Signor Schmidheiny, lo faccia. Adesso!
REPORTAGE UDIENZA 17 APRILE 2025
La Corte d’Assise d’Appello di Torino ha riconosciuto Stephan Schmidheiny responsabile di omicidio colposo pluriaggravato, così come, nel primo grado del processo Eternit Bis, si era espressa la Corte d’Assise di Novara che già aveva riqualificato il contestato reato di omicidio da doloso in colposo per i morti di mesotelioma provocato dall’amianto.

La pena inflitta è stata ridimensionata da 12 anni a 9 anni e sei mesi di reclusione per due motivi.
Il primo: le sopravvenute prescrizioni. Tra la sentenza di Novara del 7 giugno 2023 e quella d’appello pronunciata giovedì 17 aprile 2025, alcuni dei casi (19) hanno maturato i tempi di prescrizione. Inoltre, la Corte di Torino ne ha aggiunti altri 8 che, secondo i propri conteggi, risultavano già prescritti prima del giugno 2023.
Il secondo: ulteriori assoluzioni. Spieghiamo. Nel capo di imputazione originario, erano indicate 392 vittime. La Corte di Novara, oltre alle prescrizioni, aveva ritenuto di assolvere Schmidheiny in riferimento a 46 casi di morte. La Corte d’Assise d’Appello, ora, ha aggiunto l’assoluzione per altri 29 casi. Perché? Lo si saprà quando saranno depositate le motivazioni della sentenza; per il momento, si possono fare solo alcune ipotesi: le diagnosi non erano inequivocabili oppure, esaminate le storie di vita, non è stato provato sufficientemente, «al di là di ogni ragionevole dubbio», il nesso causale tra la morte e la diffusione di amianto riconducibile alla specifica condotta di Schmidheiny. Attenzione: che l’amianto abbia causato i mesoteliomi è certezza ineludibile. Ma nel processo va provato che una determinata persona si sia ammalata a causa della diffusione di amianto riferibile alla responsabilità dell’imputato nel decennio tra il 1976 e il 1986, in cui era a capo dell’Eternit.
Entro 90 giorni (quindi entro metà luglio) la Corte si è impegnata a depositare le motivazioni su cui si basa la sua decisione: lì si troveranno le spiegazioni che, al momento, si possono soltanto supporre. I giudici hanno altresì confermato, se pur ridotte, le provvisionali nei confronti di enti, sindacati e associazioni costituite parte civile (alcuni esempi: al Comune di Casale 5 milioni di euro, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri 500 mila euro; all’Afeva 170 mila euro).
Dopo le premesse su prescrizioni e assoluzioni, il cuore della sentenza resta comunque la condanna che significa l’affermazione di responsabilità dell’imprenditore svizzero: Stephan Schmidheiny è stato riconosciuto colpevole di omicidio colposo pluriaggravato. Di quanti casi è colpevole? Poco meno di un centinaio (e precisamente 91) rispetto agli iniziali 392 casi, che si sono ridotti, come già detto, per effetto delle prescrizioni e delle assoluzioni. Ma il principio resta, l’impianto accusatorio ha tenuto (la procuratrice generale Lucia Musti si è complimentata con la pg Sara Panelli e i pm Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare: «Hanno lavorato bene con molta scienza e molta coscienza») e la Corte d’Assise d’Appello, con il dispositivo pronunciato tra le 16,48 e le 16,53 di giovedì, ha fatto capire di avere acquisito, nel corso delle undici udienze, argomentazioni scientifico-giuridiche e convincimenti tali da sentirsi pronta a motivare questa decisione.
Un risultato per nulla scontato, visto che, di recente, la Cassazione ha annullato con rinvio le sentenze d’appello dei filoni Eternit Bis di Cavagnolo (2 volte) e di Bagnoli di Napoli sul punto crucialissimo del cosiddetto nesso causale.
Il nesso causale (cioè il collegamento tra una determinata condotta e, in questo caso, l’evento morte) è il nodo decisivo del processo Eternit Bis. Ma non solo: lo è per tutti i processi in cui si discuta di malattie e decessi dovuti a sostanze nocive e cancerogene diffuse criminosamente. Nel caso – come alla Eternit di Casale – di aziende in cui al comando ci siano state posizioni di garanzia plurime susseguitesi nel tempo, è necessario valutare per ogni periodo le conseguenze delle condotte di proprietari, amministratori e dirigenti diversi.

Il processo Eternit Bis è stato un banco di dibattito su molti temi giuridici e scientifici, con i contributi di eccellenti scienziati, esperti di alto livello in specifiche materie. L’approfondimento e il confronto tra opinioni diverse, rigoroso e in certe occasioni anche durissimo, è stato utile, benché talora tecnicamente difficile da comprendere o quando, lo ammettiamo, certe affermazioni hanno fatto soffrire.
ULTIME REPLICHE DELLA DIFESA
Nell’udienza di giovedì 17 – l’ultima delle undici in cui si è sviluppato il giudizio di appello -, l’avvocato Guido Carlo Alleva (codifensore di Schmidheiny insieme al collega Astolfo Di Amato) ha riaffrontato, se pur solo in sede di replica, molte delle tematiche salienti: le diagnosi, i marcatori, gli usi impropri e la diffusione di scarti di produzione e polverino, il profilo soggettivo e, infine, il nesso causale.

Il nesso causale, last but non least, è stato l’argomento primario. «Il problema della causalità è insormontabile – ha detto -. Non parliamo del problema generale della causalità (cioè che l’amianto causa il mesotelioma, ndr), ma qui si deve giudicare una persona che ha operato in un determinato periodo». Ha richiamato il recente studio biologico condotto su topi in laboratorio e portato all’attenzione dalla pubblica accusa, che, però, a parere del difensore, «non consente di superare il problema di quando inizia, quanto dura e quando finisce il periodo di induzione» (in sostanza: quando si insedia la malattia nell’organismo, senza essere ancora visibile e diagnosticabile). «Noi – ha ripreso l’avvocato Alleva – dobbiamo dimostrare il caso singolo e questo, oggi, non è un problema risolvibile, né per il mesotelioma né per tutta una serie di altri tumori. Purtroppo è così, dobbiamo alzare le braccia. Il senso di compassione e di dolore per le vittime lo abbiamo dentro» ha aggiunto (Alleva è di origine monferrina e, più volte, ha ricordato la memoria di amici morti di mesotelioma). «Ma – ha proseguito – quel dolore non può essere soddisfatto da un giudizio che non rispetti i criteri del diritto. Dobbiamo ragionare sulla base delle conoscenze scientifiche, ma non cadere nel tranello di forzarle, anche quando forniscono suggestioni importanti».

A questo riguardo la pg Sara Panelli ha reagito: «Non stiamo affatto parlando di suggestioni e statistiche, ma di leggi scientifiche riconosciute dalla comunità internazionale che il giurista può prendere e usare, ma non modificare o riadattare con distorsioni». Panelli ha insistito sulla validità dello studio biologico sui topi («le conclusioni sono scientificamente certe»), ma anche degli altri studi presentati a sostegno del nesso causale. «Qui – ha ricordato – è venuto il miglior esperto nel mondo in epidemiologia applicata ai mesoteliomi (il professor Corrado Magnani, ndr) per illustrarci studi fatti non sui numeri, ma frutto di osservazioni sulle vite umane, da cui, attraverso modelli matematici, sono state estratte le leggi. Ma sono partiti dall’uomo. E la corte studiata, in grado di darci la legge di copertura, non è una corte qualsiasi, ma quella dell’Eternit di Casale: sono stati osservati uomini e donne in carne e ossa – non ipotesi, non suggestioni – che hanno lavorato e vissuto a Casale. Qui – ha ribadito segnando con l’indice il fascicolo intitolato Eternit Bis – ci sono le persone di Casale con le loro dolorosissime storie individuali. E a Casale ancora oggi si muore di mesotelioma».
Nel processo Eternit Bis, sono elencate 392 vittime, «non possiamo cancellarle – ha insistito Panelli – sono tutte lì. Ma, intanto, si continua a morire. Ai 392 morti del processo, se ne sono aggiunti intanto altri 441 (dal 2016 in poi, ndr), mentre, secondo la scienza, se ne sarebbero dovuti osservare 0,7 all’anno».
Ma Alleva, pur condividendo il dolore per le vittime, sul punto della causalità scuote il capo: «Siamo nella nebbia. È doloroso dirlo e ancor più ascoltarlo, ma il dubbio è irrisolvibile, dobbiamo prenderne atto».

Ecco: la Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Cristina Domaneschi, affiancata da Elisabetta Gallino e dai giudici popolari, ha invece acquisito il convincimento che da quella nebbia si può provare a uscire (e, con questo obbiettivo, aveva sottoposto gli scienziati a prove serrate) e si è assunta, pronunciando quel dispositivo di sentenza, la responsabilità di spiegare in che modo. È prematuro dire come, lo sapremo quando ci saranno le motivazioni, ma fin da ora il verdetto può essere letto così: i giudici torinesi hanno riconosciuto colpevole e condannato il vertice massimo, cioè il padrone della holding di cui facevano parte diverse società sparse nel mondo, tra cui la Eternit Italia, all’interno della quale era operativo lo stabilimento di Casale. La Corte ha condannato il capo di questo colosso dell’amianto riconoscendolo come gestore di fatto, che dettava la politica aziendale anche nella fabbrica casalese, era consapevole dei rischi e non ha messo in atto le misure necessarie per evitare le morti.
Diagnosi e marcatori. Su questo aspetto, l’avvocato Alleva ha ribadito che «il mesotelioma può essere confuso con altre neoplasie metastatiche che investono la pleura, possono essere scambiate per mesotelioma, ma non lo sono» e ha puntato il dito nei confronti di quelle diagnosi, tra le 392, non giudicate «certe» secondo la scienza attuale, ma «probabili» o «possibili». In particolare, ha sottolineato che «oggi, le linee guida impongono l’uso di marcatori aggiornati (che servono, prima di tutto, per individuare la cura più corretta) e non l’uso di quelli precedenti che lasciano un margine di errore troppo largo».
A questo proposito, un interrogativo sovviene: ma è credibile che una concentrazione così elevata di sbagli e confusioni diagnostiche sia avvenuta proprio tra i pazienti casalesi? E allora dobbiamo pensare che siano stati curati in modo inadeguato per un male sbagliato? Proprio nel luogo dove i medici hanno dovuto, più che altrove, diventare esperti di mesotelioma?
Usi impropri e polverino. L’avvocato Alleva è tornato a insistere su una delle principali argomentazioni della linea difensiva: «La presenza ubiqua di materiali di risulta e di polverino in tutto il territorio di Casale». Per decenni, gli scarti di lavorazione dell’Eternit sono stati impiegati per coibentare sottotetti e per realizzare battuti di strade, piazze, cortili, campetti da gioco. I difensori affermano che questa diffusione è avvenuta prima che Stephan Schmidheiny assumesse la gestione nel 1976, mentre lui ne aveva disposto il divieto. E, quindi, a loro giudizio, le fonti inquinanti degli usi impropri non sono responsabilità dell’imputato. «Non è accettabile chiamare il nostro assistito a rispondere al di fuori del periodo compreso tra il 1976 e il 1986, non gli si può attribuire una responsabilità generica né della situazione precedente né di quella che è perdurata negli anni successivi; lo stabilimento di Casale – ha aggiunto – è sorto nel 1907: la città è inquinata da allora è lo è stata per i decenni successivi dopo la chiusura dello stabilimento».
Sulla prima parte non c’è una virgola da obiettare: quel che è stato fatto prima non è imputabile all’imprenditore svizzero in persona. Sul dopo, be’, la fabbrica è stata abbandonata (bastava vederla, fuori e dentro) nel 1986, subito dopo il fallimento. Quindi, la colpa di una mancata attenzione o addirittura bonifica del sito dismesso sarebbe del curatore fallimentare che non si è immediatamente attivato per disinnescare la bomba a rilascio lento e inesorabile di fibre? Ciò che non è stato fatto prima, per anni, per contenere l’amianto avrebbe dovuto farlo il curatore che si trovava per le mani un passivo da gestire? Si può liquidare la questione in questo modo sgravandosi di ogni colpa? Ma come ci si può dimenticare che il fallimento era stato deciso e programmato dallo stesso Schmidheiny nel 1983 a Zurigo? La fine della società era stata preordinata (per qualsivoglia legittimo motivo), ma, mentre si è approntata con ampio anticipo la campagna di comunicazione costruita su misura per scongiurare clamori e scandali sul fallimento, la fabbrica è stata chiusa punto&stop, mollandola allo scempio del degrado e rifilandone le sorti al curatore. Neppure si è disposto di svuotarla dei sacchi d’amianto disseminati ovunque o di dare una ripulita, diamine!
Profilo soggettivo. Omicidio doloso o colposo? Il difensore Alleva ha correttamente ricordato che nei filoni Eternit Bis di Cavagnolo e Bagnoli il reato inizialmente contestato dalla procura di omicidio doloso è stato riqualificato in colposo; e altrettanto per il filone di Casale, la Corte d’Assise di Novara aveva deciso allo stesso modo. In Appello, l’accusa ha riproposto il doloso (con dolo eventuale), «ma – ha rimarcato l’avvocato – siamo sempre di fronte alla stessa condotta» a Casale, come a Cavagnolo e a Bagnoli. Ed è la condotta, a parere della difesa, di chi, pur conoscendo i rischi causati dall’amianto, ha ritenuto di poterlo usare in sicurezza. «Quella dell’amianto è stata una mostruosa illusione – ha affermato il legale -: si è pensato di poterlo lavorare stabilendo limiti alla diffusione della fibra al di sotto dei quali non sarebbe stato pericoloso. Non è così, certo, ma lo sappiamo adesso, allora no».
Il legale ha richiamato l’attenzione a «un documento interessante non citato dalla accusa: il verbale del 2 settembre 1976 della prima riunione di insediamento del Copae (Comitato per la protezione ambientale e l’ecologia): un’entità, come anche il Sil, istituita internamente all’Eternit e sconosciuta in tutte le altre realtà industriali, sia allora che successivamente. Forse qualcosa del genere l’aveva fatto Adriano Olivetti…».
«Lo scopo del Copae, come scritto a verbale, era di richiamare i dipendenti al massimo rispetto delle norme per la protezione negli ambienti di lavoro». Il documento citato e mostrato include il programma operativo, che prevedeva «investimenti nelle fabbriche, l’organizzazione di un servizio medico efficace, informazioni ai dipendenti e relazioni con le organizzazioni sindacali». Sempre nel verbale, si fa riferimento all’intervento del direttore tecnico ingegner Meier, che aveva proposto di divulgare tra i lavoratori la relazione sul convegno di Neuss, quello in cui, tre mesi prima, Stephan Schmidheiny aveva scioccato i massimi dirigenti sui pericoli dell’amianto dei quali aveva dato conto.
A fronte di questa assunzione di responsabilità, forse, però, qualcosa non ha funzionato: l’informazione sui rischi ai dipendenti si era limitata a un foglietto infilato in una busta paga in cui veniva sottolineato che il fumo fa male; le relazioni con i sindacati, poi, erano regolamentate da risposte preconfezionate da fornire alle loro domande; non risulta che al suggerimento divulgativo dell’ingegner Meier sia stato dato seguito.
IN CAMERA DI CONSIGLIO
Alle 13 di giovedì, esaurite tutte le argomentazioni che il difensore ha ripercorso in maniera diffusa e approfondita, la Corte si è ritirata in camera di consiglio.
«Non usciremo prima delle 16» ha avvertito la presidente Domaneschi. «Quando siamo pronti, avvertiremo con una ventina di minuti d’anticipo».
È iniziata l’attesa, tra chi andava e chi veniva, movimenti sulle panche occupate da attivisti dell’Afeva che non hanno mai fatto mancare la loro presenza, famigliari delle vittime, avvocati, giornalisti. Nessuno con la voglia di fare previsioni. Qualche commento sulle contestate diagnosi di mesotelioma, sulla speranza «che sia almeno confermata la sentenza di primo grado», sui pronostici delle inevitabili, fisiologiche prescrizioni, sull’urgenza di incentivare la ricerca.

Fuori diluvia, a Casale c’è allerta nubifragi, si teme la piena. «Il sindaco (Emanuele Capra, ndr) avrebbe voluto essere presente, ma non può lasciare la città in questo frangente così preoccupante» spiega il presidente del Consiglio comunale, Gianni Filiberti, che indossa al suo posto la fascia tricolore; con lui, la capa di gabinetto Cecilia Strozzi. La municipalità è presente. Ma per chi è in trasferta a Torino, in quelle ore Casale Monferrato è lì, nella maxiaula 6, ad aspettare una risposta che non trasformi un’aula di giustizia in un’aula di mero diritto, spesso percepito in modo astratto rispetto alla verità sostanziale e poco comprensibile per chi, invece, di una risposta concreta di giustizia ha bisogno.
ARRIVA LA SENTENZA
Intorno alle 16, giunge il segnale che passa di bocca in bocca: «Tra venti minuti escono». Via via tutti riprendono posto, gli avvocati rimettono le toghe sulle spalle, suona il campanello, il brusio si spegne. In piedi. Entra la Corte.
La presidente Cristina Domaneschi legge il dispositivo della sentenza «nel nome del Popolo Italiano» che, lì, è rappresentato da una tenace delegazione di quel fiero e ferito Popolo Casalese, ma anche italiano e mondiale, cui l’amianto ha marchiato la vita.
Tra tre mesi si leggeranno le motivazioni, va da sé che la difesa impugnerà e si arriverà in Cassazione. Vedremo come la Suprema Corte valuterà le argomentazioni della Corte d’Assise d’Appello. Parte una nuova fase di paziente attesa.
ALTRE STRADE
Il professor Alleva, nel concludere il suo articolato intervento, aveva affermato che «il processo penale non è lo strumento adeguato per affrontare la questione amianto». Quali altre strade? La pg Sara Panelli aveva introdotto il tema della «giustizia riparativa». L’imprenditore svizzero, guidato dai suoi legali, la prenderà in considerazione?
È forse mai stato nostro desiderio che Schmidheiny finisse in prigione? Il mio, personalmente, no. Anzi, io personalmente desidero che sia libero di operare e darsi da fare per la causa più nobile, indispensabile e improcrastinabile: la ricerca della cura.
Lo faccia ora, anche se avrebbe potuto farlo prima, anche se adesso bisogna correre perché i morti di mesotelioma sono ancora tanti, troppi, a Casale, in Italia, nel mondo.
IL RICHIAMO
Io desidero che lei, signor Stephan Schmidheiny, sia libero per muoversi, finanziare e coordinare la ricerca che produca, finalmente, la terapia salvifica. Lei lo può fare.
Non è che lei, signor Schmidheiny, possa dare un’accelerata, con finanziamenti sufficienti, whatever it takes, fino al raggiungimento dell’obbiettivo, per trovare quella benedetta medicina che guarirà tutti, ma proprio tutti i malati di mesotelioma nel mondo?
Non è che lei, signor Schmidheiny, lo possa fare già da domani, magari anche coinvolgendo altri imprenditori che, come la sua famiglia, hanno utilizzato l’amianto nella loro attività industriale?
Signor Schmidheiny, lo stillicidio continua.
Domani, già domani, ascolti il suo richiamo morale e risponda al suo dovere civico e solidale per ottenere la vera assoluzione dalla sua coscienza e il riconoscimento di un’autentica immagine filantropica. Basta un colpo di telefono per cominciare. Ma faccia in fretta.
Sarà il suo reale riscatto etico. Il suo nome, e quello dei suoi famigliari che l’hanno preceduta (e che a Casale operavano con l’amianto già prima del 1976) e di quelli che da lei discendono, sarà legato a una scoperta mirabile. E tanti, uomini e donne innamorati della vita – centinaia, migliaia ovunque – si salveranno, anche nei Paesi dove l’amianto continua a esercitare il suo malefico effetto decenni dopo la proibizione dell’uso industriale.
Certo, la cura efficace, anche quando si troverà, non riporterà in vita chi abbiamo amato e non c’è più, ma quel giorno voglio immaginare che, anche loro, i nostri morti, in qualunque Altrove ora abitino, potranno finalmente trovare la pace.
Per rispetto e amore verso di loro, oggi mi permetto di strattonarla per richiamarla a un impegno vero, congruo e risolutivo.
Per rispetto e amore verso di loro, e per chi è ancora qui, anche nei momenti in cui sento di avere le ali basse continuo ostinatamente a insistere.
Grazie . Buona Pasqua
Grazie, Silvana per il tuo prezioso lavoro di informazione.
Tornando all’esito del processo, io sono convinto che comunque per la maggior parte dei reati, e segnatamente quelli contro la salute e la vita delle persone, non dovrebbe esserci MAI prescrizione, che inoltre è uno strumento distorsivo a disposizione soltanto dei ricchi e dei potenti.