SILVANA MOSSANO
Quello che non scrivi su un foglio protocollo o su una pagina di word, quello che non riesci a dire in un’interrogazione, ciò a cui non rispondi in classe davanti al professore e ai compagni, ti esce, invece, naturale e spontaneo se ti affacci a una finestra spalancata, davanti a un pubblico che non vedi, ma sai che c’è.
Così ha sperimentato, in «dad», Ombretta Zaglio, attrice e regista, e anche insegnante dell’Istituto superiore Balbo, dove ha coordinato il progetto «La storia che viviamo», coinvolgendo, al plesso Lanza, studenti del Liceo di Scienze Umane e di Scienze della comunicazione.
Zaglio ha attinto all’esperienza di artista e l’ha applicata alla didattica in un momento difficilissimo come quello della pandemia che, tra le altre cose, ha inventato per necessità la «Dad», ovvero l’inverso delle classiche lezioni in presenza: un monitor frazionato in tanti quadretti, una faccia per ogni quadretto.
Prima la professoressa Zaglio ha avviato un laboratorio partendo dalla narrazione tradizionale: «Ragazzi, scrivetemi che cosa è per voi il covid, come vi ha cambiato, che sensazioni e mutamenti ha provocato». Poi l’artista ha tirato fuori i suoi strumenti e ha «allestito» un palcoscenico. E ha riproposto la domanda: «Ragazzi, raccontate a voce che cosa è per voi il covid, che cosa vi ha portato via, che cosa vi è mancato, che cosa vi ha insegnato». Poi si è ritirata in punta di piedi, si è messa da parte ad ascoltare e osservare.
Per sipario una finestra che, via via, è stata spalancata: i ragazzi e le ragazze, dapprima incuriositi, poi invogliati e dopo ancora coinvolti, si sono affacciati e si sono raccontati, con spontaneità e ricchezza, confidando malesseri, propositi, disagi, opportunità.
Su quel palcoscenico inedito sono diventati protagonisti di racconti che racchiudono, in pochi minuti, una potenza espositiva di grande valore.
Ma, facendo un passo indietro e dedicando al progetto un’analisi e una riflessione più ampia, ci si rende conto che il tema della pandemia è stato semplicemente il pretesto narrativo, l’occasione del confronto e della condivisione su un argomento particolarmente significativo in questo momento. Ma quel che emerge, al di sopra di tutto, è la validità del metodo di comunicazione, di esposizione e di espressione: avvincente, stimolante e convincente.
«Il principio ispiratore di questo progetto è la ricerca di un fare insieme, un valore da riscoprire, praticare, ritrovare in un momento in cui prevale la solitudine, la spossatezza, l’incertezza – spiega Ombretta Zaglio -. L’obbiettivo è ritrovare in sé la motivazione, il coraggio di sperimentare e ricercare poiché nulla sarà come prima, un cominciare a stare bene subito, un curare curandosi, un liberarsi liberando».
Ci piace pensare all’estensione di questo metodo per sollecitare gli studenti a parlare anche di letteratura e di società, di ambiente e di solidarietà, di guerra e pace. I ragazzi hanno molte cose su cui riflettere e da dire: davanti alla finestra spalancata, testata con il progetto «La storia che viviamo», potrebbero esprimerle con molta convinzione e profondità. Vale la pena riprovarci con altre discipline: letteratura, storia, geografia, scienze, arte.
Proviamo a immaginare un futuro prossimo: «Prof, mi faccio interrogare… in palcoscenico». Si spengono le luci, silenzio in aula, inquadratura perfetta: vai!
• Il video conclusivo del progetto «La storia che viviamo» è stato presentato oggi martedì 8 giugno alle ore 10 nell’aula magna Don Milani dell’Istituto Balbo (Plesso Lanza) e trasmesso anche in tutte le classi della scuola per riflettere sia sull’esperienza in dad dal punto di vista didattico sia sulla condizione degli adolescenti a più di un anno dall’inizio della pandemia. Spiega il preside Riccardo Calvo: «L’importanza del lavoro è quella di aver fatto parlare direttamente gli adolescenti e di aver ottenuto, grazie a una mediazione di tipo teatrale e di recitazione, un repertorio di contributi davvero unico nel suo genere».
Qui il link per visionare il filmato (durata mezz’ora circa):