SILVANA MOSSANO
Adesso sono “dentro” tutti e due: anche Antonella Patrucco è in carcere (lei nella sezione femminile di Vercelli)come il marito Gianni Vincenti, che in prigione (lui a Ivrea) ci era finito il 10 novembre scorso dopo aver confessato, ai magistrati e ai carabinieri, il suo idiota tentativo di fare la truffa del secolo: cioè far saltare in aria la casa di proprietà (intestata alla moglie, per precisione), a Quargnento, allo scopo di intascare i soldi dell’assicurazione. Un piano idiota (e così lui che l’aveva pensato, progettato e fallito) divenuto innesco di conseguenze tragicamente irreversibili. La casa era stata “minata” con sette bombole gpl collegate a dei timer puntati sull’una di notte, tra il 4 e il 5 novembre 2019. Tutto era stato prefigurato: a quell’ora ci sarebbe stato il botto, poi sarebbero arrivati i vigili del fuoco e, con le fotocellule, avrebbero illuminato le macerie della bella villa che, anni indietro, era stata ostentazione di un ménage agiato; poi era stata messa in vendita, ma, anche per colpa del critico mercato immobiliare, non se l’era filata nessuno. Perciò, i coniugi Vincenti – Patrucco erano passati dall’agenzia immobiliare a quella delle pratiche assicurative: ad agosto, avevano esteso la polizza sulla casa anche a copertura di eventuali danni dolosi causati da terzi. Poco più di due mesi dopo, ai primi di novembre, i fantomatici “terzi” erano entrati in azione, con la presuntuosa convinzione di non insospettire gli ingenui (sic!) periti della compagnia Generali. Se non è idiozia questa!
LO SCOPPIO IMPREVISTO DI MEZZANOTTE
Comprate delle banalissime bombole gpl di uso domestico, collegate con dei comunissimi timer delle lucine di Natale, era stata impostata l’ora X: l’una di notte. Sulla scorta di un’esperienza poliziesca da banda Bassotti, con un flessibile era stata pure segata un’inferriata per depistare eventuali indagini, simulando l’ingresso furtivo di un fantomatico balordo animato da vecchi rancori o debiti in sospeso.
Ma la concentrazione di sprovvedute furbate ha fatto deflagrare in modo scomposto la banalità del male. Un primo scoppio, non previsto, è avvenuto a mezzanotte. Un vicino solerte ha dato l’allarme ai vigili del fuoco e, con altrettanta sollecitudine, ha subito chiamato Vincenti nel cuore delle tenebre, scuotendone il sonno agitato dagli psicofarmaci: “Deh, Gianni, c’è stata un’esplosione nella casa bassa”. La costruzione comprendeva, appunto, la parte nobile più ampia e una sorta di piccola dependance collegata.
L’ORRORE DEFLAGRATO ALL’ORA X
Vincenti farfuglia, la moglie è in casa con lui, nell’appartamento in via Modena ad Alessandria: l’ha ascoltata la telefonata? Secondo gli inquirenti sì. Il marito, solo, sale in macchina e si dirige a Quargnento, ma, quando frena davanti all’imponente cancello, una nebbia di fumo già sale dalle macerie della casa grande: l’esplosione, quella programmata, è avvenuta da pochi istanti. Solo che, nel frattempo, i vigili del fuoco erano arrivati tempestivamente, a seguito del primo allarme, e si erano messi a ispezionare le stanze disabitate della villa grande ancora in piedi, contigua all’edificio basso dove c’era stato lo scoppio di mezzanotte causato da bombole ben in vista. Ma perché erano entrati? Perché si sentiva odore di gas, si è detto. Il botto dell’una è stato fulmineo come un tuono, il fuoco repentino come un lampo, mattoni e tegole e cemento armato si sono sbriciolati in coriandoli. Pochi attimi percepiti come una dissolvenza infinita. Quanto è durato il rumore della gragnola di calcinacci? Quando è stato l’ultimo colpo prima del silenzio surreale che ha preceduto le urla, i lamenti, le voci della disperazione e dell’orrore? Tre i feriti (due vigili del fuoco e un carabiniere) che imploravano aiuto, mentre chi era fuori si affannava a pronunciare parole di conforto e a rimuovere a mani nude i calcinacci. Ma c’era un urlo più forte, non avvertito dall’udito, come sconfinato negli ultrasuoni: il grido di morte di tre uomini, tre giovani vigili del fuoco, che altri compagni, deglutendo lacrime e rabbia, ore dopo avrebbero estratto da là sotto senza vita.
LE INDAGINI E LA CONFESSIONE
Per alcuni giorni, i coniugi Vincenti – Patrucco hanno raccontato quel che volevano raccontare, lasciando intendere a procura e carabinieri che un conoscente del posto poteva averci qualcosa a che fare con quella tragedia. Gli inquirenti li hanno lasciati parlare, fino a che, dopo i funerali annegati nello strazio, hanno portato lui in caserma: “Adesso, ce la conti giusta” gli hanno intimato. E Vincenti, mentre i vetri delle finestre si appannavano di buio crepuscolare, si è rassegnato a parlare. Ha finito a tarda notte e, quando è uscito, non era più un uomo libero.
Accusato di omicidio doloso e lesioni volontarie, di crollo doloso di abitazione, di truffa all’assicurazione e di calunnia nei confronti del vicino è stato accompagnato in carcere.
Perché l’omicidio volontario? Vero che lui ha confessato di aver architettato l’esplosione, ma ha anche detto: “Non volevo uccidere nessuno, l’ho fatto per incassare i soldi dell’assicurazione”. Sì, però, – è il ragionamento della procura – se, quando è stato avvisato del primo inatteso scoppio di mezzanotte, sapendo che altre bombole erano programmate per esplodere all’una, avesse avvertito: “Non lasciate entrare nessuno, ho fatto una cazzata…”, la strage si sarebbe evitata. Invece non ha detto niente. In quell’ostinato mutismo, l’idiozia è diventata tragedia e, per i pm, delinea la volontarietà di uccidere.
Vincenti si accolla tutta la colpa, “Antonella non c’entra, ho fatto tutto io”, ma gli investigatori non gli credono, perché, ovviamente, mica si accontentano della confessione, cercano i riscontri con puntiglio certosino. E ritengono che i coniugi sono sempre stati insieme, sia a comprare le bombole, sia a posizionarle in casa, lasciandole aperte per far fuoriuscire lentamente uno spiffero di gas fino a saturare le stanze. Conclusione degli inquirenti: Vincenti ha ammesso tutto e Patrucco non poteva non sapere.
I REATI CONTESTATI AI CONIUGI
Da qui, la contestazione, in concorso, degli stessi reati, per i quali marito e moglie saranno giudicati insieme in due processi: il 23 luglio per l’esplosione dolosa, le lesioni, la truffa e la calunnia (con rito abbreviato e, in caso di condanna, avranno diritto allo sconto automatico di un terzo della pena) e dall’11 settembre, in Corte d’Assise, per l’omicidio volontario (per il quale, da aprile 2019, non è più ammissibile il rito abbreviato, salvo diversi pronunciamenti, in futuro, della Corte Costituzionale).
Entrambi, dunque, gravati da identiche incriminazioni, ma, tuttavia, lui, reo confesso, già in carcere, lei, che si proclama innocente, libera. Ora non più: l’arresto della donna, che era stato chiesto dalla procura e negato mesi fa dal gip di Alessandria (perché riteneva superata l’urgenza su cui si fonda la custodia cautelare, non riscontrando il rischio che Antonella Patrucco potesse scappare, reiterare il reato e inquinare le prove), era stato invece giudicato corretto dal Tribunale del Riesame e, pochi giorni fa, anche dalla Corte di Cassazione che si è pronunciata nel pomeriggio del 24 giugno 2020. Alle 20,20 dello stesso giorno, la donna veniva prelevata dall’abitazione di via Modena, ad Alessandria, fatta salire su una “gazzella” dell’Arma e accompagnata al carcere di Vercelli.
PASSO AVANTI NELLA GIUSTIZIA?
Qui si chiude il resoconto e si apre l’interrogativo: questo arresto è, come qualcuno ha commentato, un passo avanti nella giustizia? Domanda difficile e lacerante, sotto il profilo sia etico che umano. Il megafono mediatico ha abituato alla ripetitività ossessiva dell’anelito “Vogliamo giustizia” ogni volta che si verifica una tragedia di forte impatto emotivo, una strage, un evento sfregiato dall’ingiustizia.
E’ giusto pretendere la giustizia: per le singole vittime (chi muore e chi piange i propri morti) e per la collettività. E’ indispensabile per dare un senso al dolore straziante causato dalle morti ingiuste e, anche, a quello dei sopravvissuti, “vittime mancate”, spesso gravate, dopo un sollievo iniziale, da senso di colpa: “Perché io sono vivo?”.
CHE COS’E’ LA GIUSTIZIA?
Ma che cos’è la giustizia? C’è una definizione oggettiva, univoca e condivisa? Ci siamo abituati a una giustizia spesso identificata con l’ansia forcaiola di pretendere che il presunto (o il conclamato) colpevole “marcisca in galera di cui buttar via la chiave”, che “cacci fuori i soldi, e finisca in miseria”, che patisca, con speculare legge del taglione, le stesse pene di chi ha trafitto (hai rubato e ti taglio la mano, hai ucciso mio figlio, ti sia ucciso il tuo).
Torniamo alla vicenda di Quargnento: è un passo avanti nella giustizia l’arresto di Antonella Patrucco che, tirata fuori di casa all’ora di cena, con quel che aveva addosso, un paio di calzoni e una maglietta, e un po’ di roba ammucchiata in un borsone di plastica preso in carico da un carabiniere, gli occhi straniti a capire su quale auto doveva salire, si è lasciata dietro una madre anziana e una sorella disabile, entrambe con gravi problemi di salute, cui lei badava da anni? L’arresto, non c’è dubbio, è un atto formalmente ineccepibile, dal momento che, in due gradi di giudizio su tre, è stato ritenuto fondato. Ma, incalza la domanda, è un passo avanti nella giustizia per i famigliari dei tre pompieri morti? A loro, povere persone strozzate da una corda di dolore assurdo, puntuto e implacabile, dà conforto sapere che anche lei, come il marito, è dietro le sbarre?
Ad Antonella Patrucco, quando sono andati a prenderla, non è stato concesso di parlare con il suo difensore nemmeno con una breve telefonata. Anzi, il suo avvocato ha saputo dell’arresto dai giornalisti (“stanno portando via la sua assistita”). Si dirà: neppure ai quei tre giovani pompieri è stato dato un preavviso e meno che mai una parola di conforto. Vero, ma quel “mancato preavviso” e quell’assenza di conforto sono conseguenza di un crimine, orrendo e stupido al contempo, che la Giustizia, sì, dovrà sanzionare secondo la Legge. L’arresto di Antonella Patrucco, invece, rientra in un contesto democratico laicamente sacro. Ogni tentativo di paragone è pericoloso e fuorviante.
I coniugi Vincenti – Patrucco, grazie alle indagini coscienziose della procura e dei carabinieri, saranno giudicati in base a regole democratiche. Se il verdetto finale sarà di condanna, dovranno scontare una pena congrua senza inaccettabili scorciatoie. Ma che, adesso, Antonella Patrucco sia mandata in carcere, a un mese dall’inizio del processo che dovrà giudicarla, mentre due donne inferme cui badava sono abbandonate a sé stesse, placa la sete di giustizia? Non sono anche loro vittime, ora?
IL DOLORE SU DUE FRONTI
Qualche anno fa, mi occupai di una vicenda incresciosa e orrenda, in cui c’entrava un uomo (apparentemente marito e padre esemplare, e buon lavoratore) e alcune ragazze minorenni, da lui irretite per abusarne. Mi azzardai a esprimere un sentimento di pietà anche per i famigliari dell’ “orco”, bollati dalla vergogna e schifati al pari del congiunto incriminato. Mi spinsi a scrivere che anche loro erano vittime, annientate da dolore e solitudine. Bene: quel mio dire fu definito “indecente”. Fui attaccata a indice puntato: “Ci mettiamo a difendere i famigliari di ‘sto porco?”.
Mi ritrovo a insistere: ritenere, di fatto, che i congiunti di chi ha commesso crimini debbano subire incolpevolmente la stessa onta è giustizia? Una vecchia madre e una sorella malata, lasciate sole senza il tempo di organizzare un’assistenza adeguata, è giustizia? Forse placa il dolore per la perdita di una persona – figlio, marito, padre – che ho amato immensamente sapere queste due donne impaurite, umiliate, abbandonate?
Di quei tre giovani vigili del fuoco resta il ricordo di tutto quello che hanno fatto e il sorriso sulle fotografie su cui dita amorevoli e labbra inconsolabili si poggiano lievemente ogni giorno a evocare un contatto fisico che non ci sarà mai più. Qualcuno – per idiozia, per malvagità, per avidità, per insensatezza – è colpevole di questa atrocità, così come delle ferite (nel corpo, ma soprattutto nell’animo) di chi è sopravvissuto. Anche lasciando perdere la frase, sfilacciata quanto purtroppo vera, che “nulla li farà ritornare in vita”, aver prelevato di casa Antonella Patrucco mentre preparava la cena per sua madre e sua sorella inferme ha consentito un sospiro di sollievo a chi è marchiato per sempre dal dolore causato da quella strage? I famigliari di Antonino, di Matteo, di Marco, e gli stessi Roberto, Giuliano e Luca scampati alla morte sentono che si è fatto un passo avanti sulla strada della giustizia, in anticipo su un equo pronunciamento processuale?
IL CONFINE TRA GIUSTIZIA E VENDETTA
Il dilemma è profondo: che cos’è la Giustizia? Chi è chiamato ad applicarla? Occorre stare attenti, perché è scivoloso il confine con la vendetta, brutto surrogato della giustizia, animato da pericolose pulsioni soggettive e rabbiose, come quelle che hanno spinto qualcuno a insultare e minacciare gravemente i difensori dei coniugi, chiamati a svolgere un democratico e imprescindibile compito professionale. Identificati, gli odiatori degli avvocati sarebbero stati anche pronti a firmare una frettolosa lettera di scuse per tombare la querela, ma, almeno fino a ora, si sono sottratti all’offerta di una somma da devolvere a scopo benefico come prova concreta del loro sincero pentimento.
E, allora, di nuovo: qual è il passo avanti nella giustizia? La giustizia si integra nel rispetto delle regole democratiche; la giustizia è la sanzione che va pagata senza svicolare. Gianni Vincenti e Antonella Patrucco sono accusati di gesti terribili, con conseguenze irreversibili, aggravati da insopportabile stupidità e banalità. Se e quando saranno condannati, in carcere ci dovranno stare, a lungo, a scontare una pena congrua secondo le leggi. Giusta.
Se, invece, prevalesse – nei tempi, nei modi e nel quantum – il cedimento sbrigativo alla vendetta, difficilmente le vaste lacerazioni del dolore, infettate di rabbia e rancore, avrebbero la consolazione di una sutura salvifica.
Condivido in pieno questa tua analisi Silvana: affrontata con sincera volontà e ottima preparazione sul tema. Certo, la coerenza con i giusti e civili principi della Giustizia, richiede anche del coraggio,cioè di vincere i condizionamenti del quotidiano palcoscenico della vita.
Un caro saluto e grazie!!!
Grazie Silvana per il tuo lavoro che cerca di andare oltre le parole facili, quelle più scontate, e di scendere più profondamente nella complessità della realtà e dei sentimenti
Per quello che scrivi, cara Silvana, e per come è strutturato il sistema penitenziario, la giustizia in Ialia è molto più vendetta che riparazione delle lacerazioni umane e sociali prodotte dai reati. Forse questa nuova Ministra ci lascia sperare in un cambio di passo..