RECENSIONE
di SERGIO SALVI
“C’è stato forse un tempo – la storia dell’amore fra Nino e Bettina Caponnetto -” autore Massimo Caponnetto, pubblicato nel maggio 2022 da edizioniPIAGGE, prima edizione maggio 202 pp. 198
In una frase: un tesoro di splendida umanità, poesia e coscienza civile.
Massimo Caponnetto è il figlio di Antonino Caponnetto (Caltanissetta 1920- Firenze 2002), magistrato noto soprattutto per aver istituito ufficialmente e diretto, dal 1983 al 1987, presso la Procura della Repubblica di Palermo il “pool antimafia”.
Tra i (pochi) magistrati di quel pool, i più noti sono stati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il grande merito dell’autore Massimo Caponnetto è quello di presentare suo padre e sua madre con tenerezza, rispetto e assoluta semplicità. Sono infatti evitate forme agiografiche, perché il protagonista assoluto della narrazione è l’amore. Un amore ricapitolato efficacemente nella poesia “C’è stato forse un tempo” (regalata al lettore nelle pagine conclusive del volume) che comincia così:
“C’e stato forse un tempo …
e cosa è mai stato il tempo,
prima di te”
profondità, intensità, concretezza: un amore davvero grande, a suo modo eterno, e su questo punto mi rifaccio a un’intuizione di Silvana, quando parla di eterna umanità. Questa storia ne è un esempio efficace.
La narrazione si sviluppa in un arco temporale che va dal 1939 ai giorni nostri, infatti Bettina (Elisabetta) ha compiuto centoun anni il primo maggio 2023.
Figlio di Pasquale, militare di carriera nella Guardia di Finanza, Nino a dieci anni di età si era trasferito con la famiglia (madre, padre e due fratelli) da Catania a Pistoia, in una casa “che era la più grande fra tutte quelle in cui mamma Santina avesse mai abitato” (p.12). Per la prima volta i ragazzi avevano una camera ciascuno e Nino passava quasi tutto il tempo proprio nella sua stanza, dove, oltre alle materie scolastiche, studiava con impegno il pianoforte “un vecchio modello preso a noleggio”.
Nella primavera del 1939, l’anno dell’esame di maturità, durante una pausa dagli studi, Nino incontrò per la prima volta la sorella minore del suo amico Gualtiero Baldi, Bettina.
Una stretta di mano rapida, un sorriso impacciato, eppure Nino era stato, inesorabilmente, catturato dall’incanto degli occhi della ragazza: “Brillavano senza ombre, senza opacità. Solo guardarli era un antidoto a ogni malinconia” (p.13).
Il racconto dell’innamoramento di Nino è bellissimo: l’autore presenta l’evolversi dei pensieri del giovane “mentre studiava preparandosi all’esame di maturità” in modo romantico e insieme privo di sdolcinature, credibile insomma.
La seconda guerra mondiale era ormai imminente; anche Nino partì per il fronte: bersagliere in Libia, tornò a Pistoia nell’autunno del 1942, traumatizzato e reso apatico dall’inutile crudeltà della violenza, consapevole di dover dare un senso diverso alla sua vita, ma ancora oppresso nell’animo, un uomo distante, assente, chiuso nei suoi silenzi.
Fu il padre a scuoterlo, con poche parole in siciliano stretto (ciononostante era il discorso più lungo che suo padre gli avesse mai fatto): “Nineddu, se non vuoi parlare con me, con tua madre, non importa. Facciamo pazienza. Ma devi prendere l’abitudine a parlare chiaro con te stesso, a non nasconderti niente, nemmeno le cose di cui hai vergogna o che ti danno dolore. Nino, fallo. Fallo come fosse una confessione, a voce alta. Vedrai che così i pensieri che non ti piacciono, e i più dolorosi, si allontanano. Che quelli vogliono il silenzio, non sopportano le parole, e tantomeno il suono della voce. Il silenzio non cura Nineddu. Ricordati, ci vogliono parole …” (p. 18).
Nino rinviò a un tempo successivo il momento di raccontarsi vergogne e dolori, ma promise a sé stesso che avrebbe dichiarato il suo amore a Bettina: l’aveva infatti rivista per pochi attimi, qualche giorno prima andando a trovare Gualtiero, e l’innamoramento, rimasto silente per tanti mesi, si era riacceso.
Farei un torto ai potenziali lettori svelando in anticipo le (coinvolgenti, divertenti e commoventi) traversie della dichiarazione d’amore di Nino a Bettina; ovvio: se si fosse trattato di un amore infelice, Massimo Caponnetto non avrebbe mai scritto questo libro.
Il lettore del 2023 resterà da un lato sorpreso e dall’altro ammaliato dalla serena forza e dall’incrollabile volontà dei due giovani, capaci di superare ostacoli, in quell’epoca praticamente insormontabili, a cominciare dalla ferrea e astiosa contrarietà del padre di Bettina; babbo Giulio Baldi aveva infatti deciso che la sua adorata figlia sarebbe andata in sposa a un uomo scelto da lui.
La profondità del sentimento e della passione di Nino e Bettina si rivelerà e rafforzerà negli anni a venire e costituirà una vera e propria roccia, una sicurezza a sostenere le scelte famigliari e professionali di Antonino Caponnetto.
Bettina appoggerà e incoraggerà con forza il marito quando affronterà l’esame da magistrato, perché l’impiego in banca ottenuto dopo la laurea non lo soddisfaceva.
Nel 1983 Nino era ormai verso la fine della sua carriera in Magistratura vissuta seguendo questo principio “Le cose non si fanno per poterle raccontare, ma perché si sembrano quelle giuste, perché ci fanno sentire a posto con noi stessi” (p.62).
Il 29 luglio di quell’anno, il giudice Rocco Chinnici, capo dell’ufficio istruzione della Procura della Repubblica di Palermo, fu vittima di un attentato mafioso.
Nino, scosso ed emozionato, dopo pochi giorni, spedì al Consiglio Superiore della Magistratura la propria candidatura alla successione di Chinnici. “Di quella lettera non fece parola con nessuno. Né con Bettina, né con i figli, né con i colleghi. Un pensiero da non dire ad alta voce, per non sciuparlo. O per non doverlo ripensare”. (p. 73).
In questa storia di un amore umanamente eterno, la crisi più profonda (più della guerra, più dell’ostilità di babbo Giulio Baldi) fu generata proprio da questo silenzio; la realtà, “Era che Nino aveva coltivato in sé pensieri e decisioni tenendoglieli nascosti, come fossero cose solo sue, come se esistesse qualcosa davanti alla quale la loro unione, il loro essere uniti per la vita, potesse passare in secondo piano “ (p.75).
Le vicende di quella esaltante e tragica stagione (1983-1992), della quale in questi giorni è stato celebrato uno degli anniversari, sono ripercorse nel libro con la visuale del giudice Antonino Caponnetto, e in queste pagine risalta anche la forza che il magistrato traeva dal suo grande amore.
Senza la guida, ferma, equilibrata e priva di protagonismo del giudice Caponnetto, difficilmente si sarebbe arrivati al maxi processo a “Cosa Nostra”, il suo stile di capo dell’ufficio era quello di chi sa persuadere, senza la necessità di dare ordini. Falcone e Borsellino erano due magistrati competenti e appassionati. Da Caponnetto furono aiutati e incoraggiati, ne nacque un rapporto di amicizia e di fiducia così profonde da segnare le loro esistenza e quelle dei loro famigliari. Solo con un simile livello di leale collaborazione sono spiegabili i grandi successi ottenuti, come la gestione del più importante dei pentiti di mafia, Tommaso Buscetta. Caponnetto considerava i magistrati del pool come se fossero figli, e ne condivise le frustrazioni, quando, al termine del suo incarico a Palermo, il pool fu smantellato, e quei giudici si trovarono isolati, e pertanto meglio esposti alle vendette mafiose. Nino fu investito da un dolore schiacciante in seguito agli attentati, e fu proprio Bettina ad aiutarlo a superare quell’angoscia che sfiorò la disperazione.
All’indomani delle esequie del giudice Paolo Borsellino i due sposi, Nino e Bettina, condividono un impegno: “Quello che di meglio possiamo e dobbiamo fare, nella nostra vita, è mettere le persone che ci stanno accanto nella condizione d’animo migliore, così che ciascuno possa esprimere le parti più preziose di sé”.
Così, a partire dal 1992, Nino, insieme anche a Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso, sarà voce critica, ascoltata, una guida per molti. E Bettina lo seguirà in ognuna delle tantissime tappe del suo racconto, nelle scuole, nelle università, nelle piazze, dovunque ci sarà qualcuno che vorrà conoscere meglio quegli uomini e quella storia.
Finale: libro da non perdere. Antonino Caponnetto è stato definito “gran signore e giurista” da Antonio Landi nel suo saggio “Cosa nostra”; Massimo Caponnetto ci fa conoscere un uomo mite, riservato e fortissimo, e la vera grande forza veniva dalla coppia Nino-Bettina.