“L’imprevedibile viaggio di Harold Fry” autrice Rachel Joyce, traduzione di Maurizio Bartocci e Chiara Brovelli, pubblicato in lingua originale nel 2012, pubblicato in Italia da Giunti Editore nel 2023, prima edizione agosto 2023, pp. 317.
In una frase: è un capolavoro, imperdibile.
Di Rachel Joyce, circa sei mesi fa, avevo commentato “Il negozio di musica”, romanzo che mi era piaciuto tanto, da farmi desiderare di leggere l’opera di esordio della scrittrice inglese, “L’incredibile viaggio di Harold Fry”, appunto, tradotto in 34 lingue, dal quale è strato anche tratto il film omonimo, proiettato nelle sale italiane dal 5 ottobre scorso.
La lettura ha pienamente confermato le mie aspettative.
“Harold Fry era un uomo alto che attraversava ingobbito la vita, come se si aspettasse che apparisse dal nulla una trave bassa o un aeroplanino di carta fuori controllo. Il giorno in cui era nato, sua madre stava guardando con sgomento il fagotto che teneva in braccio. Era giovane, con la bocca a bocciolo di peonia e un marito che le era parso una buona idea prima della guerra e una pessima idea subito dopo. Un figlio era l’ultima cosa che voleva o di cui aveva bisogno. Il bambino imparò rapidamente che il modo migliore per andare avanti nella vita era non dare nell’occhio; sembrare assente anche quando era presente. Giocava con i figli dei vicini, o quanto meno li osservava giocare da un angolo. A scuola evitava di attirare l’attenzione, al punto di sembrare stupido. Quando a sedici anni era andato via di casa, si era sistemato per conto suo, finché una sera, incrociando lo sguardo di Maureen dall’altro lato di una sala da ballo, se ne era innamorato follemente. Era stato il birrificio a portare i due sposini novelli a Kingsbridge.
Per quarantacinque anni Harold aveva fatto il rappresentante. Tenendosi in disparte, lavorava con umiltà ed efficienza, senza cercare promozioni o attenzioni. Altri viaggiavano e accettavano posti in Direzione, ma Harold non voleva nessuna delle due cose. Non si faceva né amici né nemici. Quando era andato in pensione, su sua richiesta non c’era stata alcuna festa di addio. E anche se una delle impiegate dell’amministrazione aveva organizzato una rapida colletta, erano davvero in pochi nel reparto vendite a sapere qualcosa di lui. Qualcuno sosteneva di aver sentito dire che Harold aveva una storia alle spalle, ma non aveva capito che tipo di storia. Finì di lavorare il venerdì e rincasò con nient’altro che una guida autostradale illustrata della Gran Bretagna e un buono da spendere in un negozio di liquori a testimonianza di una vita di lavoro. Il libro era stato era stato sistemato nel salotto buono, insieme a tutte le altre cose che nessuno guardava. Non usufruirono dello sconto. Harold era astemio”. (pp 29-30).
La storia è ambientata nei primissimi anni del terzo millennio, siamo nell’ Inghilterra sud-occidentale: Harold Fry è in pensione da poche settimane quando, un martedì: “arrivò la lettera che avrebbe cambiato ogni cosa. Un normalissimo mattino di metà aprile che profumava di bucato fresco e di erba tagliata.” (p. 7).
“Apparve sua moglie, con la faccia arrabbiata. Si sedette di fronte a Harold.
Maureen era una donna esile, con una zazzera grigia, il taglio a scodella e il passo svelto. All’epoca in cui si erano conosciuti, niente lo rendeva più felice del farla ridere. Guardarla scomporsi in una sfrenata felicità. <<E’ per te>> gli disse. Lui non capì finché lei non fece scivolare una busta sul tavolo, fermandosi vicino al gomito di Harold. Entrambi guardarono la lettera come se non ne avessero mai vista una. Era rosa.” (p.7).
La lettera proviene dalla Casa di cura San Bernardino di Berwick-upon Tweed, una cittadina situata sul Mare del Nord, al confine con la Scozia, a circa mille chilometri di distanza dalla casa di Harold e Maureen a Kingsbridge (piccola località affacciata sulla Manica).
Lo scambio delle poche battute tra moglie e marito (pp 8/9), mentre questi apre la missiva, è sconvolgente: con parole semplici, scarne, banali, si dimostra quanto può diventare abissale e impenetrabile il livello di incomunicabilità in una coppia.
Chi scrive è una ex collega di Harold, Queenie Hennessy, lo informa di essere ammalata di cancro, allo stadio terminale.
Harold è sconvolto: “Perché aveva lasciato passare vent’anni senza provare a rintracciare Queenie Hennessy? Rivide l’immagine della donna bruna con cui aveva lavorato tanto tempo prima e gli sembrò impossibile che avesse … quanti? Sessant’anni? E che stesse morendo di cancro a Berwick. Con tutti i posti che c’erano, pensò; non si era mai spinto tanto a nord … si infilò in tasca la lettera di Queenie, la toccò un paio di volte per essere sicuro di averla, e si alzò.
Al piano di sopra Maureen chiuse delicatamente la porta della stanza di (suo figlio) David e si fermò un istante, a respirare il profumo di lui che era rimasto lì dentro … lustrò la cornice d’argento della sua foto a Cambridge, e quella accanto, in bianco e nero, di quando era bambino. Teneva la camera in ordine perché attendeva il ritorno di David, e non sapeva quando sarebbe arrivato quel momento … gli uomini non avevano idea di che cosa significasse essere madre …pensò a Harold al piano di sotto, con la sua lettera rosa, e desiderò di poter parlare al figlio. Usci dalla stanza senza far rumore, così come vi era entrata, e andò a disfare i letti”. (p. 10)
Harold decide di rispondere a Queenie, ma fatica a mettere insieme le parole, alla fine riesce a buttar giù un breve pensiero, infila il foglietto in una busta e la sigilla velocemente, poi ci copia l’indirizzo della clinica ed esce per andare ad imbucarla.
“Ci metterai molto?” gli chiede Maureen, “Arrivo solo in fondo alla strada”, le risponde.
Dal vialetto del suo giardino Harold percorrerà, sempre a piedi, molta più strada di quanto avesse immaginato: decide di imbucare direttamente all’ufficio postale così “la consegna sarebbe stata garantita per il giorno seguente” (p. 15), e poi, mentre sta raggiungendo l’ufficio gli viene in mente che era Maureen a “parlare con David e dargli loro notizie. Era Maureen a firmare anche per lui («Papà») le lettere e le cartoline. Era stata sempre lei a trovare un ospizio per il padre di Harold … inevitabilmente si chiese: Se a tutti gli effetti Harold è lei, allora io chi sono? Oltrepassò l’ufficio postale senza neppure fermarsi”. (p. 16).
E, poi, Harold prenderà una decisione imprevedibile, contro ogni logica: da una cabina telefonica (aveva dimenticato il telefono cellulare a casa) chiama la clinica a Berwik: “Dica a Queenie che Harold Fry sta arrivando. Lei deve solo aspettare. Perché io la salverò, vedrà. Io continuerò a camminare e lei dovrà continuare a vivere. Glielo dirà? … Finché io continuerò a camminare, lei dovrà vivere …” (p.23).
Un lunghissimo, lento, viaggio (anzi, nel titolo originale è usata la parola “pellegrinaggio”) pieno di incontri, avventure, sorprese; Harold sarà aiutato e aiuterà altre persone, e proprio dalle riflessioni dalla condivisione di semplici gesti, a volte anche di soli sguardi, e perfino dei silenzi, potrà scaturire la risposta a quella fondamentale domanda: allora io chi sono?
Finale: La narrazione è trascinante, coinvolgente, ricca di episodi divertenti e soluzioni mai scontate, e mi riferisco anche alle attese abilmente suscitate nel lettore, che è portato quasi subito a “tifare” entusiasticamente per Harold e man mano ne scopre anche le debolezze. I tre protagonisti principali sono persone anziane, ma il romanzo è davvero sconfinato e il lettore di qualsiasi età ci si può ritrovare; forse qualcuno potrebbe addirittura essere aiutato a intraprendere un viaggio, magari a riprendere coraggio, oppure a perseverare nello sforzo di vivere “per fare la differenza”, che non vuol dire avere tanti followers.
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Grazie Sergio , per ricordarti di me e per regalarmi qsti consigli sui libri . Con l occasione auguro a te ed ai tuoi cari buone feste buona vita è tanta musica