SILVANA MOSSANO
Reportage udienza 24 ottobre 2022
L’attacco frontale dei consulenti della difesa non salva niente: tutte le argomentazioni illustrate dai consulenti della procura e delle parti civili vengono prese di mira e bersagliate.
Il bombardamento era già iniziato nell’udienza del 21 settembre scorso a Novara, davanti alla Corte d’Assise chiamata a giudicare l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, accusato dell’omicidio volontario (con dolo eventuale) di 392 casalesi, morti, secondo la procura, a causa dell’amianto diffuso criminosamente dalla fabbrica Eternit di Casale Monferrato di cui l’imputato è l’ultimo patron in vita.
I consulenti, incaricati dai difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, sono Canzio Romano, esperto in Medicina del Lavoro (è stato professore associato all’Università di Torino), in Malattie dell’apparato respiratorio e in Igiene industriale, in Epidemiologia e Tossicologia (già direttore della Scuola di specializzazione all’Università di Torino), e Claudio Colosio, docente di Medicina del Lavoro al Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Milano, con competenze specifiche nel campo della Tossicologia Occupazionale e studi sull’esposizione all’amianto, soprattutto nell’area asiatica dove l’amianto è ancora utilizzato.
Il professor Romano non risparmia niente. Si è preso circa sei ore di tempo per smontare, pezzo a pezzo, le tesi scientifiche su cui poggia l’accusa, soprattutto quelle degli epidemiologi Corrado Magnani e Dario Mirabelli. E non solo quelle
Non risparmia niente, appunto, e niente salva. O, meglio, tutte le argomentazioni tecnico-scientifiche su cui si poggia l’impianto accusatorio sono state filtrate dal consulente della difesa attraverso il setaccio della strategia del dubbio.
Il dubbio, l’indeterminatezza è lo svincolo che consente la via di fuga per l’imputato ovvero un’ipotesi di assoluzione.
L’OFFENSIVA
Romano ha ripreso, lunedì 24 ottobre 2022, l’opera demolitrice, già iniziata a settembre scorso, con una sequenza di attacchi mirati e puntigliosamente studiati e costruiti, frutto di uno studio corposo, articolato e meticoloso.
Contesta la possibilità di stabilire quando il mesotelioma si è sviluppato.
Contesta la tesi della dose cumulativa (cioè, secondo lui, a maggiori esposizioni alla fibra non corrisponderebbe un maggior rischio di ammalarsi).
Contesta le argomentazioni sull’anticipazione della comparsa della malattia a seguito del persistere dell’esposizione all’amianto.
Contesta che l’unica fonte di diffusione di polvere d’amianto a Casale fosse lo stabilimento Eternit, il più grande e il più vetusto in Italia.
Contesta che, all’epoca in cui Schmidheiny era alla guida dell’Eternit, ci fossero approfondite conoscenze sull’effettiva pericolosità dell’amianto.
QUANDO INIZIA LA MALATTIA
Il professor Romano si è soffermato a lungo sul tema della latenza.
E’ cosa nota che il mesotelioma è caratterizzato da una lunga latenza: così genericamente detta, senza aggettivi specifici, indica il periodo, lungo anche decenni, compreso tra il momento dell’esposizione all’amianto e la diagnosi della malattia.
Il consulente ha preso in considerazione il modello di sviluppo del tumore illustrato dagli esperti della procura Magnani e Mirabelli e ha prodotto argomentazioni contrapposte sulla cancerogenesi (cioè il processo che genera il tumore) e sulla durata delle fasi di latenza.
Il tema è complesso, proviamo a semplificare.
Il periodo complessivo di latenza viene diviso in due parti: l’«induzione» (secondo la terminologia usata dai consulenti della procura) o «latenza pre-insorgenza» (secondo il consulente della difesa) che va dall’inizio dell’esposizione all’amianto fino all’insorgenza della patologia, cioè al momento in cui la cellula capostipite del tumore, per effetto delle alterazioni prodotte dalla fibra respirata, si trasforma da benigna in maligna; la successiva «fase pre-clinica» (secondo la terminologia usata dai consulenti della procura) o «latenza propriamente detta» (secondo il consulente della difesa), che va dall’insorgenza del nodo tumorale asintomatico alla diagnosi: è il lasso di tempo in cui il tumore, già insediato ma ancora invisibile (e, quindi, non ancora diagnosticabile), si sviluppa fino ad assumere una certa consistenza e a produrre i primi sintomi.
La tesi argomentata da Magnani e Mirabelli è che la fase preclinica (quando cioè il tumore si è già insediato, ma non è ancora visibile e diagnosticabile) abbia una durata di circa 10 anni. Romano nega questa ricostruzione: è stato uno degli argomenti su cui si è più lungamente diffuso (e che sarà dirimente nella discussione del processo), per arrivare a dire che «è impossibile, nel singolo individuo, definire su base scientifica il momento in cui il tumore deve ritenersi irreversibilmente realizzato». In dettaglio: «Non è possibile, nel singolo individuo, identificare quando e per quanto tempo l’agente (cioè la fibra d’amianto, ndr) ha esercitato l’effetto, quando il processo di trasformazione cancerogena è iniziato e quando il processo che ha prodotto la neoplasia è terminato». Lapidario il consulente della difesa: «Non c’è certezza». Ovviamente, negando la possibilità di stabilire quando si insedia il mesotelioma nell’organismo, secondo il professor Romano non si può affermare che ciò sia avvenuto nel decennio tra giugno 1976 e giugno 1986 in cui Schmidheiny era a capo dell’Eternit.
DOSE CUMULATIVA
Il professor Romano ha affermato che «la dose di amianto che dà luogo al tumore può essere piccola, anche relativamente insignificante» a fronte di una «esposizione breve o brevissima». Ancora: «I modelli di carcinogenesi (cioè origine del tumore, ndr) del mesotelioma da amianto, descritti nelle formule di vari autori di studi, dimostra che il tempo dalla prima esposizione è una chiave determinante del rischio successivo e, secondo questi modelli, c’è una responsabilità causale preponderante delle esposizioni che si sono verificate nei periodi più remoti». In altre parole: le prime esposizioni sono quelle che contano, quelle successive non sono più influenti, secondo il consulente della difesa. Al contrario, gli esperti della procura sostengono, in base ai loro studi, numerosi dei quali condotti nel territorio di Casale Monferrato, che il rischio di ammalarsi aumenta con l’incremento delle esposizioni e che anche le esposizioni successive alle prime producono un effetto aggiuntivo, acceleratore e anticipatore del mesotelioma.
Per Canzio Romano questa è «una forzatura dei dati, palesemente errata: per gli scopi dell’epidemiologia si possono accettare delle approssimazioni, ma è un errore – a suo parere- passare dalla conclusione epidemiologica, secondo cui la frequenza del mesotelioma dipende dall’esposizione cumulativa, alla conclusione biologica che qualsiasi incremento di esposizione determini un incremento del rischio di mesotelioma». Magnani e Mirabelli avevano affrontato approfonditamente il fenomeno della cosiddetta «clearance», cioè la capacità messa in atto dall’organismo di liberarsi dei corpi estranei tossici (in questo caso specifico, delle fibre di amianto). In base agli studi dei consulenti della procura, l’eliminazione delle fibre è vanificata dall’introduzione di nuove fibre e, quindi, anche il rischio di mesotelioma continua sempre a crescere.
Romano non è d’accordo e ha messo in dubbio, una volta di più, le reali conoscenze scientifiche sulla «clearance», e sui tempi che la caratterizzano, specie tra un tipo di amianto e l’altro.
NON C’ERA SOLO L’ETERNIT
«Non è possibile spiegare l’eccesso di mortalità di mesotelioma maligno riscontrato nell’area del Casalese solo sulla base della presenza dello stabilimento Eternit» ha affermato il professor Romano.
Riprendendo le argomentazioni del professor Andrea D’Anna (già esaminato il 18 luglio e controesaminato il 21 settembre), ha ribadito che c’erano altre fabbriche in zona che usavano l’amianto e, in più, c’erano altre fonti di contaminazione riconducibili ai cosiddetti «usi impropri».
Ma, come già era stato necessario precisarlo con il professor D’Anna, occorre rimarcarlo anche col professor Romano: di tutte le fabbriche, l’Eternit era l’unica che impiegava l’amianto in quantità massicce, come materia prima, le altre no.
D’Anna aveva esposto un lungo elenco di ditte che impiegavano strumenti o macchinari in cui la fibra di amianto serviva da coibente o da materiale ignifugo, elenco che, lui stesso aveva poi dovuto precisare in controesame di aver messo insieme con una semplice (e ci permettiamo di dire: imprecisa, con nomi anche sbagliati) ricerca in internet, senza aver verificato. Romano ha ripreso comunque quel dato dandolo per buono (ed è comprensibile, visto che D’Anna è consulente dello stesso fronte difensivo).
Sempre sulla scia di D’Anna, ha poi richiamato sia i siti dove c’era il polverino (specialmente nei sottotetti) e il battuto (nei campetti di calcio o nelle strade) sia le coperture su diversi edifici.
Vale rammentare, benché lapalissiano, che polverino e battuto provenivano direttamente dallo stabilimento Eternit, ma, così come il suo collega consulente, anche Romano ha dichiarato con sicurezza che «il 96% del polverino e il 99% del battuto furono installati prima del 1976». A dire: Schmidheiny non ne può niente.
Quindi, messa in salvo l’estraneità dell’imputato rispetto agli «usi impropri», il consulente della difesa ha insistito sul rischio di contaminazione proveniente da quelle fonti, specie se si viveva a distanza di 500 metri, o ancor più fino a 1500/2000 metri dalla fabbrica. Intanto, Romano ha messo in dubbio la validità della mappa delle fasce di rischio sostanzialmente concentriche, in cui la fabbrica del Ronzone è il fulcro, raffigurata dai consulenti della procura; inoltre, ha insistito fortemente sul fatto che aver abitato in aree in cui erano presenti polverino, battuto o tetti e tettoie, o aver comunque frequentato quelle zone «ha rappresentato un rischio, anche dopo il 1976»; però, si è affrettato ad aggiungere, «l’origine di questo rischio va fatta risalire alla data di installazione» che, con certezza inossidabile, Romano fa risalire sicuramente a prima del 1976. L’ha detto D’Anna. Punto.
CHE COSA SI SAPEVA
Uno studio condotto nel 1959 dallo scienziato di Johannesburg Chris Wagner e pubblicato nel 1960 provocò un forte scossone: documentava 33 casi di mesotelioma pleurico in una zona limitata del Sudafrica, dove erano concentrate cave di estrazione dell’amianto, e aveva evidenziato così l’esistenza di un nesso causale tra quel tipo di tumore e l’amianto.
Il professor Romano lo ha citato, ma l’argomento, ha minimizzato, era oggetto di dibattito tra scienziati. A suo parere, «il mesotelioma è stato “ufficialmente” presentato alla comunità scientifica da Irving Selikoff, alla Conferenza sugli effetti biologici dell’amianto, organizzata nel 1964 dall’Accademia delle Scienze a New York. «Ma non si può dire – ha aggiunto – che a quella data fosse una conoscenza scientifica consolidata» il nesso causale tra amianto e mesotelioma. «Lo stesso Selikoff, nel 1979, diceva che c’erano ancora molti aspetti da appurare».
Non parliamo poi dell’Italia, dove «negli anni Ottanta – ha detto Romano – trovavano piena applicazione, in fabbricati a struttura di acciaio a uso civile, norme di sicurezza contro il fuoco che prevedevano l’uso di amianto» ad azione ignifuga. Nel 1973, poi, in un decreto ministeriale del 18 aprile, non era inserito il mesotelioma tra le malattie professionali; l’ingresso del mesotelioma tra le malattie tabellate avvenne con il Dpr 336 del 13 aprile 1994.
Questi e altri richiami storici hanno portato il consulente della difesa ad affermare che non era vero che si fosse consapevoli della pericolosità dell’amianto negli anni in cui Stephan Schmidheiny era padrone dell’Eternit.
Non lo sapeva lo Stato italiano, ne discutevano gli scienziati, e come facevano a saperlo le persone comuni? Effettivamente, la gente comune non lo sapeva. Torna a memoria la testimonianza di un ex operaio Eternit che, al maxiprocesso per disastro celebrato a Torino, disse: «Se l’avessi saputo, col cucu che sarei rimasto a lavorare lì!».
Ma qualcuno un po’ più in su qualcosa sapeva; ad esempio, Ezio Bontempelli, capo del Sil (Servizio di igiene del lavoro, istituto dalla società Eternit nel 1976), comprò casa a Casale e, quando si rese conto che sul marciapiede davanti all’ingresso c’era del polverino, lo fece togliere prima di posare un passo oltre la soglia. E Schmidheiny, davvero non sapeva? Beh, allora perché nel 1976 convocò il convegno di Neuss, chiamando a raccolta i suoi più alti dirigenti, per metterli a parte dei gravi rischi causati dall’amianto? Che cosa disse loro sulla grave pericolosità dell’amianto per farli uscire da quel consesso «choccati» (come ebbe a testimoniare uno degli amministratori delegati del gruppo)?
LE DIAGNOSI E LE SCHEDE
Per ognuna delle vittime il professor Colosio ha poi predisposto schede specifiche, analizzando ogni caso dal punto di vista clinico, tenendo conto della puntuale analisi anatomopatologica effettuata e già illustrata dal professor Massimo Roncalli.
Colosio e Romano hanno ammesso che, è vero, senza il sospetto clinico (che parte dai sintomi) non verrebbe in mente di fare ulteriori accertamenti, ma la clinica e la radiografia (raggi e tac) «sono solo il punto di partenza. Indispensabile e imprescindibile è l’indagine immunoistochimica: se questa non risulta convincente, la diagnosi non può trovare conferma nel quadro clinico».
Il professor Romano ha aggiunto altro: «Va tenuto presente che i tumori metastatici alla pleura superano di gran lunga il mesotelioma pleurico maligno primario», a dire cioè che una parte dei tumori che a Casale e dintorni sono stati diagnosticati come mesotelioma erano in realtà metastasi di altri tumori. Ed era già stato fatto aleggiare il dubbio che i medici nel Casalese diagnosticano il mesotelioma con facilità. Ecco, chi gliela dice una cosa così a pazienti di 36 anni! di 40 anni (bambini dell’asilo quando l’Eternit fu chiusa)!, di 50 anni!, di qualunque età, chi glielo dice che questi medici li curano per qualcosa che sarebbe altro?
Ma, intanto, si è buttato lì, un altro dubbio, soprattutto a riscuotere l’attenzione dei giudici popolari: dubbio più dubbio meno, nel tentativo di seminare incertezza nei solchi arati con cura da chi, al caso Casale, ha dedicato anni di meticolosa e rispettosa attenzione.
Però, qualcosa non torna.
Ma possibile che soltanto a Casale e dintorni ci siano pazienti colpiti da così tante forme tumorali (che sembrano mesotelioma, ma non lo sono) che causano proprio quelle metastasi alla pleura? Nelle altre città no?
Ma possibile che soltanto a Casale e dintorni i tetti d’amianto sono stati la fonte di così elevata contaminazione (al pari dello stabilimento, secondo gli esperti della difesa? E nelle altre città no (dove pure di tetti d’eternit ce n’erano in uguale quantità… e ce ne sono ancora parecchi)?
Ma possibile che soltanto a Casale e dintorni di così tante vittime (indiscutibilmente ben oltre i limiti attesi) siano colpevoli, non meno della fabbrica Eternit, le aziende dove in qualche modo l’amianto, non come materia prima, era presente? E in altre città no? Eppure, fabbriche di quelle tipologie erano e sono attive ovunque. Ma lì tutti questi morti non si contano.
Ecco, i numeri non tornano. I numeri dei malati e delle vittime. Ma ogni numero ha un nome, anzi, ogni numero è un nome: senza incertezze, senza dubbi. E guai a chi dice che è retorica.
PROSSIMA UDIENZA
Il processo Eternit Bis riprende lunedì 21 novembre, per il controesame dei consulenti della difesa Romano e Colosio che saranno chiamati a rispondere a domande e a eventuali richieste di chiarimento da parte dei pubblici ministeri Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare, oltre che dei legali di parte civile.
Mesotelioma, come si «insedia» il tumore dopo l’esposizione all’amianto
Non basta dirti Grazie per la continua e precisa informazione che ci produci ma sarebbe giusto darti un giusto riconoscimento qualsivoglia esso sia. Grazie
La difesa ci sguazza fra dubbi e incertezze. Casale non ci sta. I casalesi non lo possono permettere.
Grazie per le dettagliate informazioni.
Grande lavoro Silvana!
Grazie per la ricca sintesi e per le acute osservazioni alle tesi dei Prof delladifesa!