Processo Eternit Bis. Torino, maxiaula «Giuseppe Casalbore», 13 novembre 2024, ore 9: inizia il giudizio di secondo grado nei confronti dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, chiamato a rispondere, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Torino, della morte per amianto di 392 casalesi. E’ difeso da Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva.
Una «storia infinita», secondo molti.
Una storia di «una drammaticità fuori dall’ordinario» l’ha definita Sara Panelli, magistrata della procura generale che sostiene l’accusa insieme ai colleghi Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare.
La Corte è presieduta da Cristina Domaneschi, affiancata da Elisabetta Gallino e dai sei giudici popolari (più sei supplenti).
RIEPILOGO
1 – Relazione della presidente della Corte d’Assise d’Appello: come i giudici di primo grado hanno motivato la sentenza di condanna.
2 – Schmidheiny consapevole dei gravi rischi dell’amianto: la strategia dell’inganno. Convegno di Neuss. Auls 76, il manuale della disinformazione.
3 – La certezza delle diagnosi. Immunoistochimica, ma non solo.
4 – Cinque punti di straordinarietà: il numero dei morti; Schmidheiny nel gotha mondiale dei signori dell’amianto; la scelta di tacere la pericolosità dell’amianto; la dignità delle vittime; la giustizia riparativa.
5 – Giustizia riparativa: che cosa ne pensano i difensori.
6 – Prossima udienza.
[Nella foto in apertura: sul maxischermo alle spalle dei sei giudici popolari supplenti, l’intervento di Romana Blasotti Pavesi]
1 – RELAZIONE DELLA PRESIDENTE DELLA CORTE D’ASSISE
La presidente Domaneschi, fatto l’appello dei presenti e appurato che l’imputato è assente, ha riassunto la vicenda, soffermandosi soprattutto sugli aspetti centrali della sentenza di primo grado emessa, a giugno 2023, dalla Corte d’Assise di Novara.
I giudici di primo grado hanno ritenuto provata la posizione di garanzia di Schmidheiny, cioè di effettivo responsabile dell’Eternit: pur non avendo cariche formali nella società, era lui di fatto, come emerge da più testimonianze (molte anche di persone con posizioni apicali nell’azienda), che assumeva scelte e decisioni strategiche. Era il vertice riconosciuto di Eternit.
La Corte di primo grado ha inoltre stimato che, a fronte di alcuni interventi di risanamento nella fabbrica (ad esempio, il passaggio del ciclo produttivo da secco a umido, installazione di strumenti di captazione delle polveri su certi macchinari…), l’imputato non ha ridotto in modo adeguato l’esposizione alle polveri, sia dentro che fuori dall’ambiente di lavoro.
Sulla consapevolezza dell’imputato, i giudici di Novara, pur affermando che Schmidheiny era decisamente in possesso di conoscenze scientifiche specifiche e approfondite circa la correlazione tra amianto e mesotelioma, hanno ritenuto ragionevole che l’imputato fosse convinto della possibilità di un utilizzo controllato dell’amianto, senza arrivare all’interruzione della produzione; in altre parole, secondo la Corte di Novara, Schmidheiny non ha agito con dolo, ma con colpa, cioè con negligenza, imprudenza, imperizia rispetto alle norme dell’epoca.
La sentenza è stata impugnata sia dalla procura sia dalla difesa: la prima ribadisce l’affermazione del dolo, la seconda insiste sull’assoluzione.
Conclusa la relazione, sono iniziati gli interventi dei tre esponenti della pubblica accusa: Panelli pg della Procura generale di Torino, Colace pm della Procura di Torino e Compare della Procura di Vercelli (gli ultimi due applicati per questa causa).
2 – SCHMIDHEINY CONSAPEVOLE DEI GRAVI RISCHI DELL’AMIANTO
«Leggete che cosa è stato il Convegno di Neuss». Il pubblico ministero Gianfranco Colace si rivolge ai giudici, togati e popolari, e li sollecita a leggere con attenzione gli atti di quell’evento che, a suo parere, è un elemento cruciale del processo per comprendere quanto, come e da quando l’imputato fosse a conoscenza dei gravi rischi dell’amianto.
Convegno di Neuss (comune tedesco della Renania settentrionale dove operava il laboratorio scientifico di Robock, scienziato al servizio di Schmidheiny): più di un elemento cruciale. Neuss, per l’accusa, è il nucleo della strategia dell’inganno decisa dall’imputato nei confronti dei lavoratori e della popolazione. Anzi, a Neuss Schmidheiny «ha fatto una vera confessione» afferma Colace: in tre giorni, tra il 28 e il 30 giugno 1976, l’imprenditore spiega ai 35 top manager del gruppo Eternit, da lui stessi convocati, che cosa provoca l’amianto. «Una vera confessione – insiste il pm -. Schmidheiny dice ai suoi più stretti collaboratori: “Io so. Io so tutto”». Che cosa sapeva? Colace sostiene che l’imputato aveva ben presenti gli esiti di studi scientifici ed epidemiologici che avevano appurato la pericolosità mortale dell’amianto. Ne era ben consapevole, secondo la ricostruzione esposta sia da Colace che da Panelli, anche perché la famiglia Schmidheiny faceva parte del «cartello» mondiale dei produttori di amianto.
Dopo il primo convegno di Neuss, seguì una seconda convocazione a dicembre, quando fu varato «Auls 76», il primo manuale di comportamento che contiene «la politica e la strategia del gruppo Eternit per nascondere la pericolosità dell’amianto»: è un obbiettivo vitale. Infatti, «i 35 dirigenti erano rimasti “scioccati” (termine testuale della verbalizzazione del convegno, ndr), e Schmidheiny dice loro che “questo non deve succedere ai lavoratori. E’ importante che non si cada ora in forme di panico”». Auls, ha insistito Colace, detta i comportamenti e le risposte che bisogna dare perché «non venga messa a repentaglio l’esistenza della nostra industria. Dobbiamo reagire in maniera decisa e combattere con tutti i nostri mezzi». A chi chiede conto dei rischi dell’amianto, bisognava dare spiegazioni rassicuranti: «L’amianto come tale non è pericoloso. Non c’è alcun pericolo per le famiglie (dei lavoratori) fino a che non c’è un test visibile. Può essere esclusa in maniera assoluta l’esistenza di pericolo per coloro che abitano nei pressi dello stabilimento». Queste frasi sono contenute in Auls76 che Colace definisce «manuale di disinformazione».
E, allora, secondo il pm «non possiamo trattare Schmidheiny come un normale datore di lavoro cui rimproveriamo di essere stato negligente! Aveva più conoscenze di tutti. Lui sapeva».
3 – LA CERTEZZA DELLE DIAGNOSI
La diagnosi di mesotelioma è certa soltanto se suffragata dai marcatori più attuali dell’immunoistochimica? Così sostiene la difesa dell’imputato.
La procura respinge questa impostazione, con il sostegno, sottolinea la pm Mariagiovanna Compare, «dei nostri consulenti di cui è accertato e ampiamente riconosciuto un elevato livello di autorevolezza». Come aveva già fatto nel giudizio in Assise di primo grado, la pm torna a ribadirlo ora in Appello: è fuor di dubbio che l’immunoistochimica sia fondamentale per accertare il mesotelioma, e fuori di dubbio è la validità dei marcatori attuali, ma, osserva Compare, la diagnosi si formula tenendo conto anche di altri tipi di esami e approfondimenti, e soprattutto della valutazione complessiva del quadro clinico.
La pm afferma che le obiezioni della difesa sono da respingere e ribadisce la validità di tutte le 392 diagnosi. Non solo; sottolinea che anche le diagnosi meno attuali furono eseguite nella maniera più scrupolosa possibile dai medici che ebbero in cura i pazienti perché l’interesse prioritario di ogni diagnosi è proprio quello di individuare la causa certa della patologia e adottare le terapie più adatte; sarebbe veramente strano che la diagnosi ritenuta vera e certa per curare il malato non sia più ritenuta corretta in tribunale.
4 – CINQUE PUNTI DI STRAORDINARIETA’
Una storia di una «drammaticità fuori dall’ordinario», come l’ha definita la dottoressa Sara Panelli, è per definizione «straordinaria».
La pg ha riassunto cinque punti di straordinarietà.
Straordinarietà del numero delle morti. «Sono contestati, in questo processo, numeri da capogiro: 392 morti che portano la firma dell’amianto!». Si sono ammalate del cancro maligno chiamato mesotelioma. «E’ un tumore rarissimo; secondo numerosi studi epidemiologici – ha spiegato Panelli –, il numero di nuovi casi all’anno, in ambito nazionale, dovrebbe essere 60; nella realtà, il Registro nazionale dei mesoteliomi ne segnala 1600». Ma è il caso-Casale, dove vivono meno di 40 mila abitanti, che fa accapponare la pelle: «Secondo le stime, dovremmo attenderci 1 nuovo caso all’anno; pertanto, nei trent’anni tra il 1990 e il 2019, avrebbero dovuto essere registrati 60 nuovi malati. E invece? Sono stati 661! Tenendo conto soltanto delle diagnosi certe». Significa che «abbiamo oltre 600 casi che non avrebbero dovuto verificarsi». Prende fiato e aggiunge con un sospiro: «Ma sono morti, eh! Sono persone – scandisce – che non avrebbero dovuto morire! Se non ci fosse stato l’inquinamento da amianto dentro la fabbrica e nell’ambiente circostante, quelle persone non sarebbero morte!».
Straordinarietà della posizione imprenditoriale. «La famiglia Schmidheiny – ha affermato la pg, mostrando slides esplicative – era nel gotha dei “signori dell’amianto”». C’era la Johns-Manville negli Stati Uniti, la Turner&Newall in Gran Bretagna (evocativo il marchio “Ferodo” dei freni delle auto) e, nell’Europa continentale, dominavano le famiglie Emsens e Schmidheiny. «Gli industriali del gotha dell’amianto si incontrano, decidono i prezzi, le politiche, le strategie internazionali per gestire e controllare il mercato mondiale. Sono perfettamente informati sugli esiti degli studi scientifici».
Un esempio. Il patologo Chris Wagner, di Johannesburg, aveva rilevato 33 casi di mesotelioma, sia tra i lavoratori di una miniera di amianto in Sudafrica sia tra coloro che abitavano nelle case vicine. Doppia esposizione: professionale e ambientale. Lo sapevano gli Schmidheiny? Embé, avevano comprato dagli inglesi le miniere in Sudafrica. E quando fu divulgato lo studio di Wagner? Presentato nel 1959 a Johannesburg e pubblicato nel 1960. Qual era la conclusione di quello studio? «Wagner – spiega Panelli – dice che non c’è un modo sicuro per estrarre l’amianto e lavorarlo. Non c’è. E i signori dell’amianto lo sanno, hanno le informazioni scientifiche di prima mano!».
Straordinarietà del silenzio sulla pericolosità dell’amianto. Di fronte alla pericolosità accertata (oltre allo studio di Wagner, Panelli ne cita altri: quello di Doll che la Turner & Newall non riesce a tacitare, e le argomentazioni dello scienziato Selikoff alla nota Conferenza di New York del 1964) «si sceglie di tacere: non vengono informati né i lavoratori né le persone che abitano intorno allo stabilimento». Ovviamente, se si fosse saputo che di amianto si muore – si mu-o-re – l’azienda avrebbe chiuso. «Se l’avessi saputo che si moriva d’amianto, col cucu che avrei continuato a lavorare lì!» aveva testimoniato un ex operaio al maxiprocesso 1.
E quindi? Si tace, perché «la conoscenza avrebbe fermato il mercato dell’amianto». Qualcosa però trapela, articoli, convegni. E quindi? Si fa passare il messaggio che l’amianto si può usare in sicurezza. «Gli interventi sugli impianti – afferma Panelli – sono quelli che, nella documentazione interna, vengono definiti “piccole migliorie”, ovvero “qualche concessione ai sindacati” per “non svegliare il can che dorme”, che, però – afferma la pg Panelli – non hanno nessuna efficacia, e il numero spropositato di morti a Casale lo dimostra».
Straordinarietà della dignità delle vittime di Casale. C’è un ingresso inatteso, in maxiaula 1. Sono le 11,35. La pg Panelli tace, alza lo sguardo e, in un certo senso, passa la parola. Sugli schermi, collocati in tre postazioni, compare il volto di Romana Blasotti Pavesi, la storica presidente dell’Afeva (Associazione famigliari e vittime dell’amianto di Casale). E’ morta a settembre scorso, aveva 95 anni compiuti il 13 marzo. Eppure è lì, ben presente, le rughe profonde, la voce stentorea, le parole inflessibili in una registrazione che non toglie nulla alla vividezza: «E’ giusto lavorare, è importante e necessario, ma non si può morire per il lavoro». Scuote la testa e i suoi occhi celesti sono tristi: «Non si può morire di lavoro», ripete.
La sua voce continua a scuotere. Il volto, limpido e severo, non cede.
Ebbene, «tutte le deposizioni dei testi – riprende la pg – sono state limpide, puntuali, composte, intrise di tristezza e sofferenza». La difesa sostiene, nei motivi di appello (come aveva anche sottolineato nelle arringhe), che quelle testimonianze non sono del tutto attendibili perché la memoria a distanza di tempo non conserva immagini intatte. «Non è vero – replica Panelli -. Non è vero, la perdita di una persona cara rende il ricordo indelebile».
Infine, l’ultima straordinarietà: «La giustizia riparativa». Ovvero: «Una straordinaria opportunità per Schmidheiny come uomo, il filantropo che vuole essere».
E’ la prima volta, nella lunga, capillare, «infinita» storia dei processi Eternit, che la «giustizia riparativa» entra in aula.
E la proposta giunge dalla pg Sara Panelli, la magistrata che, con i colleghi Gianfranco Colace e, all’epoca, il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, fin dal 2005 hanno svolto le monumentali indagini del maxiprocesso Eternit 1 per disastro doloso.
Sara Panelli ora è la pg che sostiene l’accusa nel processo d’appello Eternit Bis e, al suo fianco, ha il collega di allora, Gianfranco Colace (e, in più, oggi, Mariagiovanna Compare).
Sono magistrati che conoscono ogni virgola di questa storia giudiziaria, hanno letto, studiato e scritto migliaia di pagine, hanno interpellato svariati consulenti di primordine per farsi spiegare studi scientifici complessi, hanno ascoltato centinaia di testimoni – i famigliari delle vittime e i malati stessi -, e hanno incrociato gli occhi angosciati di quelle voci. Ritengono ci sia una documentazione probatoria ampia («Altro che materiale incompleto! In questo processo, c’è fin troppo materiale») a sostegno dell’accusa nei confronti dell’imputato.
Eppure, Panelli introduce un tema nuovo, la giustizia riparativa, che, lo sottolinea più volte, non interferisce con l’ambito penale.
E’ cosa a sé. E’ scelta civica, di maturità, di ricerca di pacificazione con una comunità ferita.
Per qualche minuto, la maxiaula 1 cessa la sua funzione e fa da megafono a questa proposta: una strada nuova per risolvere un conflitto, per riattivare una relazione umana che è stata rotta con le vittime e con la collettività.
«E’ una strada complementare a quella che esercitiamo in questo processo – spiega -. E non richiede nessuna ammissione di responsabilità per accedervi. Ciò che avviene è nelle mani delle parti che individuano un mediatore imparziale e concordano tempi, luoghi e modi di azione».
«Non tocca a noi – conclude – stabilire forme e modi per valutare questa possibilità, no, ma di proporla questo sì. E’ una opportunità straordinaria di percorrere una strada complementare».
5 – GIUSTIZIA RIPARATIVA: CHE COSA NE PENSANO I DIFENSORI
I difensori, interpellati dopo l’udienza di mercoledì 13 novembre, hanno accettato di esprimere un parere in merito all’istituto della «giustizia riparativa».
Avvocato Alleva. «Rispetto a questo processo, non sono in grado di dare una risposta specifica e non posso farlo proprio per rispetto al procedimento medesimo. Dal punto di vista generale, invece, sono da sempre un grande sostenitore della “giustizia riparativa”; in termini di impostazione giuridica e dal punto di vista culturale, intellettuale ritengo che sia un percorso molto importante che spero venga utilizzato dalla nostra società, dal nostro ordinamento e diventi parte del nostro modo di concepire la giustizia. Il tema ora è emerso in questo processo, spero possa essere oggetto di riflessione».
Avvocato Di Amato: «La giustizia riparativa ha grandi potenzialità, la cui attuazione dipende dalla qualità delle persone chiamate ad amministrarla. I Mediatori in particolare dovranno avere sul piano psicologico una capacità di entrare in contatto con le parti, che richiederebbe adeguati corsi di formazione di cui oggi non vi è traccia».
6 – PROSSIMA UDIENZA
Il processo d’Appello Eternit Bis in Corte d’Assise riprende a Torino, in maxiaula 1 (intitolata al giudice «Giuseppe Casalbore»), alle 10 di mercoledì 20 novembre. I lavori della seconda udienza dovrebbero continuare fino alle 16,30 o poco oltre. Si completano gli interventi della pubblica accusa e potrebbe già intervenire qualche avvocato di parte civile.
Successive udienze: 27 novembre; 4, 11 e 18 dicembre 2024.
Grazie Silvana . Attendiamo fiduciosi …
Grazie del tuo costante resoconto, puntuale e di grande efficacia.