SILVANA MOSSANO
Riassunto e nodi cruciali del processo Eternit Bis
La fase dibattimentale del procedimento penale Eternit Bis è praticamente conclusa, anche se il presidente della Corte d’Assise, Gianfranco Pezone, la dichiarerà ufficialmente chiusa lunedì 30 gennaio.
Fino a ora si sono svolte 36 udienze, tra il 9 giugno 2021 e il 16 gennaio 2023.
Ma il processo non è finito; domani, lunedì, si apre la fase della discussione con due udienze dedicate alle requisitorie dei pubblici ministeri Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare (lunedì 30 gennaio e venerdì 10 febbraio), due riservate alle arringhe dei legali che rappresentano le parti civili (lunedì 20 e lunedì 27 febbraio) e due (venerdì 10 marzo e mercoledì 29 marzo) per gli avvocati Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva che difendono l’imputato Stephan Schmidheiny.
CAPO D’IMPUTAZIONE
L’imprenditore svizzero, assente (fino a oggi ha rinunciato a essere presente alle udienze), è accusato di omicidio volontario, con dolo eventuale, di 392 casalesi e monferrini, morti di mesotelioma provocato dalla diffusione indiscriminata di amianto. L’amianto era la materia prima impiegata nella produzione di manufatti (lastre per tetti e tubi per condotte) che si è svolta per ottant’anni, tra il 1906 e il 1986, nello stabilimento Eternit di Casale Monferrato. La fabbrica sorgeva nel quartiere Ronzone (in via Oggero), esattamente a 1276 metri dal Duomo, preso come punto centrale della città. Praticamente lo stabilimento era circondato dalle case del rione in cui sorgeva ed era a ridosso dell’abitato del centro storico cittadino.
L’IMPUTATO
Era a capo dell’Eternit, in più Paesi. In Italia lo è stato dal 1976 (quando il padre Max divise e assegnò ai due figli le sue imprese industriali: a Stephan il settore dell’amianto, a Thomas quello del cemento) fino al 1986 (anno del fallimento della società italiana). I suoi difensori sostengono che era talmente vasta la galassia di aziende che all’imprenditore svizzero faceva riferimento, che era impossibile potesse avere tutta la situazione sotto mano e sapesse che cosa accadeva a Casale Monferrato. Per l’accusa, invece, dai documenti e dalla corrispondenza con stretti collaboratori di fiducia, emerge che in Schmidheiny si concentrava in concreto la proprietà e la gestione. Il suo ruolo era molto pervasivo. «Era il padrone dell’Eternit».
LE VITTIME
Nel capo di imputazione sono elencati i nomi di 392 vittime di mesotelioma. Va chiarito subito che si tratta soltanto di una parte: i morti d’amianto, a Casale e dintorni, sono stati molti di più e, quando questo procedimento penale era già in corso, altri morti ci sono stati e molti altri casalesi si sono ammalati. Prendendo come fonte il Registro dei Mesoteliomi, i 392 morti rappresentano una parte dei 1254 insorti nella popolazione di Casale e dei comuni vicini solo dal 1990 al 2018.
Nel dettaglio: dei 1254 casi, 729 erano uomini, 525 erano donne. Il dato è significativo quando si fa il confronto con la situazione nel resto del Piemonte (che, pure, è una regione con un elevato numero di mesoteliomi) dove i casi conteggiati, nel lasso di tempo tra il 1990 e il 2018 – un arco di 28 anni -, sono in tutto 4315 (2860 uomini e 1455 donne). Quindi, poco meno di un terzo risultano concentrati nel territorio Casalese.
Delle 392 vittime del processo Eternit Bis, 63 sono ex lavoratori dello stabilimento di Casale, 329 sono cittadini che, come si legge nel capo di imputazione, si sono ammalati a causa di una «esposizione incontrollata alla fibra, a tutt’oggi perdurante». Un’esposizione che ha coinvolto anche «fanciulli e adolescenti durante le attività ludiche». E ancora: un’esposizione attribuita alla «condotta imprenditoriale dell’imputato, per un decennio (1976-1986, ndr) di effettiva direzione e gestione di impresa», imputato che «si avvalse sistematicamente di un esperto di comunicazione per allontanare da sé i sospetti e occultare le proprie responsabilità». Anzi, l’imputato «ha rasserenato la collettività con notizie infondate», promuovendo una metodica «opera di disinformazione» sulla reale pericolosità e cancerogenicità dell’amianto.
FONTI DI DIFFUSIONE DELLA FIBRA DI AMIANTO
I consulenti della procura hanno rappresentato con documenti, mappe, fotografie e filmati i luoghi dove c’è stata una maggiore concentrazione (con conseguente diffusione incontrollata) di fibre di amianto. In particolare: lo stabilimento al Ronzone, in via Oggero; l’area cosiddetta Ex Piemontese, affacciata sulla stessa via Oggero (dove, ogni giorno, con una ruspa venivano frantumati a cielo aperto gli scarti di manufatti di amianto provenienti da tutti gli stabilimenti Eternit d’Italia, sbriciolati grossolanamente per essere poi reimmessi nel ciclo produttivo, attraverso il passaggio nel Mulino Hazemag, installato durante il periodo di gestione Schmidheiny); la discarica in riva al Po; i Magazzini in piazza d’Armi dove venivano stoccati i manufatti finiti (lastre e tubi); l’area della Piccola Velocità, alla stazione ferroviaria, dove arrivavano i convogli carichi di sacchi di polvere d’amianto destinati allo stabilimento al Ronzone. In tutti i casi, i trasporti, da e verso la fabbrica, avvenivano su camion, per lo più senza teloni di copertura, transitando nel centro abitato, tra le case e le strade percorse normalmente dalla gente. Si aggiunga la diffusione di fibre provocata dalle stesse tute e grembiuli da lavoro indossati dagli operai e dalle operaie che tornavano a casa. E poi altre fonti di inquinamento da amianto erano quelle derivanti dai cosiddetti «usi impropri»: scarti di lavorazione usati per fare sottofondi di strade, o sfridi cioè il polverino impiegato per i battuti dei campetti sportivi e per coibentare sottotetti. Va ricordato che questo materiale di risulta usciva dalla fabbrica Eternit.
Secondo i consulenti della procura, lo stabilimento e l’area Ex Piemontese erano i siti da cui si sprigionava la più imponente quantità di polvere contenente amianto (anche a causa di carenti o assenti dispositivi di contenimento sia all’interno del posto di lavoro sia all’esterno).
I consulenti della difesa sostengono che, però, c’erano anche altre aziende a Casale, in diversi settori industriali e artigianali, che impiegavano l’amianto in certe fasi specifiche dell’attività (coibenti, materiali d’attrito, trecciatura, tessuti, pavimentazioni, pulizie…); vero, ma lo usavano in concentrazioni assai inferiori rispetto a quelle dell’Eternit che era l’unica fabbrica a utilizzare l’amianto come materia prima e pertanto in quantità massicce.
Nel 1975, nello stabilimento casalese (il più antico, costruito nel 1906, e il più grande in Italia) venivano realizzate 595 tonnellate di prodotti al giorno, con l’uso giornaliero di 75 tonnellate di polvere d’amianto e 17 tonnellate di «recupero secco» (cioè derivante da scarti di lavorazione, triturato e macinato per essere reimmesso nel ciclo produttivo). Nel 1979, la produzione era salita a 640 tonnellate al giorno di manufatti (con un incremento del 20% di tubi), che richiedevano l’uso quotidiano di 83 tonnellate di amianto. L’azienda, dal 1950 in poi, impiegò 3434 operai; nel 1960 ne erano attivi 1650, nel 1970 erano 1200 e nel 1980 erano diminuiti a 800. La lavorazione fu sospesa nel 1986, quando fu dichiarato il fallimento della società italiana, e la fabbrica fu abbandonata da un giorno all’altro; pertanto, la dispersione di fibre continuò fino alla bonifica del 2006 eseguita per iniziativa del Comune di Casale e con finanziamenti pubblici. Allo stesso modo, furono eseguite via via, man mano che le risorse pubbliche erano disponibili, le bonifiche di tutti gli altri luoghi di pertinenza dell’eternit, prima elencati.
I consulenti della difesa, oltre a puntare il dito su altre aziende del territorio, sostengono che la diffusione di fibre proveniente dalla fabbrica al Ronzone (scarsamente o quasi per nulla considerano, invece, l’area ex Piemontese) non era superiore, anzi!, a quella prodotta dai polverini e dai battuti riscontrati in diversi luoghi della città e dei paesi limitrofi. E gli esperti della difesa hanno anche ricordato la presenza diffusa di tetti di lastre d’amianto che, a loro dire, a dispetto dell’etimologia del nome Eternit, si sarebbero sfarinati poco tempo dopo essere stati posati. Tetti che, peraltro, c’erano e ci sono in molte, tutte le città italiane dove, però, non sono morte così tante persone per mesotelioma.
IL CANCRO MALIGNO «MESOTELIOMA»
L’esposizione alla fibra di amianto può causare il mesotelioma. Ovvero, il mesotelioma è causato dall’amianto. Diversi studi epidemiologici hanno osservato e studiato il nesso causale tra l’esposizione all’amianto e l’insorgenza del mesotelioma.
Il ReNaM (Registro Nazionale dei Mesoteliomi) registra circa 1600 casi di mesotelioma all’anno in Italia. Considerato che la cosiddetta «incidenza di fondo» (cioè il rischio di contrarre questa malattia in assenza di esposizione) è pari, in un anno, a un caso ogni milione di persone, tenendo conto che la popolazione italiana è di 60 milioni di persone dovremmo avere nel nostro Paese 60 casi e non 1600. La maggior concentrazione si è riscontrata, come si è detto, in certe zone dove appunto l’utilizzo di amianto in misura massiccia era più diffuso (stabilimenti e cantieri navali, in principal modo).
Si è approfondita anche l’ipotesi di una predisposizione genetica ad ammalarsi di mesotelioma, ma, quand’anche ci fosse, nessuno, è la tesi della genetista consulente della procura, si ammala senza esposizione all’amianto.
TUTTI MESOTELIOMI CERTI?
I 392 casi elencati nel capo di imputazione sono tutti mesoteliomi?
Sulla questione si sono confrontati gli anatomopatologi incaricati dalla procura, dalle parti civili e dalle difese.
I consulenti dei pm non hanno dubbi: «Le diagnosi dei 392 casi, “revisionate” tenendo conto delle tecniche diagnostiche al tempo della comparsa della malattia, raffrontate con quelle attuali, sono tutti mesoteliomi maligni, provocati da esposizione all’amianto sia di tipo lavorativo sia ambientale».
Invece, l’anatomopatologo della difesa che ha esaminato 354 dei 392 «vetrini», definisce mesoteliomi certi soltanto il 40% dei casi.
- Immunoistochimica
Secondo la difesa, una diagnosi, per essere accettata come diagnosi certa di mesotelioma, deve essere confermata da un’analisi immunoistochimica, basata su determinati marcatori. Senza la conferma immunoistochimica, ottenuta con quegli specifici marcatori, il caso, secondo la loro posizione, è da scartare dall’elenco delle 392 vittime.
Il punto principale è che le (non «la», poiché vi sono molte colorazioni diverse) immunoistochimiche sono dei test di laboratorio e non sono perfette, come accade a tutti i test. In particolare hanno una certa quota di risultati falsi negativi, così come di falsi positivi. In effetti hanno una quota piuttosto elevata sia degli uni che degli altri, come tutti gli anatomo-patologi hanno riferito, incluso quello incaricato dalla difesa. Farne tante di per sé non è una soluzione. Occorre piuttosto, come hanno insistito specialmente i consulenti di parte civile e della procura, che siano eseguite da patologi esperti, perché le tecniche di esecuzione sono manuali e la lettura non è fatta da un macchinario, ma al microscopio dal patologo. E occorre infine che siano interpretate nel contesto di tutte le informazioni disponibili, incluse quelle sulla distribuzione macroscopica della malattia e l’esame dei preparati microscopici standard (non immunoistochimici).
Il punto è che l’immunoistochimica è una metodologia diagnostica relativamente recente (a partire dagli anni Novanta), e che ha avuto via via un’evoluzione (e si continuano ad affinare le linee guida) dal tempo in cui i diversi casi si erano manifestati.
E quindi? L’anatomopatologa della procura Donata Bellis sostiene che «la diagnosi di mesotelioma si forma e si conferma valutando e confrontando più aspetti: dalla morfologia del tumore, agli esami radiografici (rx, tac, pet), citologici e istologici, con ulteriore, se ritenuta necessaria dagli esperti, riverifica tramite l’immunoistochimica».
L’esperto della difesa Massimo Roncalli è invece categorico: «Un patologo ha il dovere etico di provare che una diagnosi è incontrovertibilmente corretta. L’esperienza conta, ma di più contano le indagini strumentali che consentono di “oggettivare” la diagnosi al di là della semplice esperienza e autoreferenzialità del patologo stesso». E insiste sull’immunoistochimica come tecnica diagnostica per eccellenza. Oggi.
E prima di oggi?
Il consulente delle parti civili, Mauro Papotti, uno dei massimi esperti italiani e internazionali proprio nella diagnosi anatomo-patologica del mesotelioma, afferma: «Considero l’immunoistochimica importante, certo, ma vi garantisco che un patologo esperto non ha bisogno dell’immunoistochimica per diagnosticare la maggior parte dei mesoteliomi. Naturalmente, deve conoscere anche le condizioni cliniche del paziente e gli esiti degli accertamenti radiologici già fatti, soprattutto la Tac». Un altro consulente delle parti civili, Gino Barbieri, sottolinea che «la diagnosi di mesotelioma già si faceva con certezza anche quando l’immunoistochimica non era ancora diffusa. E quindi la diagnosi è altamente affidabile anche quando non abbiamo l’immunoistochimica».
ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO NEL DECENNIO ’76-‘86
Come si fa a dimostrare che chi si è ammalato ha respirato proprio, e anche, le fibre d’amianto diffuse nel periodo in cui l’imputato Schmidheiny era a capo dell’Eternit? Potrebbe averle respirate prima (quando a gestire la società erano suoi predecessori, già morti) o, se residente, potrebbe essere stato contaminato da fibre diffuse nell’ambiente cittadino.
- L’esposizione ambientale
A proposito delle esposizioni ambientali è utile un inciso visto che, in questo processo, la maggioranza delle vittime (330 su 392) non erano lavoratori dell’Eternit): se una persona trascorre 8 ore al giorno in un posto di lavoro, per 5 giorni alla settimana, per 42 settimane all’anno, e al contempo vive a Casale 24 ore al giorno, per 7 giorni su 7, per 52 settimane, il tempo di esposizione sul posto di lavoro è pari a un quarto del totale, mentre quello fuori dal posto di lavoro e nel contesto abitativo è (circa) 3 volte maggiore. Quindi il peso dell’esposizione ambientale è maggiore di quanto non si penserebbe, se si considerasse soltanto il fatto che la concentrazione delle fibre di amianto nell’aria della città è più bassa di quella nell’ambiente di lavoro.
- La latenza
Si inserisce, a questo punto, la questione della «latenza». Più volte si è sentito dire che il mesotelioma è una malattia a lunga latenza, si manifesta, cioè, anche a diversi decenni di distanza dal momento in cui è avvenuta la prima (o le prime) esposizione alla fibra.
- Come si genera il mesotelioma
La cancerogenesi è il processo che genera il tumore, o meglio genera la cellula capostipite del tumore attraverso alterazioni che la trasformano da cellula normale in maligna.
Secondo il modello illustrato dalla genetista Irma Dianzani e totalmente condiviso dagli epidemiologi Corrado Magnani e Dario Mirabelli, tutti consulenti della procura, la trasformazione cellulare non si avvia necessariamente subito dopo l’inizio dell’esposizione all’amianto (in effetti, in molti casi non si avvia mai). Ma, una volta iniziata, si apre una fase successiva, durante la quale subentrano alterazioni progressive fino all’insediamento invisibile del tumore; questa fase si chiama «induzione». Una volta «indotto», il cancro è costituito da una cellula maligna e poi da un piccolo clone di cellule che ne derivano. Perciò non è ancora visibile, ma cresce autonomamente: è questa la fase «preclinica». Quando, poi, la massa tumorale assume una certa consistenza, compaiono i sintomi che portano a diagnosticare la patologia. La «latenza biologica o reale» coincide con la «fase preclinica», cioè quando il tumore si è insediato, ma non si vede ancora. Si intende invece per «latenza convenzionale» l’intervallo tra l’inizio dell’esposizione e la diagnosi; la latenza convenzionale può durare anche quaranta o più anni.
Invece, il consulente della difesa, Pierluigi Nicotera, sostiene che il mesotelioma si forma di colpo, in seguito alla alterazione catastrofica di una cellula fino allora normale.
- Dose cumulativa e anticipazione della malattia
Secondo l’accusa, il rischio di mesotelioma è tanto maggiore quanto più elevata è stata l’esposizione cumulativa, che tiene conto dell’entità di esposizione e del tempo per cui si è protratta per ognuna delle circostanze che si verificano al lavoro e nella vita; la sua ricostruzione terrà conto dei cambiamenti nelle modalità di lavoro e di attività svolte dalla persona, e delle eventuali variazioni di abitazione eccetera. Le molteplici circostanze di esposizione, però, non sono in competizione tra loro, anzi hanno cooperato a determinare il mesotelioma. E’ vero che le prime esposizioni contano di più ai fini dello sviluppo del mesotelioma, ma i consulenti della procura affermano che contano anche quelle successive.
Qual è il rapporto tra esposizione e rischio di ammalarsi?
Per comprenderlo, partiamo da una spiegazione teorica. Se c’è una proporzionalità diretta, raddoppiando l’esposizione il rischio raddoppia a sua volta (e così via: se triplico l’esposizione triplico anche il rischio ecc.). Questo è ciò che accade per l’esposizione cumulativa all’amianto e il rischio di mesotelioma.
Proseguiamo, mettendo sotto osservazione due popolazioni: la popolazione A, con la sua esposizione, e la B con un’esposizione doppia rispetto ad A. L’osservazione dovrà essere prolungata, perché il mesotelioma è una malattia rara: in un anno si verificano pochi casi e sarebbe difficile decidere se vi siano reali differenze tra A e B sulla base di quei pochi casi. Perciò lo studio durerà venti o trenta anni, o anche di più.
Per semplicità, abbiamo i gruppi A e B con le stesse dimensioni (ad esempio 1000 persone). Supponiamo che, ogni 10 anni, nella popolazione A si generino 5 nuovi casi (uno ogni due anni, in media). Nella B se ne formerebbero 10 (uno all’anno). Questo corrisponde raddoppio del rischio per B rispetto ad A.
La realtà, però, è più complessa: per quasi tutte le malattie, l’incidenza non è costante, ma aumenta nel corso dell’osservazione perché nel frattempo le popolazioni invecchiano; pertanto, per la popolazione B il numero di nuovi casi è sempre doppio rispetto ad A, però il numero di casi nel secondo decennio di studio è maggiore, nel terzo è ancora maggiore e così via. Riportiamo i dati su un grafico e analizziamo la situazione: quanto tempo impiega la popolazione A per arrivare ad avere 8 nuovi casi in dieci anni per (più o meno) 1000 persone? Ci arriva nel decennio tra 30 e 39 anni, il cui punto di mezzo è grosso modo 35. E quanto tempo ci mette la popolazione B? Ci arriva nel decennio precedente, quello tra 20 e 29 anni, il cui punto di mezzo è 25. Perciò ha un’anticipazione di 10 anni.
Pertanto, secondo gli esperti dei pubblici ministeri, a una maggiore esposizione all’amianto corrisponde una anticipazione della comparsa del mesotelioma pleurico. Hanno illustrato uno studio pubblicato di recente (lo Studio Azzolina e altri) che ha fornito per la prima volta stime quantitative dell’accelerazione temporale della mortalità per i tumori del polmone e della pleura con l’aumento dell’esposizione cumulativa all’amianto in ambito lavorativo. L’evento morte, a fronte di una maggiore esposizione cumulativa all’amianto, viene anticipato, in base ai calcoli elaborati dallo studio Azzolina, da un minimo di 19 anni fino a 33 anni (a seconda dell’entità di esposizione).
E’ stata anche introdotta dagli esperti dell’accusa la funzione della cosiddetta «clearance» polmonare, un meccanismo naturale di depurazione delle fibre di amianto inalate e depositate nel polmone, ossia la capacità dell’organismo di liberarsi dei corpi estranei tossici. Secondo la tesi dei consulenti della procura, l’efficacia di questa capacità messa in atto dall’organismo viene annullata dalla continuità dell’esposizione: se una persona continua a essere esposta all’amianto, l’eliminazione delle fibre è vanificata dall’introduzione di nuove fibre e, quindi, anche il rischio di mesotelioma continua sempre a crescere. Quindi le dosi aggiuntive contano.
La difesa respinge questa tesi e ritiene «ingiustificato» addurre la «clearance» a sostegno della tesi secondo cui il persistere delle esposizioni fa aumentare il rischio di ammalarsi di mesotelioma. Ciò che conta, secondo i consulenti di Schmidheiny, è il tempo dalla prima esposizione (o prime esposizioni) alla fibra: è nei momenti iniziali che si colloca l’esordio delle mutazioni cellulari che determinano, successivamente, la formazione tumorale. A parere della difesa, tutte le esposizioni successive non contano più, sono ininfluenti.
In merito allo studio Azzolina, gli esperti della difesa ritengono che non consente di superare le conoscenze precedenti e cioè che a una maggiore esposizione alla fibra di amianto corrisponda un maggior tasso di incidenza. Ammettono che, sì, più aumenta l’esposizione all’amianto, più aumentano i casi di persone che si ammalano di mesotelioma, ma negano che ci sia un’anticipazione dell’evento morte.
L’EPIDEMIOLOGIA
I consulenti di Schmidheiny contestano l’utilizzo dei dati epidemiologici riferiti alla singola persona, perché, a loro modo di vedere, «la ricerca epidemiologica quantifica l’incidenza della malattia sulla popolazione, non sul singolo caso». E «la popolazione è disomogenea, composta da individui uno diverso dall’altro». Pertanto, è la tesi difensiva, «se l’epidemiologia può avere un interesse generale per modificare le abitudini di vita dei singoli individui», i risultati delle indagini epidemiologiche «non possono essere applicati in termini di causalità», cioè non sono in grado di spiegare la causa specifica della malattia nel singolo individuo.
Benché convengano che, nella letteratura scientifica, il nesso di causa tra esposizione ad amianto e sviluppo del mesotelioma sia stato più che sufficientemente dimostrato, in questo processo – insistono – l’oggetto della valutazione non è solo, e non è tanto, l’individuazione del fattore causale a cui sono riconducibili le patologie asbesto-correlate, quanto, soprattutto e oltre ogni ragionevole dubbio, le modalità di esposizione per ogni singola persona offesa. Vale a dire che bisogna provare che la fonte delle fibre di amianto, che ha causato il mesotelioma specificatamente in ognuna di quelle persone, fu con certezza l’Eternit di cui Schmidheiny era a capo.
Gli esperti della procura, invece, hanno consegnato alla Corte d’Assise un documento in cui l’Associazione Italiana di Epidemiologia evidenzia il caso degli studi clinici a sostegno «dell’applicabilità delle valutazioni epidemiologiche alla singola persona» e hanno portato l’esempio di quel che si fa nella sperimentazione dei farmaci, che si basa sulla comparazione tra un gruppo di malati A cui viene somministrato il farmaco nuovo da testare e un altro gruppo B cui viene somministrato il farmaco standard o un placebo. Se viene dimostrata, nel gruppo A, una maggior efficacia della nuova cura rispetto a quella vecchia somministrata al gruppo B, la terapia nuova viene poi adottata per i casi singoli.
A giudizio della difesa per gli scopi dell’epidemiologia si possono accettare delle approssimazioni, ma è un errore passare dalla conclusione epidemiologica, secondo cui la frequenza del mesotelioma dipende dall’esposizione cumulativa, alla conclusione biologica che qualsiasi incremento di esposizione determini un incremento del rischio di mesotelioma. Invece, gli esperti della procura replicano che «l’epidemiologia non è affatto approssimazione, ma si basa sull’osservazione e sull’analisi di casi concreti delle singole persone che si sono ammalate».
CHE COSA SAPEVA L’IMPUTATO
La difesa sostiene che, all’epoca dei fatti – quindi tra il 1976 e il 1986 –, le conoscenze sul rischio di ammalarsi di mesotelioma non erano quelle attuali e si riteneva che l’impiego dell’amianto fosse possibile in determinate condizioni di sicurezza. Dicono inoltre che gli stessi ricercatori non erano tutti concordi, neppure dopo il 1964, quando, peraltro, al Simposio internazionale dell’Accademia delle Scienze di New York, gli scienziati Irving Selikoff e Jacob Churg affermarono senza dubbi non soltanto che l’amianto causa il cancro al polmone e il mesotelioma della pleura e del peritoneo, ma anche che il rischio di ammalarsi di mesotelioma è presente tanto nei lavoratori quanto nelle popolazioni esposte alla fibra diffusa nell’aria contaminata nei dintorni dei siti industriali in cui l’amianto era impiegato nel ciclo produttivo.
Il professor Enrico Vigliani, il più autorevole medico del lavoro italiano, direttore della clinica del lavoro di Milano e più volte presidente della Società italiana di Medicina del lavoro, nel 1968, aveva illustrato – oltre che in diverse comunicazioni scientifiche, anche in più consulenze svolte proprio per gli industriali – la cancerogenicità degli amianti e in particolare della crocidolite.
E, dunque, che cosa sapeva Schmidheiny sulla effettiva pericolosità della materia prima che utilizzava nelle proprie aziende? Era incerto? Il suo scienziato di riferimento, Klaus Robock, lo aveva rassicurato o lo aveva messo in guardia? Era convinto che sostituendo alcuni macchinari vetusti con altri nuovi il problema del contenimento delle fibre d’amianto si sarebbe risolto? Tanto da far credere all’Inail (con puntuali minimizzazioni dei risultati dei monitoraggi ambientali) che la dispersione nello stabilimento casalese era al di sotto dei limiti consentiti e quindi l’Eternit non avrebbe più dovuto versare il «sovrappremio»? Salvo la netta smentita del professor Michele Salvini, dell’Università di Pavia, che fece un’accurata perizia e, nei primi anni Ottanta, di polvere, dentro la fabbrica, ne trovò ben oltre la soglia consentita.
Di che cosa era convinto, a quell’epoca, l’imprenditore svizzero?
Per credere nella buona fede dovremmo buttare in un tritadocumenti tutti i verbali, le testimonianze, la corrispondenza, le tracce, gli atti, ad esempio, del convegno di Neuss (da Schmidheiny convocato nel 1976 e presieduto, in cui si parlò chiaramente del rischio di insorgenza del mesotelioma maligno nella produzione di cemento-amianto: è documentato), il Rapporto Auls 76 (redatto pochi mesi dopo Neuss), della sistematica prolungata attività di propaganda a sostegno dell’amianto e di nascondimento dei rischi mortali, ideata dall’esperto di pubbliche relazioni Roberto Bellodi (ingaggiato dall’imputato) e pianificata nel manuale che porta il suo nome.
Prima nel Rapporto Auls 76 e, successivamente, con maggiori dettagli e accuratezza, nel manuale Bellodi (anche detto la «Bibbia» dai massimi dirigenti del gruppo Eternit), erano indicate con precisione le risposte da dare (a seconda che a fare domande fossero politici, o giornalisti, o sindacalisti, o operai, o cittadini) affinché la vicenda rimanesse rigorosamente circoscritta all’ambito locale e si concedessero solo riferimenti a dirigenti locali, che facevano da barriera. Era da scongiurare assolutamente che l’interesse e la curiosità sconfinassero a quelli indicati come livelli 3 e 4: cioè le società svizzere di vertice e, più di tutto, il nome di Stephan Schmidheiny.
Se era innocentemente ignaro dei rischi mortali dell’amianto, perché promuovere una costosa propaganda di minimizzazione? Che cosa aveva da nascondere? E perché doveva nascondersi?
LA MARTORIATA CASALE
Prendiamo spunto da uno dei numerosi studi epidemiologici svolti a Casale per fare una riflessione.
L’analisi sulla coorte dei lavoratori Eternit maschi. pubblicata nel 2008, ne aveva studiato la mortalità dal 1950 al 2003. Le analisi avevano evidenziato che il rischio di ammalarsi di mesotelioma pleurico era 32 volte maggiore rispetto a un maschio piemontese. In altre parole, se tra i lavoratori dello stabilimento di Casale la frequenza del mesotelioma fosse stata uguale a quella degli abitanti del Piemonte ci sarebbero stati tre casi e non i 96 che si sono verificati nella coorte: 93 di quei 96 (cioè il 96,9%) sono semplicemente di troppo. Dall’analisi eseguita con lo stesso metodo sulla mortalità delle operaie dell’Eternit emerge un eccesso pari al 98%.
E nella popolazione in generale? Lo studio che analizza l’andamento tra il 2010 e il 2014 registra un eccesso di mesoteliomi pari al 92% rispetto alla popolazione piemontese.
La riflessione è questa: senza quella esposizione all’amianto oltre il 90 per cento delle persone esaminate non sarebbero morte di mesotelioma nella martoriata Casale.
BREVE STORIA DEL PROCESSO ETERNIT BIS
Il processo Eternit Bis, per la morte di 392 casalesi e monferrini a causa dell’amianto, si svolge in corte d’Assise a Novara. Perché Novara? Che c’entra con Casale? Giova ripassare le tappe di questo procedimento penale.
Il procedimento Eternit Bis era stato incardinato dalla procura di Torino ed esaminato, in udienza preliminare, dal gup di quel tribunale che aveva riqualificato il reato di omicidio doloso, contestato dal pubblico ministero, in omicidio colposo.
Questa decisione aveva prodotto, come conseguenza, che il fascicolo venisse «spacchettato»: un filone, per due vittime di Cavagnolo (uno per asbestosi, l’altra per mesotelioma), era finito davanti al giudice monocratico di Torino; un altro per otto vittime di Bagnoli era passato alla procura di Napoli; un altro a Reggio Emilia per un paio di vittime di Rubiera e quello più pesante, per 392 morti di Casale e del Monferrato, era stato trasferito alla procura di Vercelli (perché competente, territorialmente del territorio monferrino, dopo l’avvenuta soppressione del tribunale di Casale).
A Reggio Emilia non si è saputo, fino a ora, più nulla.
A Napoli, i pm hanno insistito sulla contestazione di omicidio volontario con dolo eventuale, ma la Corte d’Assise, in primo grado, ha riqualificato il reato in omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente. Pertanto, per sei degli otto casi di morte, essendo trascorso molto tempo dalla chiusura dello stabilimento, si è abbattuta la mannaia della prescrizione (che non è dichiarazione di innocenza, ma evita la condanna). Per un caso, di diagnosi dubbia, Schmidheiny è stato assolto. La pena di tre anni e sei mesi è invece stata inflitta per un unico caso di morte, più recente, per il quale non ha ancora inciso la prescrizione. Ora, la difesa ha impugnato la sentenza di condanna e si attende che venga fissato il processo in Appello.
Anche a Vercelli la procura aveva ribadito la contestazione di omicidio doloso e, con questa accusa, il gup aveva rinviato a giudizio l’imprenditore svizzero. Il tipo di reato – omicidio doloso – comporta il giudizio in Corte d’Assise; poiché Vercelli non è sede di Corte d’Assise, quella competente per territorio è Novara. Ed è appunto qui, nell’aula magna dell’Università convertita temporaneamente in aula giudiziaria, che si svolge il processo di cui, come già detto, si conclude ora la fase dibattimentale e prende avvio la discussione conclusiva. La Corte è presieduta da Gianfranco Pezone, affiancato dal giudice togato Manuela Massino e da sei popolari.
In fase più avanzata è, invece, il processo per i morti di Cavagnolo, dove l’imputato, in primo grado, è già stato condannato a quattro anni. Si è poi svolto il processo in secondo grado e il verdetto era atteso il 29 novembre. Invece, era stata fissata una nuova udienza al 25 gennaio per ulteriori approfondimenti. Così è stato: in quella data sono stati ascoltati consulenti della procura e della difesa, il 16 febbraio è stata fissata una udienza per repliche. Interverranno i legali delle parti (per la difesa: Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, e, tra le parti civili, Laura D’Amico e Laura Mara); il pg Carlo Maria Pellicano aveva già chiesto la conferma della condanna di primo grado a quattro anni. Poi dovrebbe essere pronunciato il verdetto, non si sa se in quello stesso giorno e in altra data.
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TRANSLATION BY VICKY FRANZINETTI
Summary and crucial issues in the Eternit Bis trial
By Silvana Mossano
Monday January the 30th, 2023
The hearings of the Eternit Bis criminal proceedings are practically over, although Gianfranco Pezone, Chief Justice of the Court of Assizes, will officially declare it closed on Monday, January the 30th 2023.
So far, between 9 June 2021 and 16 January 2023, 36 hearings have been held.
The trial is not over. On the 30th the closing speeches start with two hearings for the Prosecution (Gianfranco Colace and Mariagiovanna Compare) on Monday the 30th of January and Friday the 10th of February, two for the plaintiffs’ lawyers (Monday the 20th and Monday the 27th of February) and two (Friday the 10th of March and Wednesday the 29th of March) for lawyers Astolfo Di Amato and Guido Carlo Alleva defending the defendant Stephan Schmidheiny.
INDICTMENTS
The Swiss businessman, who to date has always refused to attend and is represented by his lawyers, is accused of the murder, with possible wilfulness, of 392 people from Casale and Monferrato, who died of mesothelioma caused by the uncontrolled spread of asbestos. Asbestos was the raw material used in the production of manufactured products (roofing sheets and pipes) that took place for eighty years, between 1906 and 1986, in the Eternit factory in Casale Monferrato. The factory was located in the Ronzone district (in Via Oggero), exactly 1,276 metres from the Cathedral (Duomo) , taken as the central point of the city. The factory was practically surrounded by the houses of the district in which it stood and was close to the town centre.
THE ACCUSED
Schmidheiny headed Eternit in several countries. In Italy, he did from 1976 when his father Max shared out his industrial empire between his two sons: Stephan received the asbestos-cement sector, Thomas cement). He stopped in 1986 the year the Italian company filed for bankruptcy. His lawyers claim that the Swiss entrepreneur’s galaxy of companies was so vast that it was impossible for him to have had the whole situation under control and to know what was happening in Casale Monferrato. For the prosecution, however, documents and correspondence with close associates show that Schmidheiny was both owner and CEO. His role was very pervasive. “He was the Master of Eternit’.
THE VICTIMS
The indictment lists the names of 392 mesothelioma victims. It should be clear that they are just some of the asbestos-related deaths in Casale and the surrounding area. There were many more and, when this criminal case was already underway, other deaths occurred and many other members of the Casale community have developed the disease. Using the National/Regional Mesothelioma Registry as a source, the 392 deaths are part of the 1254 that occurred in the population of Casale and neighbouring municipalities from 1990 to 2018 alone.
In detail: of the 1,254 cases, 729 were men, 525 were women. The figure is significant when one compares it to the rest of region Piedmont (which is also a region with a high number of mesotheliomas) where the cases counted in the period between 1990 and 2018 – a span of 28 years – total 4,315 (2,860 men and 1,455 women). Thus, just under a third are concentrated in the Casale area which is very small.
Of the 392 victims in the Eternit Bis trial, 63 are former workers of the Casale plant, 329 are members of the community who, as the indictment states, developed mesothelioma due to ‘uncontrolled exposure to the fibre, which has persisted to this day’. An exposure that also involved ‘children and teenagers during play activities’. And again: an exposure attributed to the defendant’s ‘entrepreneurial conduct, for a decade (1976-1986, ed.) of effective direction and management of the company’, a defendant who ‘systematically availed himself of a communications expert to divert suspicions from himself and conceal his responsibilities’. On the contrary, the defendant ‘reassured the community with unfounded news’, promoting methodical ‘ disinformation’ on the real danger and carcinogenicity of asbestos.
SOURCES OF THE SPREAD OF ASBESTOS FIBRES
The prosecutor’s expert witnesses used documents, maps, photographs and films of the places where there was a greater concentration (and subsequent uncontrolled spread) of asbestos fibres. In particular: the plant at Ronzone, in via Oggero; the so-called Ex Piemontese area, overlooking the same via Oggero (where, every day, a bulldozer was used to crush the asbestos waste from all the Eternit plants in Italy, reduced to dust [to be then some reintroduced into the production cycle], through the Hazemag Mill, installed during the Schmidheiny management period), some dumped in the landfill on the banks of the Po; the Magazzini in Piazza d’Armi where the finished products (slabs and pipes) were stored; the Piccola Velocità area, at the railway station, where convoys loaded with sacks of asbestos dust destined for the Ronzone plant arrived. In all cases, the transports, to and from the factory, took place in lorries, mostly without tarpaulins, passing through the built-up area, between houses and roads normally used by people. Add the spread of fibres caused by the overalls and aprons worn by the workers on their way home. Other sources of asbestos pollution were those from so-called ‘improper uses’: processing scraps used to make roadbeds, or using scraps in sports grounds and for insulating roofs. This waste material came from the Eternit factory.
According to the prosecutor’s consultants, the factory and the Ex Piemontese area were the sites from which the largest amount of asbestos-containing dust was released (also due to poor or absent containment devices both inside the workplace and outside).
However, the defence consultants maintain that there were also other companies in Casale, in various industries and craft, which used asbestos in specific phases of their activities (insulation, friction materials, braiding, textiles, flooring, cleaning…); true, but they used it in much lower quantities than Eternit, which was the only factory to use asbestos as a raw material and therefore in massive amounts.
In 1975, the Casalese factory (the oldest, built in 1906, and the largest in Italy) was manufacturing 595 tonnes of products a day, a daily use of 75 tonnes of asbestos dust and 17 tonnes of ‘dry recovery’ (i.e. derived from processing waste, shredded and ground to be reintroduced into the production cycle). By 1979, production had risen to 640 tonnes a day of manufactured products (with a 20% increase in pipes), which required the daily use of 83 tonnes of asbestos. The company employed 3,434 workers from 1950; by 1960 there were 1650, in 1970 there were 1,200 and in 1980 they had dropped to 800. Manufacturing stopped in 1986, when the Italian company filed for bankruptcy, and the plant was abandoned from one day to the next. This meant dispersion of fibres continued until the 2006 clean-up carried out by the Town of Casale and with public funding. Likewise, the reclamation of all the other above listed asbestos sites was gradually carried out as public resources became available.
As well as pointing the finger at other companies in the area, defence expert witnesses claimed that the spread of fibres from the factory at Ronzone [unclear (little or almost no consideration was given to the former Piemontese area)] was no greater than that produced in various places in the city and neighbouring towns. They also recalled the widespread presence of asbestos sheet roofs which, they said, in spite of the name Eternit (the eternal one) , crumbled gradually after being laid down. Roofs that, moreover, were and are in many, all Italian cities where not so many people have died from mesothelioma.
THE MALIGNANT CANCER ‘MESOTHELIOMA
Exposure to asbestos fibre can cause mesothelioma. That is, mesothelioma is caused by asbestos. Several epidemiological studies have observed and studied the causal link between exposure to asbestos and the onset of mesothelioma.
The ReNaM (National Mesothelioma Registry) records about 1600 cases of mesothelioma per year in Italy. Considering that the so-called ‘background incidence’ (i.e. the risk of contracting this disease in the absence of exposure) is equal to one case per million people per year, taking into account that Italy has a population is 60 million, we should have 60 cases in our country and not 1600. The highest concentration was found, as has been said, in certain areas where the use of asbestos on a massive scale was more widespread (factories and shipyards, in particular).
The hypothesis of a genetic predisposition to develop mesothelioma has also been examined in depth, but, even if there was one, the prosecutor’s genetic expert witness testified that nobody develops it without exposure to asbestos.
ARE ALL the CASES DEFINITELY MESOTHELIOMAS?
Are the 392 cases listed in the indictment all mesotheliomas? Pathologists appointed by the public prosecutor’s office, the plaintiffs and the defence expert witnesses have discussed the matter in detail.
The public prosecutor’s expert witnesses have no doubts: ‘The diagnoses of the 392 cases, ‘revised’ taking into account the diagnostic techniques at the time of the appearance of the disease, compared with the current ones, are all malignant mesotheliomas, caused by both occupational and environmental’ exposure to asbestos.
In contrast, the defence expert witness (an anatomy professor) who examined 354 of the 392 ‘slides’ defined only 40% mesotheliomas as certain.
– Immunohistochemistry
According to the defence, for a mesothelioma diagnosis to be certain, it must be confirmed by immune-histo-chemical analysis, based on certain markers. Without immune-histo-chemical confirmation, based on those specific markers, they maintain, cases must be excluded from the list of 392 victims.
The main point is that the immune-histo-chemicals are laboratory tests and are not perfect, as is the case with all tests. In particular, they have a certain number of false negative results, as well as false positive ones. In fact, they have quite a high number of both, as all anatomo-pathologists have reported, including the one appointed by the defence. As the plaintiff’s and prosecutor’s expert witnesses insisted, tests have to be performed by experienced pathologists, because the techniques are manual and the reading is not done by machine but by the pathologist under the microscope. Finally, results need to be interpreted in the context of all available information, including information on the macroscopic distribution of the disease and the examination of standard (non-immuno-histo-chemical) microscopic preparations.
The point is that immune-histo-chemistry is a relatively recent diagnostic methodology (since the 1990s), and it has evolved and guidelines continue to be fine-tuned from the as tests varied in time
So what? The PPs’ pathologist Donata Bellis maintained that ‘the diagnosis of mesothelioma is made and confirmed by evaluating and comparing several aspects: from the morphology of the tumour, to the radiographic (X-ray, CT, PET), cytological and histological examinations, and if deemed necessary confirmed by the experts, and re-verified through immune-histo-chemistry’.
On the other hand, Massimo Roncalli, a defence expert witness was categorical: ‘A pathologist has an ethical duty to prove that a diagnosis is unquestionably correct. Experience counts, but instrumental investigations allow the diagnosis to be ‘objective’ more than the mere experience and self-referential expertise of the pathologists themselves. He insisted on immune-histo-chemistry as the diagnostic technique par excellence. Nowadays.
And what about before now?
Prof Mauro Papotti, the civil plaintiffs’ expert witness, and one of the leading Italian and international experts precisely in the pathology of mesothelioma diagnosis, stated: ‘I consider immune-histo-chemistry important, of course, but I guarantee that an expert pathologist does not need immune-histo-chemistry to diagnose most mesotheliomas. Of course, the pathologist must also be aware of the patient’s clinical condition and the results of previous X-rays, and especially the CAT scans’. Dr Gino Barbieri another expert witness for the plaintiffs emphasised that ‘the diagnosis of mesothelioma was already being made with certainty even when immune-histo-chemistry was not yet widespread. Diagnosis is highly reliable even when we do not have immune-histo-chemistry’.
EXPOSURE TO ASBESTOS IN THE 1976-1986 DECADE
How does one prove that the person who developed mesothelioma breathed in asbestos fibres spread during the period when the defendant Schmidheiny headed Eternit? The person may have breathed the fibres before (under Schmidheiny’s predecessors, who were already dead) or, if a member of the community, they may have been contaminated by fibres spread earlier in the city environment.
– Environmental exposure
On the subject of environmental exposure, an aside is useful given that, in this trial, the majority of the victims (330 out of 392) were not Eternit workers: if a person spends 8 hours a day in a workplace, for 5 days a week, for 42 weeks a year, and at the same time lives in Casale 24 hours a day, 7 days a week, for 52 weeks, the exposure time in the workplace is a quarter of the total, while that outside the workplace and in the living environment is (approximately) 3 times greater. Thus, the weight of environmental exposure is greater than one would think if one were to consider only the fact that the concentration of asbestos fibres in city air is lower than that in the work environment.
– Latency
The issue of ‘latency’ comes into play at this point. It has often been said that mesothelioma is a disease with a long latency period, that is, it manifests itself even several decades after the first exposure(s) to the fibre occurred.
– How does mesothelioma develop?
Carcinogenesis is the process that leads to the tumour developing, or rather generates the tumour progenitor cells through alterations that transform it from a normal cell into a malignant one.
According to the model illustrated by the geneticist Prof Irma Dianzani and totally shared by epidemiologists Prof Corrado Magnani and Dr Dario Mirabelli, all prosecution expert witnesses, cell transformation does not necessarily start immediately after the beginning of exposure to asbestos (in fact, in many cases it never starts). But, once started, there is a subsequent phase, during which progressive alterations take place; this phase is called ‘induction’. Once ‘induced’, the cancer has a malignant cell and then a small clone of cells ensue from it. It is not yet visible, but grows autonomously: this is the ‘preclinical’ phase. When, then, the tumour mass takes on a certain consistency, symptoms appear that lead to the diagnosis of the disease. Biological or ‘real latency’ coincides with the ‘preclinical phase’, i.e. when the tumour has set in but cannot yet be seen. By contrast, ‘conventional latency’ means the interval between the start of exposure and diagnosis; conventional latency can last for forty or more years.
Instead, Prof Pierluigi Nicotera, the defence expert witness, argues that mesothelioma develops suddenly, following the catastrophic alteration of a hitherto normal cell.
– Cumulative dose and anticipation of the disease
According to the plaintiffs’ defence, the higher the cumulative exposure the greater the risk of mesothelioma, which considers the extent of exposure and the length of time for which it lasted for each of the circumstances occurring at work and in life. This will take into account changes in the person’s work and activity patterns, and any changes of where they live, etc. The multiple circumstances of exposure, however, do not compete; on the contrary, they cooperate in determining mesothelioma. It is true that the earliest exposures count the most for the development of mesothelioma, but the prosecution expert witnesses showed that the later ones also counted.
What is the relationship between exposure and developing the disease?
Let us start with theory. In the case of directly proportional relationship, doubling the exposure doubles the risk – and so on: if I triple the exposure, I‘ll also triple the risk, and so forth. This is what happens with cumulative exposure to asbestos and the risk of mesothelioma. Let us place two populations under observation: population A, with its exposure, and population B with twice the exposure of A. The observation will have to be prolonged, because mesothelioma is a rare disease: there are only a few cases in a year, and it would be difficult to decide whether there are real differences between A and B on the basis of those few cases. Therefore, the study will last twenty or thirty years, or even longer. In other words we have same size groups A and B say 1,000 people each. Let us assume that, every 10 years, 5 new cases are generated in population A (one every two years, on average). In B, 10 would arise (one every year). This corresponds to a doubling of the risk for B compared to A.
The real world is more complex: for almost all diseases, incidence is not constant, but increases over the course of observation because populations age in the meantime; therefore, for population B the number of new cases is always double that of A, but the number of cases in the second decade of the study is greater, in the third is even greater, and so on. Let us put the data on a graph and analyse the situation: how long does it take for population A to get to 8 new cases in ten years per (more or less) 1000 people? It gets there in the decade between 30 and 39 years, the midpoint of which is roughly 35. And how long does it take population B? It gets there in the previous decade, the one between 20 and 29, whose midpoint is 25. So it has a 10-year lead time.
According to the PPs’ expert witnesses a greater exposure to asbestos corresponds to an earlier onset of pleural mesothelioma. They illustrated a recently published study (the Azzolina et al. Study- attached) that for the first time offered quantitative estimates of the time acceleration of mortality from lung and pleural cancers with increasing cumulative exposure to asbestos in the workplace. According to calculations made by the Azzolina study, death is anticipated with increased cumulative asbestos exposure by a minimum of 19 years up to 33 years (depending on the extent of exposure).
The prosecution expert witnesses also introduced the function of so-called lung ‘clearance’, a natural purification mechanism of inhaled asbestos fibres deposited in the lung, i.e. the body’s ability to rid itself of toxic foreign bodies. According to them, the effectiveness of this capacity the body is cancelled by the continuity of exposure: if a person continues to be exposed to asbestos, the elimination of the fibres is nullified by the introduction of new fibres and, therefore, the risk of mesothelioma also continues to increase. The conclusion: additional doses count.
The defence rejected this argument and considered it ‘unjustified’ to use ‘clearance’ to support the argument that continued exposure increases the risk of falling ill with mesothelioma. According to Schmidheiny’s consultants, what matters is the time from the first exposure (or first exposures) to the fibre: it is in the initial moments that the onset of the cellular mutations that subsequently lead to tumour formation takes place. In the defence’s opinion, all subsequent exposures no longer count, they are irrelevant.
With regard to the Azzolina study, the defence expert witnesses believe it does not question previously held knowledge, namely that a greater exposure to asbestos fibre leads to a higher incidence rate. They admit that, yes, the more exposure to asbestos, the more cases of people falling ill with mesothelioma, but deny that there is any anticipation, hastening death and increasing numbers.
EPIDEMIOLOGY
Schmidheiny’s expert witnesses question the use of epidemiological data referred to the single case, because, in their view, ‘epidemiological research quantifies the incidence of the disease on the population, not the individual case’. And ‘the population is not homogenous but consists of diverse individuals. Therefore, the defence thesis suggests that , ‘while epidemiology may have a general interest in changing the life habits of individuals’, the results of epidemiological research ‘cannot be applied in terms of causality’, i.e. they cannot explain the specific cause of the disease in an individual. They agree that, in the scientific literature, the causal link between exposure to asbestos and the development of mesothelioma has been more than sufficiently demonstrated, but in this trial – they insist – the object is not only, and not so much, the identification of the causal factor to which the asbestos-related pathologies are attributable, but, above all and beyond any reasonable doubt, how each individual mesothelioma victim was exposed. That is to say, it must be proved that the source of the asbestos fibres, which caused the mesothelioma specifically in each one of those persons, was with certainty Eternit, which Schmidheiny owned and managed.
On the other hand the prosecution expert witnesses handed the Court a document where the Italian Association of Epidemiology highlighted the case of clinical trials in support of ‘the applicability of epidemiological evaluations to the individual person’ and brought the example of what is done in drug testing, which is based on the comparison between a group of patients A to whom the new drug to be tested is administered and another group B to whom the standard drug or a placebo is administered. If it is shown that the new treatment is more effective in group A than the old treatment administered to group B, the new treatment is then adopted for individual cases.
In the defence’s view, for the purposes of epidemiology, one can accept approximations, but it is a mistake to apply the epidemiological conclusion that the frequency of mesothelioma depends on cumulative exposure to the biological conclusion that any increase in exposure leads to an increased risk of mesothelioma. The Prosecution expert witnesses responded saying that ‘epidemiology is not an approximation at all, but is based on the observation and analysis of concrete cases of individuals who have developed the disease’.
WHAT THE DEFENDANT KNEW
The defence argues that, at the time of the events – i.e. between 1976 and 1986 – knowledge about the risk of falling ill with mesothelioma was not what it is today and it was believed that the use of asbestos was possible under certain safety conditions. They also say that the researchers themselves were not all in agreement, not even after 1964, when, moreover, at the International Symposium of the New York Academy of Sciences, scientists Irving Selikoff and Jacob Churg stated that beyond doubt not only that asbestos caused lung cancer and mesothelioma of the pleura and peritoneum, but also that the risk of developing mesothelioma is true both for workers as in communities exposed to the fibre in the contaminated air around industrial sites where asbestos was used in the production cycle.
In 1968, Professor Enrico Vigliani, Italy’s most authoritative occupational physician, director of the Milan labour clinic and several times president of the Italian Society of Occupational Medicine, had illustrated the carcinogenicity of asbestos and in particular of crocidolite – not only in several scientific communications, but also in several expert opinions for industrialists.
So what did Schmidheiny know about the real danger of the raw material he used in his companies? Was he uncertain? Had his scientist of reference, Klaus Robock, reassured him or warned him? Was he convinced that replacing a few old machines with new ones would solve the problem of containing asbestos fibres? So much so that he made Inail (The Italian Workers’ Compensation Agency) believe (with precise minimisation of the results of environmental monitoring) that the dispersion in the Casalese plant was below the permitted limits and therefore Eternit would no longer have to pay the ‘extra benefits’? Except for the clear denial by Professor Michele Salvini of the University of Pavia, who carried out an accurate survey and, in the early 1980s, found dust inside the factory well above the permitted threshold.
What did the Swiss entrepreneur believe at that time?
To believe in good faith, we would have to throw into a shredder all the minutes, testimonies, correspondence, traces, the proceedings, for example, of the Neuss Conference which Schmidheiny convened in 1976 with his managers and chaired, where the risk of mesothelioma occurring in asbestos-cement production was clearly discussed as documented, the Auls 76 Report drafted a few months after Neuss, of the systematic extended propaganda activity in support of asbestos and concealment of the deadly risks, devised by the public relations expert Roberto Bellodi (hired by the defendant) and planned in the manual or handbook that bears his name.
First in the Auls 76 Report and, later, with greater detail and accuracy, in the Bellodi Manual (also called the ‘Bible’ by the top executives of the Eternit group), the answers to be given were precisely indicated (depending on whether the questioners were politicians, or journalists, or trade unionists, or workers, or citizens) so that the affair remained strictly circumscribed to the local sphere and only references to local executives were allowed, acting as a barrier. It was to be avoided that interest and curiosity encroached on those indicated as levels 3 and 4: that is, the top Swiss companies and, above all Stephan Schmidheiny’s name had to be shielded.
If he was innocently unaware of the deadly risks of asbestos, why promote a costly propaganda of minimisation? What did he have to hide? And why did he have to hide?
CASALE: A SUFFERING TOWN
We take our cue from one of the many epidemiological studies carried out in Casale to make a point.
The analysis on the male Eternit cohort of workers. published in 2008, had studied their mortality from 1950 to 2003. The analysis had shown that the risk of falling ill with pleural mesothelioma was 32 times higher than that of a Piedmontese male. In other words, if the frequency of mesothelioma had been the same among the workers of the Casale plant as among the inhabitants of Piedmont, there would have been three cases and not the 96 that occurred in the cohort: 93 of those 96 (i.e. 96.9%) are simply too many. An analysis carried out using the same method on the mortality of the Eternit workers shows an excess of 98%.
What about the town’s the general population? The study analysing the trend between 2010 and 2014 records a 92% excess of mesotheliomas in the Piedmont population.
The comment: without that exposure to asbestos, more than 90 per cent of the people examined would not have died of mesothelioma in suffering Casale.
BRIEF HISTORY OF THE ETERNIT BIS TRIAL
The Eternit Bis trial, for the death of 392 people from Casale and Monferrato due to asbestos, is being held in the Assize Court in Novara. Why Novara? What does it have to do with Casale? It is worth reviewing the stages of these criminal proceedings.
The Eternit Bis proceedings had been held in Turin and examined, in a preliminary hearing, by the Preminary Hearing Magistrate (in Italian GUP– Giudice dell’Udienza preliminare) of that court, which had downgraded the indictment of intentional murder, requested the public prosecutor, to manslaughter.
This decision resulted in the case being ‘unpacked’: one, for two victims in Cavagnolo (one due to asbestosis, the other for mesothelioma), had ended up before a single magistrate in Turin; another for eight victims in Bagnoli (Naples) with the PP’s request; another to Reggio Emilia for victims in Rubiera and the largest one, for 392 deaths in Casale Monferrato , transferred to the public prosecutor’s office in Vercelli, as Casale falls under the remit of the Vercelli prosecution of the Court of Assizes which is where a trial for murder (as the indictment reads) has to be heard.
The Reggio Emilia trial has not yet started.
In Naples, the prosecutors insisted on the charge of voluntary murder with possible wilfulness, but the Court of Assizes, at first instance, downgraded the indictment to manslaughter with the aggravating circumstance of awareness and knowledge. Therefore, the statute of limitations applied to six of the eight cases since much time had elapsed since the closure of the plant (which does not mean Schmidheiny is innocent but avoids conviction). For one case, of doubtful diagnosis, Schmidheiny was acquitted. The sentence of three years and six months was instead ruled for a single, more recent death case, for which the statute of limitations had not yet run out. The defence has appealed the conviction and is waiting for the appeal trial date to be set.
In Vercelli, the public prosecutor had also asked for wilful murder and, the GUP had sent the Swiss entrepreneur to trial with this indictment. Murder entails a trial in an Assize Court; since Vercelli is not the seat of an Assize Court, the one with territorial jurisdiction is Novara. And it is precisely here, in the university lecture hall temporarily converted into a courtroom, that the trial is taking place. As mentioned, the trial has now reached the final stage and the closing arguments are beginning. The Court is presided over by Judge Dr Gianfranco Pezone, with Judge Dr Manuela Massino and six members of the Jury (giudici popolari).
The trial for the deaths in Cavagnolo, where the defendant has already been sentenced to four years went to appeal and the verdict was expected on 29 November. Instead, a new hearing had been set for 25 January for further investigation. In November the expert witnesses from the prosecution and the defence were heard, and a hearing for replies was scheduled for 16 February. The parties’ lawyers will speak (Astolfo Di Amato and Guido Carlo Alleva for the defence, and, Laura D’Amico and Laura Mara for the plaintiffs); the public prosecutor Dr Carlo Maria Pellicano had already asked for confirmation of the first-degree sentence to four years. Then the verdict should be on the same day or on a later date announced then.
https://www.silmos.it/eternit-bis-tutti-i-punti-cruciali-del-processo-in-assise-per-lomicidio-di-392-casalesi-morti-damianto/
https://thorax.bmj.com/content/early/2022/12/07/thorax-2021-217862
Ti sei dimenticata di riferire circa la minimizzazione dei risultati dei monitoraggi ambientali x risparmiare sul pagamento dei sovrappremio
Grazie Silvana! Grande ,ottimo lavoro! La storia e l’analisi degli aspetti più rilevanti che vedono il tuo impegno generoso, sono molto PREZIOSI, per oggi e per domani.
Grazie ancora per la completa e comprensibile esposizione dei fatti. Capire è estremamente importante e tu aiuti tutti noi a comprendere questa tragedia. L’abbiamo vissuta e speriamo che ci sia giustizia.
Sei nata per scrivere … e come scrivi. Grazie per averci” riassunto” con parole precise semplici e comprensibili questa lunga “ agonia del Mesotelioma. Tutti i tuoi scritti resteranno testimonianza per le attuali e future generazioni. Auguriamoci che la GIUSTIZIA pronunci un verdetto CERTO E DEFINITIVO. Continuiamo però ad essere Vigili sempre nel Ricordo di chi e non è più tra di noi. GRAZIE SILVANA