SILVANA MOSSANO
Stamane, lunedì 10 maggio 2021, è morta Enrica Morbello. Fu staffetta nella 114a
Brigata Garibaldi, unica donna su un centinaio di uomini. Tra cui suo marito, Secondo (Dino) Core.
Il nome di battaglia da partigiana era «Fasulìn». Una definizione dialettale – tradotto «fagiolino» – che, da queste parti, se attribuita come soprannome, smuove a un sorriso, suona come vezzeggiativo, sinonimo di creatura minuta, esile, che suscita tenerezza e protezione.
Enrica Morbello Core era «Fasulìn», ma ’n Fasulìn «guregn», cioè tenace e tutt’altro che fragile, men che meno arrendevole.
E, tosta, non si è arresa fin quasi alla soglia del secolo – aveva compiuto novantanove anni il 28 febbraio scorso –, senza perdere la vitale lucidità che ha contraddistinto la sua esistenza di combattente: prima, da antifascista, contro la guerra e la dittatura, poi per la libertà, la democrazia e l’affermazione dei diritti civili. Tutti.
I suoi racconti non erano retorici amarcord. Come quando parlava ai ragazzi, come nel suo libro di memorie «Dalla parte giusta» (2006), e come è avvenuto nell’intervista rilasciata, un paio di anni fa, a Gad Lerner per il libro «Noi Ragazzi della Libertà» (scritto con la coautrice Laura Gnocchi), memoriale della Resistenza italiana documentato dalle voci ancora vive dei protagonisti. Enrica Morbello Core non si stancava di ripetere, con resoconti essenziali, mai enfatici, che cosa è stata quella stagione su cui è fondata la nascita della nostra Repubblica.
Da partigiana imbracciò anche il fucile e il mitra, e, tuttavia, la sua arma più potente ed efficace fu il sorriso. Ha combattuto insieme agli uomini, dimostrando che la femminilità non è un limite. Era innamorata della bellezza, quando la osservava e la ammirava nella natura, quando la riproduceva nelle opere pittoriche e quando la «indossava»: non rinunciava, ad esempio, a scaldare le labbra con un rossetto rosso brillante, e alle camicette a fiori o al foulard leggero attorno al collo.
Non ha mai mancato – se non in questo ultimo anno, a causa dei postumi di un’ischemia che le aveva inibito l’uso di un braccio e di una gamba – alle celebrazioni del XXV Aprile e alle commemorazioni della Banda Tom. Presente non per conquistarsi un posto sulla passerella della visibilità, ma per testimoniare: «Sono qui a vigilare che quegli ideali per i quali abbiamo rischiato (e alcuni perso) la vita non vengano bistrattati, manipolati e vanificati».
Casalese, figlia di un artigiano del legno di fede socialista, si era innamorata di Secondo – Dino – Core, proveniente da una famiglia di contadini astigiani, più presa dalle fatiche della terra che dalla politica. Ma le chiacchierate con il futuro suocero avevano entusiasmato il giovane. Dopo l’8 settembre, Dino Core aveva deciso di entrare nella Resistenza.
Nel frattempo, il 10 gennaio 1943 Enrica e Dino si erano sposati (insieme in foto): viaggio di nozze a Gardone Riviera, località sul lago di Garda che era stata simbolo vivace della Belle Époque nei primi del Novecento, poi rinomata meta turistica negli anni Venti e Trenta, e che, dopo il settembre 1943, divenne una delle basi cruciali della Repubblica Sociale di Salò. E’ in questo inizio d’autunno che Dino Core entra nelle fila dei partigiani in Val di Susa ed Enrica ne condivide scelte e ideali. Dapprima nelle idee e nelle aspirazioni, poi esponendosi fisicamente. E rischia la pelle.
Un episodio. E’ in viaggio per raggiungere il marito a Condove, quando, lungo il tragitto, incrocia un tedesco. Si salva la vita con una bugia: si siede sull’erba e tira fuori un lavoro a maglia. Sferruzza: una sciarpa, una maglia, un berretto? Un punto dritto, un punto rovescio, uno dritto, uno rovescio: uno sforzo, immane ma invisibile all’esterno, di cadenzare il disordine dei battiti del cuore. «Sono una sfollata» racconta con espressione prostrata. «Mio marito lavora ad Amburgo, non lo vedo da…». La messinscena funziona, ma, d’un tratto, un uomo – chissà chi, uno sconosciuto, un partigiano – sbuca da un fosso. Il soldato tedesco punta l’arma: Enrica Morbello scatta come una molla e lo colpisce al braccio, compromettendo la mira.
«Ho pensato “è finita”». Chiuse gli occhi aspettando il colpo fatale o sostenne, con lo sguardo vivace e fiero, quello del militare? «Fui fortunata» raccontò poi.
Scampò quel pericolo e molti altri.
Mai si concesse il tempo per crogiolarsi nella paura e nell’autocommiserazione, neppure quando, a causa di uno spavento terribile, perse il bimbo che aveva in grembo. A Natale del 1944, Dino, dalla Valsusa, tramite la rete di corrieri segreti della Resistenza, aveva inviato in dono a Enrica il proprio orologio accompagnato da una lettera di incoraggiamento e speranza. Il regalo le fu recapitato, mentre la lettera andò smarrita. Lei, temendo che la consegna dell’oggetto senza altro messaggio fosse il segnale che il marito era morto, in preda allo sconforto perse il figlio, ma, appena riprese le forze, si mise in viaggio alla ricerca di Dino: qualunque cosa gli fosse successa lei doveva sapere. Lo riabbracciò, vivo, e da quel momento condivise con lui a stretto contatto l’attività partigiana, svolgendo ruoli soprattutto di staffetta, oltre che tesoriera.
Pochissimi giorni prima della Liberazione, che la coppia festeggiò poi nella città di Torino, fu testimone di uno degli eccidi rabbiosi operati dai nazisti in fuga: il 20 aprile 1945, sedici partigiani della stessa 114a Brigata Garibaldi di cui facevano parte Enrica e Dino, furono trucidati sulle montagne di Vaccherezza.
Finita la guerra, i due sposi restarono ancora un po’ di tempo in Val di Susa, dove organizzarono un’attività di trasporti utilizzando cavalli e muli che non erano stati riscattati. Poi decisero di tornare a Casale: vendettero gli animali e destinarono il ricavato alla costruzione del monumento dei Caduti a Condove.
Dino Core è morto nel 1982; Enrica Morbello gli è sopravvissuta quasi quarant’anni.
Non ha smesso di credere nella libertà e nella giustizia per cui insieme hanno combattuto. Non ha smesso di dipingere la bellezza del mondo in cui si è sentita fortunata di vivere: nel 2016, nel Castello di Casale, è stata allestita una mostra delle sue opere e di quelle della figlia Fernanda, che ha ereditato dalla madre la vena artistica. Non ha smesso di lottare e di partecipare. Soprattutto, fino all’ultimo, nella sua casa di sempre, in via Buozzi, accarezzando il gatto bianco con la coda bionda, non ha smesso di sorridere.
* Grazie per gli utili «Appunti alessandrini» di Evasio Soraci
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Addio amica mia carissima,
Le circostanze non mi permettono di esserti accanto nell ultimo saluto
Ma noi che abbiamo gioito della tua amicizia
proseguiamo il cammino tenendo accanto il tuo sguardo coraggioso sul mondo, il tuo impegno per la giustizia, la tua voce libera, le tue parole preziose e la tenacia con cui hai continuato sempre a costruire pace e solidarietà a difendere i diritti, senza cedere mai all’odio e al risentimento.
Dai sentieri della lotta partigiana alla presenza costante e generosa nelle scuole, dal tratto deciso dei tuoi dipinti alle pagine in cui ci hai donato la tua storia, hai reso tangibile e viva la tua scelta di campo, guardando avanti con la lucidità e la determinazione di chi non si stanca mai di cercare giustizia e libertà, anche nei momenti più difficili.
Con te sono salita sui luoghi della tua lotta partigiana per ricordare, tra sguardi colmi di riconoscenza e rispetto, i tuoi sacrifici, la tua speranza, il senso profondo della rivolta antifascista e della Costituzione repubblicana. Con te ho condiviso anni di impegno quotidiano tra ideali e realtà, trovando sempre, dall’altro capo del telefono, il tuo richiamo – dolce ma deciso – a continuare a lottare per le cose in cui crediamo. Ciao partigiana Fasulin, ciao Enrica carissima
Ci mancherà il tuo sorriso ma sarai sempre viva nei nostri cuori e nella memoria collettiva della nostra città
Veramente bello e commovente puntuale e preciso come solo tu sai fare . Grazie Silvana per la memoria di una piccola grande donna. Morbello Core .
Ciao Enrica. Grazie Donna Resistente, sempre “Dalla parte giusta”. Ci mancherai.
Una grande donna. Un esempio per tutti. Ciao Enrica
Piccolo il soprannome ma grande la persona a cui apparteneva. Enrica Core è stata ricordata con tanti appropriati e begli aggettivi. Che dire di più? Forse, che nel periodo attuale, spirito di sacrificio, lealtà e soprattutto coerenza agli ideali sono difficili da trovare anche in coloro che dovrebbero rappresentare il popolo italiano e non son solo quello.