SILVANA MOSSANO
Processo Eternit Bis, filone casalese: si apre il capitolo secondo.
Dopo la sentenza della Corte d’Assise di Novara (dispositivo letto il 7 giugno 2023, motivazioni depositate a inizio dicembre scorso), si va in Corte d’Appello a Torino.
Scade il 18 gennaio il temine per impugnare il verdetto di primo grado pronunciato dai giudici di Novara, in cui l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, ultimo patron in vita di Eternit spa, è stato riconosciuto responsabile di omicidio colposo plurimo e condannato a 12 anni di reclusione, più 5 di interdizione dai pubblici uffici.
PRIMO GRADO DI GIUDIZIO. La procura aveva contestato il reato di omicidio doloso (con dolo eventuale) plurimo e pluriaggravato di 392 casalesi e monferrini e aveva chiesto la condanna all’ergastolo. A sostegno delle argomentazioni accusatorie si erano pronunciati i numerosi legali che tutelavano le parti civili: famigliari delle vittime, enti, sindacati e associazioni. La difesa aveva invece invocato l’assoluzione. La Corte d’Assise, a conclusione del processo (dopo 41 udienze, svolte in due anni, a partire dal 9 giugno 2021), aveva riqualificato il reato da omicidio doloso all’ipotesi più lieve di omicidio colposo aggravato, condannando l’imputato a 12 anni di reclusione con interdizione per 5 anni dai pubblici uffici per un gruppo di 9 vittime (nei confronti delle quali il reato di omicidio colposo è doppiamente aggravato: dall’aver commesso il fatto violando le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e dall’aver agito nonostante la previsione dell’evento) e per un secondo gruppo di 138 vittime (per le quali viene riconosciuta la sola aggravante di aver violato le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro). Per l’omicidio colposo doppiamente aggravato di 199 vittime è scattata la prescrizione, perché le morti sono risalenti nel tempo; il reato, quindi, viene dichiarato estinto. Per 46 casi, i giudici di primo grado hanno assolto l’imputato.
La sentenza viene ora impugnata dalla difesa e dalla procura.
I difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva lo avevano annunciato subito dopo la lettura del dispositivo.
Sulla valutazione e la scelta di impugnare dei pubblici ministeri Gianfranco Colace e Maria Giovanna Compare si ha conferma ora.
Le parti civili sembrano non intenzionate a impugnare e si riservano di presentare memorie difensive sui singoli casi, in modo particolare quelli per i quali la Corte non ha riconosciuto il nesso causale tra la morte per mesotelioma e la diffusione di amianto di cui è ritenuto responsabile l’imputato nel decennio di gestione dell’Eternit, tra il 1976 e il 1986. Oppure, per i casi in cui la Corte di primo grado non ha riscontrato, a suo parere, la certezza della diagnosi di mesotelioma come tumore primario.
QUALIFICAZIONE DEL REATO
Il nodo cruciale resta la qualificazione del reato: la Corte d’Assise di Novara non ha condiviso la contestazione di omicidio volontario con dolo eventuale proposta dai pm e ha invece affermato la responsabilità di Schmidheiny in ordine al reato di omicidio colposo (aggravato dall’inosservanza delle norme di previsione degli infortuni sul lavoro e, per alcuni casi, anche dalla previsione del reato, cioè la cosiddetta “colpa cosciente”).
La difesa punterà alla assoluzione del proprio assistito, che è la conclusione per cui si è sempre battuta (respinge l’accusa di omicidio, sia doloso che colposo).
La procura insisterà sulla contestazione dell’omicidio volontario. Solo in questo caso non si applica la prescrizione. Invece, con la riqualificazione in omicidio colposo adottata dai giudici di primo grado, essendo trascorsi 15 o più anni dalla morte la prescrizione è scattata per 199 decessi (su 392 elencati nel capo d’accusa). E la Corte, avendo appunto optato per l’omicidio colposo, ha ritenuto superfluo analizzare i singoli 199 casi per valutarne il nesso causale. Li ha messi da parte senza esaminarli.
RINNOVAZIONE
L’impugnazione della procura potrebbe comportare la cosiddetta «rinnovazione» dibattimentale.
Che cosa significa?
Vuol dire che la Corte d’Assise d’Appello, se ritiene di non essere in grado di decidere un verdetto sulla base delle prove acquisite nel giudizio di primo grado e già facenti parte del fascicolo processuale, potrebbe disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (soprattutto vista l’impugnazione della procura contro le assoluzioni di primo grado), decidendo di risentire alcuni testimoni e/o consulenti.
Vista la complessità della vicenda, la Corte torinese potrebbe decidere una parziale rinnovazione (cioè quali prove orali ripetere) specialmente su alcuni aspetti tecnici critici.
PUNTI INTERROGATIVI
La lettura delle 1020 pagine. in cui la Corte d’Assise di Novara (presieduta da Gianfranco Pezone, affiancato da Manuela Massino e da sei giudici popolari) ha motivato la sentenza nei confronti di Stephan Schmidheiny, lascia in sospeso alcuni interrogativi che saranno sicuramente oggetto di approfondimento del secondo grado di giudizio a Torino.
- Ex lavoratori e mogli che lavavano le tute. La Corte di Novara ha condannato l’imputato sia per i decessi di ex lavoratori Eternit sia per quelli delle mogli che lavavano le tute che i mariti portavano a casa (non essendoci una lavanderia interna alla fabbrica). Ha escluso, invece, i figli morti di mesotelioma, perché non erano loro a lavare le tute dei padri. Be’, giusto per calarci in quel periodo storico, proviamo a raffigurarci la casa-tipo di un operaio degli anni Settanta-Ottanta: mediamente, tre stanze più servizi. E che cosa fa un’esperta massaia quando si appresta a predisporre il bucato? Innanzi tutto scuote i panni… è un gesto automatico… prima di infilarli in lavatrice, elettrodomestico solitamente collocato in cucina o in bagno. Cucina che è la stanza dove si mangia – colazione pranzo cena -, dove i ragazzini fanno i compiti, dove si chiacchiera. Dove, in pratica, la famiglia vive. E’ proprio sicuro che i figli, per il fatto di non aver compiuto materialmente il gesto di prendere le tute e infilarle nel cestello, siano stati esenti dal respirare le fibre scosse da quelle tute e liberamente svolazzanti?
- Vittime ambientali. In questo caso, la Corte ha riconosciuto la responsabilità di Schmidheiny per coloro che abitavano a Casale, senza però indicare una distanza dalle fonti inquinanti, individuate nello stabilimento di via Oggero, nell’area ex Piemontese dove avveniva la frantumazione a cielo aperto di montagne di scarti provenienti da tutte le fabbriche Eternit d’Italia (pratica attivata specificatamente nel decennio Stephan Schmidheiny), nei magazzini di piazza d’Armi, nella discarica. Sono invece state escluse le vittime che abitavano nei paesi circostanti il capoluogo: per questi casi si è assolto. Ciò farebbe ritenere che la Corte non ha condiviso la tesi dei consulenti della procura in merito all’aumento di rischio di contrarre la malattia nei paesi limitrofi; in realtà, in diversi passaggi della sentenza, i giudici di Novara hanno ampiamente elogiato i ricercatori Corrado Magnani e Dario Mirabelli per le loro qualificate e autorevoli consulenze. E proprio loro avevano evidenziato che il rischio di esposizione all’amianto persiste anche a 10 chilometri di distanza dalle fonti inquinanti. Poi, però, questo dato non sembra essere stato tenuto in conto. Si consideri, tra l’altro, che alcuni paesi del circondario sono più vicini a quelle fonti inquinanti rispetto a taluni quartieri e frazioni del Comune di Casale Monferrato.
- Polverino e usi impropri. Due le considerazioni su questo aspetto. La prima: secondo la Corte di Novara l’uso del polverino o degli scarti, se «sigillati» (ad esempio nel cemento per battuti di campi e strade, o chiusi nei sottotetti), non avrebbe prodotto diffusione di fibre di amianto. E, però, tanto i campetti di calcio o di bocce, quanto le strade, sono fatti per essere calpestati e percorsi frequentemente: si può, con obbiettivo realismo, escludere che quello sfregamento ripetitivo non abbia liberato delle fibre di amianto?
- La seconda considerazione: la Corte non reputa di ricondurre a Schmidheiny la responsabilità dell’impiego di polverino e scarti per i cosiddetti «usi impropri», molto diffusi a Casale e nei paesi del circondario; riconosce che la distribuzione di questi materiali sia avvenuta, sì, ma precedentemente al periodo in cui l’imputato ha guidato l’Eternit.
- La difesa aveva richiamato una disposizione di Schmidheiny di non consentire più la distribuzione di questi materiali di scarto ai cittadini che ne avessero fatto richiesta. Ma per il gestore effettivo di un’azienda è sufficiente far diramare una circolare di divieto per tirarsi fuori da ogni responsabilità? Un imprenditore responsabile, conoscendo la pericolosità degli usi impropri al punto da vietare ai suoi di cedere i materiali suscettibili di questi usi, può tacere? E non informare né i cittadini né le autorità dei pericoli di cui è evidentemente consapevole? E non mettere a disposizione la competenza dei propri tecnici per sviluppare e far conoscere le tecniche per bonificare i materiali ancora esistenti, o almeno metterli in sicurezza?
- Al processo, tra l’altro, non è emerso che l’imputato (che pur conosceva bene la pericolosità della fibra di amianto) abbia verificato, successivamente e ripetutamente, che quella disposizione venisse osservata. Ai casalesi non è rimasto altro da fare che arrangiarsi. E a quali costi umani ed economici!
- Elemento soggettivo e epoca dei fatti. Dolo eventuale o colpa. L’imputato, in forza delle conoscenze dell’epoca sulla pericolosità dell’amianto, ha deciso di proseguire comunque l’impiego di amianto mettendosi mentalmente al riparo e trincerandosi dietro la lunga latenza del mesotelioma? A dire: «Quando si ammaleranno saranno passati così tanti anni che io non sarò più chiamato a risponderne»? Il fatto che, all’epoca dei fatti, come ha insistito la difesa, le conoscenze circa la cancerogenicità dell’amianto fossero più limitate di quelle attuali è uno dei motivi che ha fatto ritenere alla Corte d’Assise di Novara l’assenza dell’elemento di «volizione» indispensabile per affermare il dolo nella forma eventuale (non basta raffigurarsi il danno, bisogna volerlo). Secondo la Corte, la tragedia derivata dalla diffusione sconsiderata di fibre di amianto è stata così abnorme che Schmidheiny non avrebbe potuto prefigurarsi una strage di queste proporzioni (purtroppo tutt’ora in corso). E, tuttavia, il fatto che l’imprenditore svizzero sapesse la stessa Corte lo riconosce nettamente in alcuni passaggi della sentenza: «(…) L’imputato per anni ha governato la prosecuzione dell’attività dell’Eternit pur consapevole dei notevoli rischi per la salute umana e per l’ambiente derivanti dall’utilizzo pericoloso dell’amianto». E ancora: «Allo scopo di tutelare gli interessi del proprio gruppo industriale nel settore dell’amianto e continuare a conseguire i rilevanti profitti derivanti dal ciclo produttivo della Eternit, non solo pianificava e disponeva la continuazione di quella attività, ma orchestrava una mirata campagna di fuorviante informazione volta a minimizzare i gravi pericoli correlati all’utilizzo dell’amianto e a contenere ogni rivendicazione o segnalazione dei sindacati o della popolazione».
- Avrebbe potuto adottare un comportamento diverso per scongiurare questa tragedia? Per i giudici sì, perché Schmidheiny «era dotato della posizione di garanzia e di tutte le risorse e competenze conoscitive, decisionali e finanziarie necessarie per assumere e concretizzare decisioni importanti, financo drastiche, per annichilire l’imponente aerodispersione di polvere di amianto derivante dal ciclo produttivo dell’azienda».
- E dunque? Forse ciò che l’imprenditore svizzero riteneva abnorme (e quindi inimmaginabile) erano le proporzioni del disastro umano che poi si è avverato (e persiste), con centinaia e centinaia di vittime incolpevoli? Cioè non pensava che ne morissero così tanti, ma un po’ di meno? Il fatto, tuttavia, che un accadimento sia superiore alla raffigurazione umana in un determinato momento storico, non significa che non possa accadere. Qualche esempio? I campi di concentramento e l’Olocausto, il treno di Livorno… ma quanti altri se ne potrebbero aggiungere.
TEMPI D’ATTESA
I motivi d’impugnazione saranno depositati entro il 18 gennaio. Non è irrealistico immaginare che l’inizio del processo di secondo grado davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Torino possa essere fissato entro il 2024.
Grazie per aggiornamenti cara Silvana . Andiamo Avanti nella speranza di arrivare alla più vera e giusta verità e sentenza . Paolo
Brava, chiara ed esauriente. Come al solito.
Mi ripeto. Grazie a te ci fai capire cosa sta accadendo in questa tragedia.
Aspettiamo fiduciosi, piangere non serve più.