Processo Eternit Bis. Torino, maxiaula «Giuseppe Casalbore», 13 novembre 2024, ore 9: inizia il giudizio di secondo grado nei confronti dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, chiamato a rispondere, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Torino, della morte per amianto di 392 casalesi. E’ difeso da Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva.
Una «storia infinita», secondo molti.
Una storia di «una drammaticità fuori dall’ordinario» l’ha definita Sara Panelli, magistrata della procura generale che sostiene l’accusa insieme ai colleghi Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare.
La Corte è presieduta da Cristina Domaneschi, affiancata da Elisabetta Gallino e dai sei giudici popolari (più sei supplenti).
RIEPILOGO
1 – Relazione della presidente della Corte d’Assise d’Appello: come i giudici di primo grado hanno motivato la sentenza di condanna.
2 – Schmidheiny consapevole dei gravi rischi dell’amianto: la strategia dell’inganno. Convegno di Neuss. Auls 76, il manuale della disinformazione.
3 – La certezza delle diagnosi. Immunoistochimica, ma non solo.
4 – Cinque punti di straordinarietà: il numero dei morti; Schmidheiny nel gotha mondiale dei signori dell’amianto; la scelta di tacere la pericolosità dell’amianto; la dignità delle vittime; la giustizia riparativa.
5 – Giustizia riparativa: che cosa ne pensano i difensori.
6 – Prossima udienza.
[Nella foto in apertura: sul maxischermo alle spalle dei sei giudici popolari supplenti, l’intervento di Romana Blasotti Pavesi]
1 – RELAZIONE DELLA PRESIDENTE DELLA CORTE D’ASSISE
La presidente Domaneschi, fatto l’appello dei presenti e appurato che l’imputato è assente, ha riassunto la vicenda, soffermandosi soprattutto sugli aspetti centrali della sentenza di primo grado emessa, a giugno 2023, dalla Corte d’Assise di Novara.
I giudici di primo grado hanno ritenuto provata la posizione di garanzia di Schmidheiny, cioè di effettivo responsabile dell’Eternit: pur non avendo cariche formali nella società, era lui di fatto, come emerge da più testimonianze (molte anche di persone con posizioni apicali nell’azienda), che assumeva scelte e decisioni strategiche. Era il vertice riconosciuto di Eternit.
La Corte di primo grado ha inoltre stimato che, a fronte di alcuni interventi di risanamento nella fabbrica (ad esempio, il passaggio del ciclo produttivo da secco a umido, installazione di strumenti di captazione delle polveri su certi macchinari…), l’imputato non ha ridotto in modo adeguato l’esposizione alle polveri, sia dentro che fuori dall’ambiente di lavoro.
Sulla consapevolezza dell’imputato, i giudici di Novara, pur affermando che Schmidheiny era decisamente in possesso di conoscenze scientifiche specifiche e approfondite circa la correlazione tra amianto e mesotelioma, hanno ritenuto ragionevole che l’imputato fosse convinto della possibilità di un utilizzo controllato dell’amianto, senza arrivare all’interruzione della produzione; in altre parole, secondo la Corte di Novara, Schmidheiny non ha agito con dolo, ma con colpa, cioè con negligenza, imprudenza, imperizia rispetto alle norme dell’epoca.
La sentenza è stata impugnata sia dalla procura sia dalla difesa: la prima ribadisce l’affermazione del dolo, la seconda insiste sull’assoluzione.
Conclusa la relazione, sono iniziati gli interventi dei tre esponenti della pubblica accusa: Panelli pg della Procura generale di Torino, Colace pm della Procura di Torino e Compare della Procura di Vercelli (gli ultimi due applicati per questa causa).
2 – SCHMIDHEINY CONSAPEVOLE DEI GRAVI RISCHI DELL’AMIANTO
«Leggete che cosa è stato il Convegno di Neuss». Il pubblico ministero Gianfranco Colace si rivolge ai giudici, togati e popolari, e li sollecita a leggere con attenzione gli atti di quell’evento che, a suo parere, è un elemento cruciale del processo per comprendere quanto, come e da quando l’imputato fosse a conoscenza dei gravi rischi dell’amianto.
Convegno di Neuss (comune tedesco della Renania settentrionale dove operava il laboratorio scientifico di Robock, scienziato al servizio di Schmidheiny): più di un elemento cruciale. Neuss, per l’accusa, è il nucleo della strategia dell’inganno decisa dall’imputato nei confronti dei lavoratori e della popolazione. Anzi, a Neuss Schmidheiny «ha fatto una vera confessione» afferma Colace: in tre giorni, tra il 28 e il 30 giugno 1976, l’imprenditore spiega ai 35 top manager del gruppo Eternit, da lui stessi convocati, che cosa provoca l’amianto. «Una vera confessione – insiste il pm -. Schmidheiny dice ai suoi più stretti collaboratori: “Io so. Io so tutto”». Che cosa sapeva? Colace sostiene che l’imputato aveva ben presenti gli esiti di studi scientifici ed epidemiologici che avevano appurato la pericolosità mortale dell’amianto. Ne era ben consapevole, secondo la ricostruzione esposta sia da Colace che da Panelli, anche perché la famiglia Schmidheiny faceva parte del «cartello» mondiale dei produttori di amianto.
Dopo il primo convegno di Neuss, seguì una seconda convocazione a dicembre, quando fu varato «Auls 76», il primo manuale di comportamento che contiene «la politica e la strategia del gruppo Eternit per nascondere la pericolosità dell’amianto»: è un obbiettivo vitale. Infatti, «i 35 dirigenti erano rimasti “scioccati” (termine testuale della verbalizzazione del convegno, ndr), e Schmidheiny dice loro che “questo non deve succedere ai lavoratori. E’ importante che non si cada ora in forme di panico”». Auls, ha insistito Colace, detta i comportamenti e le risposte che bisogna dare perché «non venga messa a repentaglio l’esistenza della nostra industria. Dobbiamo reagire in maniera decisa e combattere con tutti i nostri mezzi». A chi chiede conto dei rischi dell’amianto, bisognava dare spiegazioni rassicuranti: «L’amianto come tale non è pericoloso. Non c’è alcun pericolo per le famiglie (dei lavoratori) fino a che non c’è un test visibile. Può essere esclusa in maniera assoluta l’esistenza di pericolo per coloro che abitano nei pressi dello stabilimento». Queste frasi sono contenute in Auls76 che Colace definisce «manuale di disinformazione».
E, allora, secondo il pm «non possiamo trattare Schmidheiny come un normale datore di lavoro cui rimproveriamo di essere stato negligente! Aveva più conoscenze di tutti. Lui sapeva».
3 – LA CERTEZZA DELLE DIAGNOSI
La diagnosi di mesotelioma è certa soltanto se suffragata dai marcatori più attuali dell’immunoistochimica? Così sostiene la difesa dell’imputato.
La procura respinge questa impostazione, con il sostegno, sottolinea la pm Mariagiovanna Compare, «dei nostri consulenti di cui è accertato e ampiamente riconosciuto un elevato livello di autorevolezza». Come aveva già fatto nel giudizio in Assise di primo grado, la pm torna a ribadirlo ora in Appello: è fuor di dubbio che l’immunoistochimica sia fondamentale per accertare il mesotelioma, e fuori di dubbio è la validità dei marcatori attuali, ma, osserva Compare, la diagnosi si formula tenendo conto anche di altri tipi di esami e approfondimenti, e soprattutto della valutazione complessiva del quadro clinico.
La pm afferma che le obiezioni della difesa sono da respingere e ribadisce la validità di tutte le 392 diagnosi. Non solo; sottolinea che anche le diagnosi meno attuali furono eseguite nella maniera più scrupolosa possibile dai medici che ebbero in cura i pazienti perché l’interesse prioritario di ogni diagnosi è proprio quello di individuare la causa certa della patologia e adottare le terapie più adatte; sarebbe veramente strano che la diagnosi ritenuta vera e certa per curare il malato non sia più ritenuta corretta in tribunale.
4 – CINQUE PUNTI DI STRAORDINARIETA’
Una storia di una «drammaticità fuori dall’ordinario», come l’ha definita la dottoressa Sara Panelli, è per definizione «straordinaria».
La pg ha riassunto cinque punti di straordinarietà.
Straordinarietà del numero delle morti. «Sono contestati, in questo processo, numeri da capogiro: 392 morti che portano la firma dell’amianto!». Si sono ammalate del cancro maligno chiamato mesotelioma. «E’ un tumore rarissimo; secondo numerosi studi epidemiologici – ha spiegato Panelli –, il numero di nuovi casi all’anno, in ambito nazionale, dovrebbe essere 60; nella realtà, il Registro nazionale dei mesoteliomi ne segnala 1600». Ma è il caso-Casale, dove vivono meno di 40 mila abitanti, che fa accapponare la pelle: «Secondo le stime, dovremmo attenderci 1 nuovo caso all’anno; pertanto, nei trent’anni tra il 1990 e il 2019, avrebbero dovuto essere registrati 60 nuovi malati. E invece? Sono stati 661! Tenendo conto soltanto delle diagnosi certe». Significa che «abbiamo oltre 600 casi che non avrebbero dovuto verificarsi». Prende fiato e aggiunge con un sospiro: «Ma sono morti, eh! Sono persone – scandisce – che non avrebbero dovuto morire! Se non ci fosse stato l’inquinamento da amianto dentro la fabbrica e nell’ambiente circostante, quelle persone non sarebbero morte!».
Straordinarietà della posizione imprenditoriale. «La famiglia Schmidheiny – ha affermato la pg, mostrando slides esplicative – era nel gotha dei “signori dell’amianto”». C’era la Johns-Manville negli Stati Uniti, la Turner&Newall in Gran Bretagna (evocativo il marchio “Ferodo” dei freni delle auto) e, nell’Europa continentale, dominavano le famiglie Emsens e Schmidheiny. «Gli industriali del gotha dell’amianto si incontrano, decidono i prezzi, le politiche, le strategie internazionali per gestire e controllare il mercato mondiale. Sono perfettamente informati sugli esiti degli studi scientifici».
Un esempio. Il patologo Chris Wagner, di Johannesburg, aveva rilevato 33 casi di mesotelioma, sia tra i lavoratori di una miniera di amianto in Sudafrica sia tra coloro che abitavano nelle case vicine. Doppia esposizione: professionale e ambientale. Lo sapevano gli Schmidheiny? Embé, avevano comprato dagli inglesi le miniere in Sudafrica. E quando fu divulgato lo studio di Wagner? Presentato nel 1959 a Johannesburg e pubblicato nel 1960. Qual era la conclusione di quello studio? «Wagner – spiega Panelli – dice che non c’è un modo sicuro per estrarre l’amianto e lavorarlo. Non c’è. E i signori dell’amianto lo sanno, hanno le informazioni scientifiche di prima mano!».
Straordinarietà del silenzio sulla pericolosità dell’amianto. Di fronte alla pericolosità accertata (oltre allo studio di Wagner, Panelli ne cita altri: quello di Doll che la Turner & Newall non riesce a tacitare, e le argomentazioni dello scienziato Selikoff alla nota Conferenza di New York del 1964) «si sceglie di tacere: non vengono informati né i lavoratori né le persone che abitano intorno allo stabilimento». Ovviamente, se si fosse saputo che di amianto si muore – si mu-o-re – l’azienda avrebbe chiuso. «Se l’avessi saputo che si moriva d’amianto, col cucu che avrei continuato a lavorare lì!» aveva testimoniato un ex operaio al maxiprocesso 1.
E quindi? Si tace, perché «la conoscenza avrebbe fermato il mercato dell’amianto». Qualcosa però trapela, articoli, convegni. E quindi? Si fa passare il messaggio che l’amianto si può usare in sicurezza. «Gli interventi sugli impianti – afferma Panelli – sono quelli che, nella documentazione interna, vengono definiti “piccole migliorie”, ovvero “qualche concessione ai sindacati” per “non svegliare il can che dorme”, che, però – afferma la pg Panelli – non hanno nessuna efficacia, e il numero spropositato di morti a Casale lo dimostra».
Straordinarietà della dignità delle vittime di Casale. C’è un ingresso inatteso, in maxiaula 1. Sono le 11,35. La pg Panelli tace, alza lo sguardo e, in un certo senso, passa la parola. Sugli schermi, collocati in tre postazioni, compare il volto di Romana Blasotti Pavesi, la storica presidente dell’Afeva (Associazione famigliari e vittime dell’amianto di Casale). E’ morta a settembre scorso, aveva 95 anni compiuti il 13 marzo. Eppure è lì, ben presente, le rughe profonde, la voce stentorea, le parole inflessibili in una registrazione che non toglie nulla alla vividezza: «E’ giusto lavorare, è importante e necessario, ma non si può morire per il lavoro». Scuote la testa e i suoi occhi celesti sono tristi: «Non si può morire di lavoro», ripete.
La sua voce continua a scuotere. Il volto, limpido e severo, non cede.
Ebbene, «tutte le deposizioni dei testi – riprende la pg – sono state limpide, puntuali, composte, intrise di tristezza e sofferenza». La difesa sostiene, nei motivi di appello (come aveva anche sottolineato nelle arringhe), che quelle testimonianze non sono del tutto attendibili perché la memoria a distanza di tempo non conserva immagini intatte. «Non è vero – replica Panelli -. Non è vero, la perdita di una persona cara rende il ricordo indelebile».
Infine, l’ultima straordinarietà: «La giustizia riparativa». Ovvero: «Una straordinaria opportunità per Schmidheiny come uomo, il filantropo che vuole essere».
E’ la prima volta, nella lunga, capillare, «infinita» storia dei processi Eternit, che la «giustizia riparativa» entra in aula.
E la proposta giunge dalla pg Sara Panelli, la magistrata che, con i colleghi Gianfranco Colace e, all’epoca, il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, fin dal 2005 hanno svolto le monumentali indagini del maxiprocesso Eternit 1 per disastro doloso.
Sara Panelli ora è la pg che sostiene l’accusa nel processo d’appello Eternit Bis e, al suo fianco, ha il collega di allora, Gianfranco Colace (e, in più, oggi, Mariagiovanna Compare).
Sono magistrati che conoscono ogni virgola di questa storia giudiziaria, hanno letto, studiato e scritto migliaia di pagine, hanno interpellato svariati consulenti di primordine per farsi spiegare studi scientifici complessi, hanno ascoltato centinaia di testimoni – i famigliari delle vittime e i malati stessi -, e hanno incrociato gli occhi angosciati di quelle voci. Ritengono ci sia una documentazione probatoria ampia («Altro che materiale incompleto! In questo processo, c’è fin troppo materiale») a sostegno dell’accusa nei confronti dell’imputato.
Eppure, Panelli introduce un tema nuovo, la giustizia riparativa, che, lo sottolinea più volte, non interferisce con l’ambito penale.
E’ cosa a sé. E’ scelta civica, di maturità, di ricerca di pacificazione con una comunità ferita.
Per qualche minuto, la maxiaula 1 cessa la sua funzione e fa da megafono a questa proposta: una strada nuova per risolvere un conflitto, per riattivare una relazione umana che è stata rotta con le vittime e con la collettività.
«E’ una strada complementare a quella che esercitiamo in questo processo – spiega -. E non richiede nessuna ammissione di responsabilità per accedervi. Ciò che avviene è nelle mani delle parti che individuano un mediatore imparziale e concordano tempi, luoghi e modi di azione».
«Non tocca a noi – conclude – stabilire forme e modi per valutare questa possibilità, no, ma di proporla questo sì. E’ una opportunità straordinaria di percorrere una strada complementare».
5 – GIUSTIZIA RIPARATIVA: CHE COSA NE PENSANO I DIFENSORI
I difensori, interpellati dopo l’udienza di mercoledì 13 novembre, hanno accettato di esprimere un parere in merito all’istituto della «giustizia riparativa».
Avvocato Alleva. «Rispetto a questo processo, non sono in grado di dare una risposta specifica e non posso farlo proprio per rispetto al procedimento medesimo. Dal punto di vista generale, invece, sono da sempre un grande sostenitore della “giustizia riparativa”; in termini di impostazione giuridica e dal punto di vista culturale, intellettuale ritengo che sia un percorso molto importante che spero venga utilizzato dalla nostra società, dal nostro ordinamento e diventi parte del nostro modo di concepire la giustizia. Il tema ora è emerso in questo processo, spero possa essere oggetto di riflessione».
Avvocato Di Amato: «La giustizia riparativa ha grandi potenzialità, la cui attuazione dipende dalla qualità delle persone chiamate ad amministrarla. I Mediatori in particolare dovranno avere sul piano psicologico una capacità di entrare in contatto con le parti, che richiederebbe adeguati corsi di formazione di cui oggi non vi è traccia».
6 – PROSSIMA UDIENZA
Il processo d’Appello Eternit Bis in Corte d’Assise riprende a Torino, in maxiaula 1 (intitolata al giudice «Giuseppe Casalbore»), alle 10 di mercoledì 20 novembre. I lavori della seconda udienza dovrebbero continuare fino alle 16,30 o poco oltre. Si completano gli interventi della pubblica accusa e potrebbe già intervenire qualche avvocato di parte civile.
Successive udienze: 27 novembre; 4, 11 e 18 dicembre 2024.
Translation bay Victoria Franzinetti
REPORT of the Eternit HEARING 13.11.2024
Eternit Bis trial. Turin, maxi-court room ‘Giuseppe Casalbore’, November the 13th, 2024, 9 a.m.: the Assizes appeal trial begins against the Swiss entrepreneur Stephan Schmidheiny, called to answer, for the asbestos-related deaths of 392 people from Casalit. He is defended by lawyers Astolfo Di Amato and Guido Carlo Alleva.
An ‘endless story’, according to many.
A story of ‘an extraordinary drama’, says PP Dr Sara Panelli, with her colleagues Drs Gianfranco Colace and Mariagiovanna Compare.
The Court is chaired by Dr Cristina Domaneschi, assisted by Dr Elisabetta Gallino and the six popular judges [citizens aged 30 to 65 on the electoral registry randomly selected from a list they have to apply for in their Municipality of residence- hereafter Jury Members] plus six alternate jurors.
SUMMARY
1 – Report of the President of the Court of Appeal: how the Court of Assizes motivated the sentence.
2 – Schmidheiny was aware of the serious risks of asbestos: the strategy of deception. The Neuss conference. Auls 76, the Disinformation Handbook.
3 – The diagnosis: immunohistochemistry, but not only.
4 – Five points which make it an extraordinary case: the number of people killed; Schmidheiny in the world elite of asbestos; the choice not to speak of the dangers of asbestos; the dignity of the victims; restorative justice.
5 – Restorative justice: what the defence says
6 – Next hearing.
1 – REPORT OF THE PRESIDENT OF THE ASSIZE COURT
Court Pr4esident Domaneschi, called all the parties and having seen that the defendant was absent, summarised the case, focusing on the central features of the Assizes Court verdict issued in June 2023 by the Novara Court of Assizes.
The court considered Schmidheiny’s position as the effective head of Eternit: although he had no formal position in the company, several witnesses including by people with top positions in the company identified him as the person who made strategic choices and made decisions. He was the recognised head of [Italian] Eternit. That Court also deemed that, in spite of some remedial measures in the factory such as changing the manufacturing cycle from dry to wet, and the installation of dust capturing devices on certain machinery, the defendant did not adequately reduce exposure to dust, both inside and outside the work place.
With regard to the defendant’s knowledge, the Novara judges, while affirming that Schmidheiny was definitely in possession of specific and in-depth scientific knowledge about the link between asbestos and mesothelioma, considered it reasonable that the defendant be convinced of the controlled use of asbestos, without stopping production; in other words, according to the Novara Court, Schmidheiny did not act with malice (wilfulness), but was guilty, due to negligence, imprudence, and inexperience considering the rules and regulations of the time.
The sentence was appealed by both the prosecution and the defence: the former alleging wilful misconduct, the latter insisting on acquittal.
At the end of the report, the speeches of the three prosecutors began: Dr Panelli and Dr Colace of the Turin Public Prosecution and Dr Mariagiovanna Compare of the Vercelli Public Prosecution (the latter seconded for this case).
2 – SCHMIDHEINY AWARE OF THE SERIOUS RISKS OF ASBESTOS
‘Read what the Neuss Conference was all about’. PP Dr Gianfranco Colace addressed the Court and Jury urging them to carefully read the proceedings of that event that he sees as key to the trial to understand how much, how and since when the defendant had been aware of the serious risks of asbestos.
Neuss (German municipality in the northern Rhineland where Dr Robock, a scientist working for Schmidheiny, had a scientific laboratory. The Neuss document illustrates the core of the defendant’s strategy of deception against the workers and the community. Indeed, during the Neuss Meeting, Schmidheiny ‘made a true confession’, said PP Dr Colace: in three days, between 28th and 30th June 1976, the entrepreneur explained what asbestos caused to the 35 top managers of the Eternit group, whom he had summoned. ‘A true confession,’ the prosecutor insisted. Schmidheiny said to his closest collaborators: ‘I know. I know everything’. What did he know? Colace claims that the defendant was well aware of the results of scientific and epidemiological studies that had proved the deadly danger of asbestos. He was well aware of this, according to the reconstruction set out by both PPs Dr Colace and Dr Panelli, also because the Schmidheiny family was part of the worldwide ‘cartel’ of asbestos producers.
After the first conference in Neuss, a second meeting followed in December, when ‘Auls 76’, the first handbook on how to react and what to say to journalists and others) containing ‘the Eternit group’s policy and strategy to conceal the danger of asbestos’ was launched. In fact, ‘the 35 managers were “shocked” (verbatim term from the minutes of the conference) and Schmidheiny told them that the workers should not be informed lest they too be shocked. Auls, Colace insisted, dictated the behaviour and responses that must be given so that ‘the existence of our industry is not jeopardised. We must react decisively and fight with all our means’. To those who ask about the risks of asbestos, reassuring explanations must be given: ‘Asbestos as such is not dangerous. There is no danger to (workers’) families as long as there is no test to show it. The existence of danger for those living near the plant can be absolutely excluded’. These phrases are contained in Auls76, which Colace calls a ‘manual of disinformation’.
So, according to the prosecutor, ‘we cannot treat Schmidheiny as a normal employer whom we reproach for being negligent! He had more knowledge than anyone. He knew’.
3 – THE CERTAINTY OF DIAGNOSIS
Is the diagnosis of mesothelioma only certain if supported by the most up-to-date markers of immunohistochemistry? So argues the defence.
The public prosecutor’s office rejected this approach, with the support, stresses Public Prosecutor Dr Mariagiovanna Compare, ‘of our consultants whose high level of authority is established and widely recognised’. As she had already done in the Court of Assizes, the public prosecutor reiterates it now in the appeal: there is no doubt that immunohistochemistry is essential to ascertain mesothelioma, and there is no doubt about the validity of the current markers, but, diagnosis is made taking into account other types of tests and investigations, and above all the overall assessment of the clinical picture.
The prosecutor stated that the defence’s objections should thus be rejected and reiterated the validity of all 392 diagnoses. Not only that; Dr Compare emphasised that even the less current diagnoses were carried out as scrupulously as possible by the doctors who treated the patients because the overriding interest of every diagnosis is precisely to identify the definite cause of the illness and to apply the most suitable therapies; it would be truly strange if the diagnosis held to be true and certain to treat patients were not considered correct in court.
4 – FIVE POINTS OF EXTRAORDINARINESS
A story of ‘an extraordinary drama’, as Dr Sara Panelli called it, is by definition ‘extraordinary’.
She summarised five points which made it stand out.
The number of deaths. ‘There are staggering numbers in this trial: 392 deaths bearing the signature of asbestos! These people developed a malignant cancer called mesothelioma. ‘It is a very rare tumour; according to numerous epidemiological studies,’ Panelli explained, ‘the number of new cases per year, nationally, should be 60; in reality, the National Mesothelioma Registry reports 1600’. But it is Casale, with a population below 40,000, that is frightening: ‘According to estimates, we should expect 1 new case per year; therefore, in the 30 years between 1990 and 2019, 60 new cases should have been recorded. But instead? It was 661 [and over 3-fold in the district], and that is only taking certain diagnoses into account’. This means that ‘we have over 600 cases that should not have occurred’. Dr Panelli stops to catch her breath and adds with a sigh: ‘But they are dead, eh! They are people,’ he punctuates, ’who should not have died! If there had not been asbestos pollution inside the factory and in the surrounding environment, those people would not have died!’
The exceptional the business position. ‘The Schmidheiny family,’ said the prosecutor, showing explanatory slides, ‘was in the elite of the “asbestos kings”. There was Johns-Manville in the United States, Turner-Newall in Great Britain (the ‘Ferodo’ brand of car brakes is one of theirs) and, in continental Europe, the Emsens and Schmidheiny families dominated. ‘The industrialists of the asbestos elite met, decided prices, policies, international strategies to manage and control the world market. They were fully informed about the outcomes of scientific studies’.
An example: Pathologist Dr Chris Wagner, from Johannesburg, had detected 33 cases of mesothelioma, both among workers in an asbestos mine in South Africa and among those living in nearby houses. Double exposure: occupational and environmental. Did the Schmidheinys know this? Why, they had bought the mines in South Africa from the British. And when was Wagner’s study released? Presented in 1959 in Johannesburg and published in 1961. What was the conclusion of that study? ‘Wagner,’ Panelli explained, ‘said that there was no safe way to extract asbestos and process it. There isn’t. And the asbestos kings know this, they have the first-hand scientific information!’.
Silence on the danger of asbestos. Faced with the known and proven danger (in addition to Wagner’s study, Panelli cites others: Doll’s, whom Turner & Newall failed to silence, and the arguments of the scientist Dr Selikoff at the famous 1964 New York Conference), ‘they chose to remain silent: neither the workers nor the people living around the plant were informed’. Obviously, if it had been known that people were dying of asbestos – dy-ing – the company would have closed down. ‘If I had known that people were dying of asbestos, like hell I would have continued working there!’ a former worker testified at the first large trial.
So what? There is silence, because ‘knowledge would have brought the asbestos market to a halt’. Something, however, leaks out, articles, conferences. So what? The message is passed on that asbestos can be used safely. ‘The work carried out in the factory plants’ said Panelli, ‘are what the internal documents defined as ‘small improvements’, that is, ‘some concessions to the unions’ to ‘not wake the sleeping dogs’, which, however,’ says Panelli, “have no effectiveness, and the disproportionate number of deaths at Casale proves it”.
Extraordinary dignity of the Casale victims. There is an unexpected attendance, in the court room. It is 11.35 a.m. and Dr Panelli falls silent, looks up and, in a way, gives the floor to the witness: On the screens, placed in three locations, Romana Blasotti Pavesi, the historical president of Afeva (Association of families and victims of asbestos in Casale) looms. She died last September; she was 95 years old on March the 13th 2024. Yet there she is, very much present, her wrinkles deep, her booming voice, her words inflexible in a recording that belies nothing: ‘It is right to work, it is important and necessary, but you cannot die for work’. In the video she shakes her head and her blue eyes are sad: ‘You cannot die from work,’ she repeats. Her voice continues to shake, her face, clear and firm, does not let go.
‘All the witnesses,’ the prosecutor recalls, ‘were limpid, punctual, composed, imbued with sadness and suffering’ [Romana lost many members of her family]. The defence argues, in its grounds for appeal (as it had also stressed in its arguments), that those testimonies are not entirely reliable because memory at a distance of time does not preserve intact images. ‘That is not true,’ Panelli replies, ‘the loss of a loved one makes the memory everlasting’.
Finally: ‘Restorative justice’. That is: ‘An extraordinary opportunity for Schmidheiny as a man, the philanthropist he wants to be’.
It is the first time, in the long, detailed endless history of the Eternit trials, that ‘restorative justice’ enters the courtroom.
The suggestion comes from Prosecutor Dr Sara Panelli, the magistrate who, with her colleagues Gianfranco Colace and, at the time, PP Dr Raffaele Guariniello, conducted the monumental 2005 investigations for the first Eternit trial for wilful disaster.
Sara Panelli is now the prosecutor supporting the prosecution in the Eternit Bis appeal trial at the Court of Assizes, and, at her side, she has her colleague, Dr Gianfranco Colace (and, in addition, today, Dr Mariagiovanna Compare).
They know all the ins and outs of this judicial story, they have read, studied and written thousands of pages, they have consulted first-rate expert witnesses to have complex scientific studies explained to them, they have listened to hundreds of witnesses – the families of the victims and the patients themselves – and they have met the anguished eyes behind those voices. They believe there is an extensive evidentiary record (‘More than incomplete material! In this trial, there is far too much material’) to support the accusation against the defendant. Dr Panelli introduces a new theme, restorative justice, which, she emphasises several times as it has no bearing on the criminal sphere. It is a thing in itself. It is a choice that speaks to public spirit, a choice of maturity, a quest for reconciliation with a wounded community.
For a few minutes, the Court, maxi-Courtroom 1, suspends its role and echoes this proposal: a new way to resolve a conflict, to re-establish a human relationship with the victims and the community which has long been broken. ‘It is an additional path to the one we exercise in this trial, ‘she explains’ and it does not require any admission of responsibility. What happens is in the hands of the parties who identify an impartial mediator and agree on the time, place and manner of action’. ‘It is not up to us,’ she concludes, ‘to establish how and when to evaluate this possibility, no, but it is up to us to propose it. It is an extraordinary opportunity to follow a additional [supplementary, complementary] path’.
5 – RESTORATIVE JUSTICE: WHAT THE DEFENCE THINK ABOUT IT
The defence lawyers, asked after the hearing on Wednesday 13 November, agreed to give their opinion on ‘restorative justice’.
Lawyer Alleva. ‘With respect to this trial, I am unable to give a specific answer and I cannot/will not do so precisely out of respect for the proceedings themselves. From a general point of view, however, I have always been a great supporter of ‘restorative justice’; in terms of legal approach and from a cultural, intellectual point of view, I think it is a very important path that I hope will be used by our society, by our legal system and become part of our way of conceiving justice. The subject has now come up in this trial, I hope it can be food for thought.
Lawyer Di Amato: ‘Restorative justice has great potential, the implementation of which depends on the quality of the people called upon to administer it. Mediators in particular should have a psychological ability to get in touch with the parties, which would require appropriate training courses of which currently lack.
6 – NEXT HEARINGS
The Eternit Bis appeal trial in the Court of Appeal of Assizes resumes in Turin, in Courtroom Giuseppe Casalbore, at 10 a.m. on Wednesday November the 20th 2024. The second hearing is expected to continue until 4.30 p.m. or a little later. The Prosecution will conclude will be completed and some of the plaintiff’s lawyers may commence.
Following hearings: November 27th ; December 4th, 11th and 18th , 2024.
https://www.silmos.it/eternit-bis-storia-umana-di-una-drammaticita-fuori-dal
lordinario-la-romana-torna-in-aula/
Grazie Silvana . Attendiamo fiduciosi …
Grazie del tuo costante resoconto, puntuale e di grande efficacia.