RECENSIONE
di SERGIO SALVI
«Armi acciaio e malattie» autore Jared Diamond, traduzione di Luigi Civalleri, edito in Italia da Einaudi, nel 1998, 2006, 2014 e 2021 edizione del 2021, che riprende quella del 2006 arricchita da un capitolo e da una postfazione dell’autore del 2017 pp. 362.
In una frase: un saggio affascinante e alla portata di tutti.
Questo avvincente testo divulgativo valse all’autore, Jared Diamond (attualmente professore di Geografia presso l’Università della California, Los Angeles), il premio Pulitzer nel 1998.
Il lettore è accompagnato alla scoperta delle ragioni che hanno determinato l’andamento «macroscopico» della storia dell’umanità. Due le grandi questioni: perché le popolazioni euroasiatiche conquistarono gli altri continenti e non furono invece i nativi americani, africani, australiani ad espandersi e colonizzare Europa e Asia? Perché esistono paesi ricchi e paesi poveri?
Le risposte più comuni si basano, purtroppo, su presunte differenti attitudini delle diverse popolazioni umane. La teoria razzista insomma, sviluppatasi “scientificamente” in Europa, sostiene l’esistenza di fattori biologici capaci di conferire ai bianchi una superiorità innata. Anche se gli studi di genetica, a partire dal secolo scorso, hanno completamente smontato i postulati razzisti, razzismo è una patologia sociale ben lontana dell’essere debellata.
Con «Armi acciaio e malattie» Diamond dimostra che la teoria razzista è priva di basi scientifiche, e lo fa con un Il linguaggio di immediata comprensione anche per chi non sia appassionato della materia e sia mosso da (semplice?) curiosità. L’autore, saldamente ancorato ai fatti dimostrati dalle ricerche nelle varie discipline (storia, archeologia, genetica, linguistica) si rivolge alla grande platea dei non eruditi con la semplicità e l’efficacia tipiche degli insegnanti che padroneggiano così bene gli argomenti da renderli “docili” alla comprensione dei loro allievi.
La specie umana ebbe origine circa 7 milioni di anni fa, in Africa; qui vi rimase confinata per 5/6 milioni di anni, da qui si diffuse nel globo terrestre.
Per milioni di anni gli uomini hanno vissuto come nomadi, sopravvivendo grazie alle attività di caccia e raccolta di frutti spontanei, fino a quando, in tempi molto recenti (se rapportati all’arco cronologico della storia della specie umana), e cioè circa 11.000 anni fa, si trasformarono in agricoltori e allevatori. Proprio l’agricoltura e l’allevamento di bestiame a consentirono agli abitanti dell’Eurasia di iniziare ad accumulare, nei confronti dei popoli degli altri continenti, quel vantaggio che nel tempo si dilatò a dismisura, come attestano le conquiste coloniali, dal 1500 d.c. in avanti
Agricoltura e allevamento consentirono infatti agli uomini di procurarsi il cibo in quantità ben più abbondante rispetto ai fabbisogni giornalieri o di brevissimo termine, soddisfatti dalle attività dei cacciatori/raccoglitori.
Le prime tracce di attività agricola identificate con certezza risalgono al’8500 a. C. e si trovano in Medio Oriente (l’area è anche identificata come “Mezzaluna Fertile” e va dal Nilo al Golfo Persico, vi è compresa la Mesopotamia, al centro della quale la Bibbia colloca il giardino dell’Eden); al “secondo posto” troviamo la Cina, dove i reperti più antichi sono datati verso il 7500 a.C.
Grande disponibilità alimentare significava automaticamente crescita demografica e abbandono del nomadismo per uno stile di vita stanziale. Un nomade poteva, talvolta, portare con sé più cibo di quanto consumasse in pochi giorni, ma alla lunga le riserve abbondanti non erano utili, perche non c’era modo di conservarle e custodirle. Un sedentario, invece, poteva immagazzinare molte derrate e fare la guardia per non essere derubato, oppure retribuire qualcuno, con parte del cibo, che facesse da guardiano per lui. Il surplus alimentare è infatti essenziale per la nascita e lo sviluppo di quelle figure sociali non dedite in permanenza alla produzione del cibo, figure che la popolazione nomade non può permettersi: guardie, uomini di governo, soldati.
Le società agricole di medie dimensioni cominciarono quindi a darsi strutture amministrative, quelle più grandi diventarono veri e propri stati; è evidente che le strutture politiche complesse sono in grado di concepire e organizzare una guerra di espansione in modo più efficace di quanto possa fare una banda di nomadi. Nelle società di cacciatori-raccoglitori tutti gli adulti abili al lavoro sono infatti impegnati a procacciarsi il cibo, e non hanno tempo da dedicare ad altre attività, se non in via incidentale, quindi senza organizzazione e strategia.
“I popoli che divennero agricoltori per primi si guadagnarono un grande vantaggio sulla strada che porta alle armi, all’acciaio e alle malattie: da allora, la storia è stata una lunga serie di scontri impari tra chi aveva qualcosa e chi no”. (p. 76).
Il motivo per cui le società agricole nacquero, si diffusero, prosperarono e si espansero soprattutto in Eurasia è di natura geografica: delle 56 specie esistenti di cereali “migliori” da coltivare, ben 32 erano concentrate nell’area della Mezzaluna Fertile, 6 nell’Asia Orientale, 4 nell’Africa sub sahariana, 11 nelle Americhe, 2 in Australia. Anche l’analisi della distribuzione geografica del numero di specie di mammiferi terrestri candidati alla domesticazione dimostra la fortuna del continente eurasiatico rispetto alle altre terre.
L’Eurasia, infatti, non è solo la massa continentale più estesa del globo, il suo asse principale di orientamento est-ovest (invece che nord-sud delle Americhe e dell’Africa), con ampie aree a condizioni climatiche simili e ostacoli naturali meno complessi da superare, ha favorito una più rapida diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento.
Si tratta di condizioni (presenza di specie vegetali e animali più adatte ad agricoltura e allevamento e asse di sviluppo dei continenti), che nulla hanno a che vedere con la volontà o le attitudini della specie umana: fortuna, si è trattato di pura fortuna.
L’autore ricorre a episodi storici accaduti in diverse parti del mondo (alcuni molto conosciuti, altri meno noti, ma comunque avvincenti) per mettere il lettore di fronte all’evidenza e costringerlo a una riflessione sul modo di leggere la Storia e di guardare al destino dell’umanità.
Un esempio: “la più grande migrazione di massa della storia recente è stata la colonizzazione del Nuovo Mondo da parte degli europei, accompagnata dalla conquista, dallo sterminio o dalla marginalizzazione dei nativi (i cosiddetti indiani d’America).” (p. 48).
Il 16 novembre 1532, nella città andina di Cajamarca, Francisco Pizarro, in rappresentanza di Carlo V di Spagna, incontrava l’imperatore inca Atahualpa, monarca assoluto del più grande e progredito stato del Nuovo Mondo. “Pizarro era a capo di un gruppo raccogliticcio di 168 soldati, si trovava in terre a lui ignote, ed era tagliato fuori da ogni possibilità di ricevere rinforzi. Per contro, Atahualpa era nel bel mezzo del suo impero, circondato da milioni di sudditi e difeso da un esercito di 80.000 uomini recentemente vittorioso in guerra. Ciò nonostante, pochi minuti dopo averlo incontrato, Pizarro fece prigioniero Atahualpa, lo tenne in ostaggio per otto mesi, durante i quali si fece consegnare il più spropositato riscatto della storia (circa 80 metri cubi d’oro!), e infine, rimangiandosi ogni promessa, lo fece uccidere.” (pp. 48-49).
Perché Pizarro sconfisse Atahualpa? Tre motivi, primo: gli spagnoli avevano una tecnologia bellica più avanzata, spade e armature di acciaio, fucili e cavalli. I nativi non avevano mai visto i cavalli, erano armati di bastoni, mazze e asce di pietra, legno o bronzo, fionde e armature di tessuto.
Secondo: dopo la “scoperta dell’America” di Cristoforo Colombo, gli spagnoli intensificarono le spedizioni verso il Nuovo Mondo, e portarono con sé anche le epidemie di malattie infettive. In quel caso trasmesse da invasori relativamente immuni a popoli privi di difese. “Le malattie portate dagli europei, molto più rapide degli eserciti, si diffusero in America da tribù a tribù, fino a sterminare probabilmente il 95% della popolazione indigena precolombiana”. (p.55)
Terzo motivo: gli spagnoli, e Pizarro, pur essendo analfabeta era spagnolo, grazie alla diffusione dei documenti scritti, erano a conoscenza delle civiltà lontane e delle “imprese” dei loro generali, tanto che l’imboscata ad Atahualpa fu, per ammissione dello stesso Pizarro, “copiata” da quella attuata da Fernando Cortes a ai danni dell’imperatore degli Atzechi, Montezuma nel 1519. Gli Incas di Atahualpa non possedevano né un sistema di scrittura né invece la minima informazione sulla spedizione di Cortes.
Armi acciaio e malattie e scrittura: questi motivi sono le cause prossime della vittoria di Pizarro. La causa remota sta nel grande vantaggio degli Euroasiatici di essere arrivati per primi all’agricoltura e all’allevamento.
Finale: libro che mi ha “preso” dall’inizio alla fine. Molte sono le riflessioni che mi ha suscitato, per esempio sul debito che ho contratto con gli abitanti meno fortunati di questo mondo. Ho trovato molto interessanti anche l’analisi “scientifica” della forza e della coesione sociale della Cina e della cultura identitaria giapponese.
E’ uno sguardo sul mondo com’è e del perché è diventato così, sulle possibili traiettorie di evoluzione e i rischi di involuzione.
Grande libro. Formidabile sintesi.