
Ci siamo emozionati di fronte a quegli (e a molti altri) avvenimenti, e poi ce ne siamo, naturalmente, dimenticati … presi dal nostro lavoro, dai nostri impegni, dalle nostre passioni … insomma non siamo mica specialisti di geopolitica!
Con questo saggio, Parsi propone proprio ai non specialisti (alla cui ampia schiera appartengo) una lettura sistematica e coordinata degli avvenimenti accaduti nel mondo, proprio a partire dal quel 9 novembre 1989, giorno in cui il simbolo più importante della “Guerra Fredda”, il Muro di Berlino, perse significato e iniziò ad essere letteralmente abbattuto.
Si stratta di una proposta di lettura costruttiva (lo vedremo) a sostegno di una precisa tesi dell’autore: l’ordine internazionale liberal democratico (nella metafora di Parsi questo è appunto il Titanic, ovvero, come dicono in molti “L’Occidente”) con in testa la sua Grande Potenza guida, e cioè gli Stati Uniti d’America, dopo aver vinto, clamorosamente e totalmente, la Guerra Fredda, non ha saputo “vincere la pace”.
E ciò è accaduto perché, forse inebriato e reso sicuro dalla vittoria contro il nemico esterno, non ha saputo prevenire una minaccia cresciuta al proprio interno: il pericoloso cambio di rotta verso l’ordine globale neoliberale.
E’ stato così rotto l’equilibrio tra democrazia ed economia di mercato. Scrive l’autore: “Il collasso del patto sociale e dell’equilibrio tra capitale e lavoro che il welfare state – tanto nella sua versione americana e liberale quanto in quella europea e socialdemocratica – fu in grado di materializzare. Di conseguenza, sostengo, un nuovo progetto politico illiberale sta emergendo e si sta insinuando all’interno delle istituzioni democratiche” (p. 17).
Ciò ha reso possibile, in poco più di tre decenni, un’abnorme concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi e la crescita delle disuguaglianze tra ricchi e poveri, fino a livelli intollerabili, o meglio, per ricorrere a un termine abusato: insostenibili.
Papa Francesco viene irriso, più o meno apertamente, quando implora di combattere la crescita delle disuguaglianze: può far comodo liquidare i suoi angosciosi appelli come “cose che i preti devono dire”, ma il Papa, piangendo, ci implora di evitare il baratro della fine dell’umanità.
“La fase attuale della globalizzazione – prosegue Parsi – ha ripudiato le proprie origini liberali … i mentori dell’iperglobalismo, le sirene che hanno incantato il capitano della nave, le vedette e i timonieri, hanno cantato le lodi di una globalizzazione “svincolata” – cioè selvaggia – capace di rendere tutti più ricchi e più liberi. La verità dietro questi slogan era che ci avrebbe reso tutti più poveri e prigionieri: prigionieri del denaro e della sua icona più antica, l’oro. Nell’illusione di arricchirci, ci siamo trovati a lavorare sempre di più in cambio di salari sempre più bassi, a condizioni sempre peggiori e con sempre meno garanzie. La nuova globalizzazione è molto più affine a quella denunciata da Marx, la globalizzazione del gold standard iniziata a metà del XIX secolo e degenerata nella Prima guerra mondiale. Oggi rischiamo di ripetere lo stesso errore, amplificato dal fatto che nel frattempo abbiamo conosciuto e sperperato i rimedi della democrazia liberale di massa e del welfare state, dell’inclusione sociale e della costruzione della classe media – tutto questo in una situazione che, a differenza di quella in essere a metà Ottocento, non è caratterizzata dall’ascesa egemonica dell’Occidente e dei suoi standard culturali e politici rispetto al resto del mondo , ma dal suo declino relativo e dal ritorno di potenze autoritarie non occidentali come la Cina e la Russia.” (p. 247).
La scrittura di Parsi è chiara e avvincente. Le sue analisi sono punteggiate da riferimenti a fatti storici, ineccepibilmente documentati e ben noti che, rivisti nel loro complesso, offrono al lettore un quadro di insieme coerente, anche se gravido di preoccupazioni. Eppure il libro non si ferma a una catastrofe annunciata, non è ancora detto che il “nostro” Titanic sia irreversibilmente perduto: occorre “destarsi”.
Noi siamo “privilegiati cittadini dell’Occidente”, un luogo dove libertà e pluralismo sono ancora, in ultima analisi, garantiti in modo migliore che in qualsiasi altro nel mondo.
Siamo noi ad avere la responsabilità di riaffermare: “Il fatto che l’ideale che sosteniamo è aperto e inclusivo, inseparabile dai principi di libertà uguaglianza e fraternità e autenticamente radicato nel diritto di ognuno alla ricerca della felicità, nei limiti del rispetto dello stesso diritto per tutti.” (p. 249)
Belle parole e basta? Penso proprio di no, su questo ideale personaggi del calibro di Winston Churchill e Franklin Delano Roosewelt avevano immaginato e strenuamente perseguito, nonostante le immani difficoltà, e facendo tesoro anche delle diversità culturali sociali e politiche dei vari Paesi, il “nostro” Occidente: “una regione del mondo accuratamente e laboriosamente creata , in cui sicurezza e libertà si rinforzano vicendevolmente e gli eccessi della sovranità sono mitigati da istituzioni internazionali e da leggi e pratiche domestiche coordinate”. (p. 249).
Bisogna riaffermare questa nozione dell’Occidente, a fronte: “dell’alternativa avanzata da Donald Trump, Vladimir Putin, Marine Le Pen e Matteo Salvini.” Si tratta di un’alternativa che presenta un Occidente quale “comunità originaria” basato su nozioni semplicistiche di identità e sempre minacciato dagli spietati “barbari venuti da fuori”, che la propaganda sovranista “vorrebbe trasformare in una stretta fratellanza, circondata da muri invalicabili, dove la libertà può sempre essere sacrificata in nome della sicurezza, fingendo di non vedere quanto questa prospettiva ricordi il vecchio Occidente, tragicamente imploso nelle due guerre mondiali.” (p. 250).
E’ bene sottolineare che Parsi scrisse queste parole prima dell’attacco russo all’Ucraina.
In questo quadro complesso e delicato, un ruolo fondamentale nel riportare il Titanic su una rotta meno rischiosa, potrebbe toccare proprio alla vecchia Europa. “L’Europa – è convinto l’autore – può ancora salvarsi e dare un contributo decisivo al ristabilimento della rotta originaria, se saprà riequilibrare al suo interno le distinte dimensioni della crescita e della solidarietà, facendo della sorveglianza e della difesa dei propri confini una responsabilità comune e dimostrando la capacità di trasformare la crisi del Covid-19 in un’opportunità per rilanciare il proprio ruolo – che è quanto sta cercando di fare con il programma Next Generation Eu, che, se avrà successo, sarà un esempio pratico di che cosa significhi armonizzare le sovranità dei diversi stati membri all’interno del progetto comune dell’Unione” (p. 18).
Finale: un libro da leggere, anche per prepararsi alla prossima, importantissima scadenza delle elezioni Europee del 2024.
Per chi volesse leggerlo raccomando di procurarsi questa seconda edizione (2022) ampiamente riveduta, aggiornata e ampliata rispetto alla prima del 2018.