E’ morto, all’età di 72 anni, il casalese Mauro Patrucco, ex operaio dello stabilimento Eternit di Casale e, tra il 1976 e il 1978, anche delegato sindacale per la Cgil. Fu licenziato a seguito di un vivace diverbio con la dirigenza della fabbrica, conseguente a un guasto che aveva provocato un aggravio di diffusione di polvere d’amianto con ammorbamento insopportabile. Quell’episodio fu rievocato dallo stesso Patrucco, quando, nel 2010, fu chiamato a testimoniare al maxiprocesso Eternit 1: quello in cui i due imputati – Louis de Cartier, belga, e Stephan Schmidheiny, svizzero – erano accusati di disastro doloso ambientale.
All’epoca, da cronista de «La Stampa», seguii tutte le udienze del maxiprocesso (a Torino in primo e in secondo grado, a Roma in Cassazione). Il 28 giugno 2010, pubblicai, appunto sul quotidiano per cui lavoravo, un articolo con il resoconto della testimonianza di Mauro Patrucco. La foto qui pubblicata, (crediti: Archivio Stampa), fu scattata in occasione di quella udienza, avvenuta nella maxiaula 1 del Palazzo di Giustizia di Torino, la stessa in cui, il 13 novembre prossimo, si darà il via al secondo grado di giudizio di un altro e diverso procedimento penale incentrato sulle vittime da amianto: è l’«Eternit Bis», in cui, davanti alla Corte d’Assise d’Appello, l’imprenditore svizzero Schmidheiny risponde di omicidio doloso per la morte di 392 casalesi e monferrini, uccisi dal mesotelioma.
Quello che segue è l’articolo, uscito su La Stampa il 28 giugno 2010, con la testimonianza di Mauro Patrucco al maxiprocesso Eternit 1.
«La polvere era insopportabile. Quando mi lamentai la prima volta con il capoturno, non mi ascoltò, ma mi spedirono a un altro reparto, e così avvenne una seconda volta. Un giorno, al reparto tubi si ruppe un aspiratore, la polvere invase tutto lo spazio, io fermai le macchine e feci uscire gli operai. Quando il capoturno mi intimò di farli rientrare subito, io mi opposi e lui mi disse che non gliene importava niente se c’era la polvere, che la produzione doveva proseguire». È quanto ha spiegato oggi al processo Eternit un ex operaio e delegato sindacale, Mauro Patrucco, dipendente dal ’74 al ’76 e poi licenziato per il diverbio nato con la direzione proprio a causa della presenza eccessiva di polvere d’amianto nello stabilimento di Casale.
«Da quel momento – prosegue il teste – io capii la politica aziendale dell’Eternit di allora, ovvero che bastava che la produzione andasse avanti. Quando venni attaccato dal capo per quell’episodio volarono parole grosse, ma io non feci rientrare gli operai in quel luogo sommerso di polvere. Dopo tre o quattro giorni mi chiamò il capo del personale e gli spiegai che il consiglio di fabbrica non aveva torto quando diceva che un solo aspiratore nel reparto non bastava. Lui non mi rispose. Passarono altri giorni e il 5 novembre del ’76, quando mi presentai al lavoro, non c’era più la mia cartolina. Mi mandarono in direzione e mi dissero che la raccomandata del mio licenziamento era partita il giorno prima».
Patrucco ha raccontato di aver intentato una causa di lavoro contro l’azienda, ma di non averla portata avanti perché accettò «dei soldi da parte del capo del personale». «Ne avevo bisogno per la mia famiglia – ha sottolineato l’ex operaio -: mia moglie non lavorava e avevo una bambina di tre anni da mantenere». Il teste ha confermato le deposizioni di altri ex operai intervenuti alle udienze precedenti. «In fabbrica non esisteva ricambio aria – ha sottolineato – la polvere era ovunque, non c’erano ventole. Con il consiglio di fabbrica chiedemmo di aumentare gli aspiratori ma non è mai successo nulla. Ho cercato di dimenticarmi quegli anni, sono ricordi però che rimangono sopiti, quando hai visto morire tante persone, vuoi dimenticarle, ma – ha concluso – non ci riesci».
Grazie Silvana! A proposito della politica e dei “grandi investimenti ” della Eternit per la “salvaguardia dell’ambiente e della salute ” , proclamati nelle tesi difensive di S.Smidheiny, questo episodio fa parte della lunga serie di clamorose smentite….