SILVANA MOSSANO
Diario di pensieri sparpagliati, in tempo di guerra (la foto, è tratta dal quotidiano la Repubblica)
24 febbraio 2022
Ci siamo svegliati tristi e spaventati. Non sorpresi, perché un attacco era atteso; i meglio informati forse lo sapevano da mesi. I più, e io mi sento tra questo, da settimane sentivamo il gelo e l’ululare dei venti di guerra. Addirittura venivano indicati giorni precisi dell’attacco, e pure le strategie.
Oggi che l’evento è esploso, poco conta la vecchia sdrucita tiritera «io lo sapevo, io l’avevo detto».
La guerra c’è e nella testa rimbomba un orrore che per oltre settant’anni ci eravamo abituati a non avere più così vicino.
Avevamo voluto credere che le guerre moderne non si combattono più con le bombe, con i fucili, caso mai con armi chimiche e biologiche, con l’informatica e l’intelligence. Roba per grandi sistemi, mica come una volta che…
E invece, guardala qui, come scoppia la guerra: con le bombe, con i morti, con l’odio. Come una volta. Come sempre.
Non c’è originalità nei titoli dei giornali – «E’ guerra», «Via all’invasione dell’Ucraina», «E’ iniziata l’invasione russa», «Putin bombarda l’Ucraina», «L’Ucraina invasa, le truppe avanzano» – perché di originale in una guerra c’è niente. Odio e morte. Armi e distruzione. Contrapposizione e sofferenza.
Qualcuno ha detto che le guerre le decidono in pochi che poi non le combattono e vengono invece combattute dai molti che non le avevano volute e neppure immaginate. Ci si trova su fronti contrapposti di odio spesso frutto di propaganda. Viene in mente la «Guerra di Piero» di Fabrizio De André.
«(…) E mentre marciavi con l’anima in spalle
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore (…)»
Diceva Gino Strada, fondatore di Emergency: «Vorrei sottolineare, ancora una volta, che nella maggior parte dei Paesi sconvolti dalla violenza, coloro che pagano il prezzo più alto sono uomini e donne come noi, nove volte su dieci. In qualità di testimone delle atrocità della guerra, ho potuto vedere come la scelta della violenza abbia – nella maggior parte dei casi – portato con sé solo un incremento della violenza e delle sofferenze. La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza. Lo disse quando, nel 2015, gli fu assegnato il “Right Livelihood Award”, il “premio Nobel alternativo”. E’ morto quattro mesi fa. Oggi, se sono certa, avrebbe detto, con infinita tristezza e impotenza, le stesse cose.
Fino a pochi giorni fa, campeggiavano, su siti internet e giornali, le fotografie dei Giochi olimpici invernali, definiti i più belli di sempre, disputati a Pechino. Chissà se all’incontro riservato tra Putin e Xi Jinping, a margine della cerimonia inaugurale, il presidente russo aveva rassicurato il suo omologo cinese che non avrebbe battuto colpo fino a che l’evento sportivo mondiale non fosse finito, per non oscurare il successo mediatico! Mi sembra molto realistico. E reale.
A parte la raffigurazione fotografica delle deflagrazioni in Ucraina, sui siti di varie testate hanno fatto in fretta a diffondersi immagini della quotidianità di questo primo giorno di guerra nelle città ucraine. Ci sono persone sfollate nelle metropolitane, improvvisati bunker antibombe; lunghe code umane per recuperare soldi al bancomat, sapendo che le banche faranno in fretta a esaurire i contanti; e chilometriche file di auto ai distributori di carburante: con il serbatoio pieno si può tentare la fuga, forse.
Penso: se dovessi fuggire, lasciare la mia casa e le mie cose, che cosa vorrei portare con me? Ovviamente, il primo pensiero sarebbe quello di tenermi accanto tutte le persone care. Se ti viene concesso.
E poi? E’ difficile decidere in pochi minuti, con il soffoco dell’angoscia. E con la consapevolezza che quel che sei stato fino a quel momento non conta più, le certezze su cui hai costruito la tua esistenza franano. Sarà difficile abituare gli occhi al buio della caverna che ti appresti a penetrare.
Che cosa prenderei? Mah, gli occhiali, i documenti personali, un paio di scarpe comode, un quaderno e una matita, un fazzoletto e un berretto di lana, un sacchetto con qualcosa da mangiare, una foto ricordo, il poco contante che ho a disposizione. Così, su due piedi, non saprei che altro. Ma soprattutto farei uno struggente e lucido abbraccio alle mie stanze, agli odori, ai miei libri, alle cianfrusaglie cui sono (stata) affezionata. Una sequenza ravvicinata di scatti fatti con lo sguardo e con l’anima. E poi scappare via. Ma dove? E’ la domanda che si stanno facendo migliaia di persone in queste ore lì al Nord, che si stanno facendo milioni di persone negli oltre venti conflitti attualmente aperti nel mondo, in quella «guerra mondiale a pezzi» di cui ha parlato, di recente, Papa Francesco. E non ci siamo, a un tiro di schioppo. Con il peso delle parole terribili pronunciate da Putin nei confronti dei Paesi che volessero intralciarlo; la minaccia di «conseguenze che non avete mai conosciuto nella vostra storia». Ecco perché quella che è scoppiata ufficialmente (?!) oggi, così come tutte le altre, non è soltanto la guerra dell’Ucraina, del Congo, del Mali, della Siria, di Israele-Palestina etc etc. E’ la guerra dell’umanità, dei bambini, delle donne, degli uomini, degli affetti, delle debolezze, dei sentimenti, delle povertà. Ed è una grandissima merda.
Eh Silvana, condivido tutto e, come tutti credo, mi sento impotente. Mi chiedo però cosa succederebbe se chiedessimo di comportarci come se ci fosse stato un terremoto, un alluvione, chiedendo e imbracciare vaghe, badili, portando cibo, latte e ospedali da campo. Cercando di fare economia per non sprecare il tanto che abbiamo e ingrassare quelli che vendono il gas, e comprano armi. Chiedendo di non venderle più le armi, anche se lavorassimo alla Beretta o alla oto melara. Invece cerchiamo di mettere sanzioni a quelli che ci forniscono sperando che non sentiremo l’effetto “rin..culo”; peggio invocheremmo le armi se solo non ne avessimo ormai paura. Forse non abbiamo più neanche l’idea di società, di valori, e ci stupiamo adesso che qualcuno voglia imporci la sua idea, i suoi criteri senza che ne subiamo gli effetti.
Dal tuo scritto.
Penso: se dovessi fuggire, lasciare la mia casa e le mie cose……
Domanda senza risposta. Non si può rispondere.
L’angoscia blocca, ti senti travolto dal mondo che tri crolla addosso.
Che la speranza non ci abbandoni…
Condivido le tue riflessioni inerme contro tanta follia. Il “buon senso “ porti alla Pace. Non abbiamo metabolizzato nulla dalle altre Guerre!
Cara Silvana, hai perfettamente espresso i pensieri, la rabbia, le incertezze, le paure di tutti noi che la guerra l’avevano solo sentita raccontare da genitori e nonni. E mi chiedo che mondo stiamo lasciando ai figli e soprattutto ai nipotini che con questi problemi, guerre inquinamento, disastri ambientali, mancanza di lavoro…. stanno già convivendo da piccoli…. Sono giorni molto tristi e di impotenza
Cara Silvana, che brutto momento stiamo vivendo, non pensavo che avrei visto quegli orrori che mamma, papà, nonni mi avevano raccontato. Rabbia tristezza dolore impotenza mi accompagnano tutti i giorni e ti rendi conto che le preghiere, anche quelle del Papa, non vengono ascoltate. E tutti quei bambini…quelle povere donne. Sono anche loro, purtroppo, a combattere questa guerra di prepotenza e sopraffazione. Possiamo dire solo “speriamo”