Ognuno, delle catastrofi collettive, conserva individuali ricordi. Talora si sfocano, si sovrappongono, sfuma la nitidezza cronachistica dell’immediatezza, ma ciò che si consolida, in modo tenace, sono le sensazioni che ci hanno suggestionato, spaventato, commosso o fatto arrabbiare.
Novembre 1994, prima alluvione. Ottobre 2000, seconda alluvione.
Io non ho avuto la casa allagata, ma delle esondazioni nella mia terra di Monferrato ho molte memorie, perché, da cronista, ci sono stata in mezzo a quella valanga d’acqua melmosa e putrida: a documentare e anche a consolare. Casale Popolo, Terranova, Oltreponte, Nuova Casale, Morano, Balzola, Coniolo Basso, Villanova, Trino.
Terre sommerse, case inondate, oggetti cari e irriproducibili desolatamente e irrimediabilmente inzuppati, marciti e distrutti.
Ricordo quando, a Popolo, per evitare che camminassi nell’acqua, volevano a tutti i costi caricarmi sul portapacchi di una bicicletta, purché andassi a scattare delle foto in alcune case allagate. O quando, a Terranova, mi aggrappai disperatamente a una recinzione per non precipitare in una voragine perché volevo raggiungere una casa mezza crollata. O a Morano quando fu ripescato il cadavere di un uomo che si era ribaltato da un trattore in un campo inondato.
Appena si apre, nella memoria, l’album dei ricordi, la mente fa affiorare dettagli, colori, odori, immagini. La signora anziana che vagava nel tentativo di tornare a casa per recuperare, nel frigorifero, le medicine per il «polistirolo», o quella che andava alla ricerca delle galline scappate dal pollaio, o la pentola del brodo che bolliva al piano di sopra di una casetta di Brusaschetto Basso… che non c’è neppure più Brusaschetto Basso, frazione del paese di Camino: se non l’hai visto in quella occasione, quel borgo strano, è perso per sempre. L’hanno abbattuto. A me resta il ricordo del profumo del brodo e i vetri appannati dal vapore, oltre i quali si stendeva una distesa di fanghiglia bruna.
I ricordi, a distanza di tempo, hanno arrotondato le punte e hanno perso il brivido, ma conservano le percezioni, selezionando per lo più quelle buone o, almeno, sopportabili.
In queste settimane, ricorrono i trent’anni dalla prima alluvione del novembre 1994. A metà ottobre, erano trascorsi ventiquattro anni dall’esondazione del 2000. Tenuto conto che, nel 1994, si rassicurarono le popolazioni affermando che era stato un evento di portata eccezionale e di cadenza secolare, la replica di sei anni dopo fu un enorme choc.
Oggi, assistiamo impotenti a una rinnovazione continua, ravvicinata e desolante di esondazioni, specialmente in alcune regioni d’Italia, l’Emilia sopra a tutte. Venticinque/trent’anni fa ancora non ci capacitavamo.
Tengo a richiamare l’attenzione su una parola che fu coniata appositamente per il Casalese: bi-alluvionati. Alluvionati due volte.
La sentii pronunciare per la prima volta nel 2000 dall’allora vicepresidente della Provincia e assessore ai Lavori Pubblici Daniele Borioli: i bi-alluvionati erano i casalesi finiti sott’acqua due volte in soli sei anni, pur avendo scavalcato un Millennio. Erano quelli che, memori della recente esperienza, avevano intuito che la valanga d’acqua era in arrivo. Si regolarono su quanto avevano già vissuto e sollevarono mobilio e oggetti cari un po’ oltre il livello cui era arrivata l’acqua nel 1994, fiduciosi che, questa volta, non sarebbero stati colti di sorpresa. Invece, l’ondata si abbatté su Casale e dintorni con maggiore portata e più furia, vomitando dal Po e dagli innumerevoli, incontrollabili torrenti e rii. Ogni singola precauzione fu vana.
Ecco, Borioli parlò di bi-alluvionati: colpiti sia nel 1994 sia nel 2000. Alcuni, nell’arco dei sei anni, avevano anche cambiato abitazione, e addirittura paese, ma l’acqua li andò lo stesso a stanare. La parola bi-alluvionati non fu soltanto un vocabolo a effetto, ma fu inserita nei decreti varati per regolamentare la distribuzione di rimborsi e contributi, stabilendo una distinzione: chi era stato frustato due volte ebbe diritto a una percentuale un po’ superiore come risarcimento.
Oggi, purtroppo, non basta neppure più il prefisso «bi»: ci sono i tri-alluvionati, i quater-alluvionati, gli enne-alluvionati…
Dobbiamo rassegnarci? Per niente, dobbiamo continuare a scandalizzarci, non con sterili proteste e contrapposizioni, ma con sensate proposte.
Nell’anniversario tondo dei trent’anni dall’alluvione del 1994 (che si trascina al seguito i 24 anni dalla piena del 2000, lo ribadisco), una costruttiva occasione di riflessione è quella promossa per domani, venerdì 22 novembre, alle ore 21, per iniziativa dell’alleanza civica «Casale davvero», ma con invito allargato a tutti gli amministratori pubblici di qualsiasi orientamento, alle rappresentanze associazionistiche e alla cittadinanza. Ci sono questioni per le quali la trasversalità è segno di consapevolezza, buonsenso e buona volontà, con tutti i distinguo leciti e possibili, ma è imprescindibile incontrarsi e discutere per capire «Quel che è successo e quel che resta da fare»: questo il titolo della serata. Il sottotitolo è: «Memoria e responsabilità dopo le alluvioni del ’94 e del 2000». A dire che i cambiamenti climatici esistono, ma le strategie e le precauzioni che l’uomo sceglie di adottare possono decidere tra vita e morte di un territorio e anche degli esseri umani.
Modera il giornalista Pierluigi Buscaiolo, direttore de Il Monferrato, introduce Massimo De Bernardi, portavoce del Calca (Comitato Alluvionati del Casalese).
L’incontro si svolge in un luogo simbolo: il salone parrocchiale di Oltreponte, che fu punto di riferimento e di ritrovo in quei giorni difficili e spersi.
Ritrovarsi allora, lì, fu una necessità.
Ritrovarsi ora, tutti insieme, è un segno di maturità.
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