Che cos’hanno in comune lo scrittore e filosofo veneziano Giacomo Casanova, l’illusionista escapologo ungherese naturalizzato statunitense Harry Houdini e l’artista casalese Laura Rossi? Il desiderio di sfuggire a una costrizione, quale che sia. E l’ingegno per riuscirci.
Casanova scappò dai «Piombi», l’antica prigione di Venezia nel sottotetto di palazzo Ducale, dove era stato rinchiuso nel 1756. Una impresa rocambolesca.
Il Mago Houdini, all’inizio del Novecento, divenne leggenda per le sue fughe impossibili e la sua abilità strabiliante nel liberarsi da manette, corde, catene e gabbie.
Laura – Lalla – Rossi si è improvvisata escapologa quando, nel tempo della prigionia imposta dal covid, ha usato le leve della fantasia e della memoria per liberarsi dalle costrizioni della pandemia.
Ne è scaturito un libro, intitolato «Per non dimenticare», in cui si mescolano, in modo sicuramente inedito per l’artista – autrice, la raffigurazione grafica e la sensibilità poetica: un’alternanza di disegni e di pensieri rivelatori dello stato d’animo inquieto.
Lo spiega all’inizio dello sfoglio da che cosa nasce questo elegante, delicato e godibile prodotto artistico. Scrive: «”Per non dimenticare” vuol dire ricordare alcuni luoghi che ho amato e disegnarli per superare il vuoto e il dolore della pandemia. La matita è diventata un’ancora di salvezza».
Tutto fu silenziato e surreale a partire dal tragico febbraio 2020, il mondo ristretto alle pareti domestiche, improvvisate prigioni. «Chiusi in casa, di colpo azzerate le nostre abitudini e le nostre vite». Solo dolore, solo incertezza, solo paura da fine del mondo. «Non c’erano più le campane, tutto si era fermato».
Ed è lì che Lalla Rossi «si arma» e, anche se «l’umore è un po’ tristanzuolo», individua la via di fuga. Comincia a disegnare, riempie fogli e fogli, solo in bianco e nero, perché altri colori proprio non le vengono fuori. Sale sulle ali della memoria e compie viaggi prodigiosi.
La meta la sceglieva al mattino. «Quando si presentava un nuovo giorno, mi domandavo: “Dove vorrei essere oggi?”». E partiva, o fuggiva dalla realtà claustrofobica.
Gli itinerari puntavano a mete conosciute: «Dapprima, nei luoghi dove ho viaggiato: Colonia, Lubiana, Anversa, Barcelona, Corfù, Zagabria, Palermo Venezia, Valencia, Bari, Mdina e altre città che mi scorrevano davanti agli occhi nelle foto».
Poi, si sono allentate un po’ le maglie. «Un giorno, Luigi (Luigi Angelino, il marito, giornalista, fotografo, nda) mi ha detto: “Si può uscire in un raggio limitato di territorio”. E questo è stato lo spunto per dirottare i miei viaggi nelle chiese», in cui l’occhio ha colto e la matita ha tracciato dettagli attraenti e segni speciali per chi, artista con formazione scientifica di naturalista, è allenata e avvezza a osservare i particolari.
E, transitando nelle chiese, lo sguardo si è levato agli organi, «e ho immaginato che, d’improvviso, suonassero tutt’ insieme e un grande concerto si alzasse verso il cielo liberandoci dal covid».
Tra gli organi raffigurati nel libro «Per non dimenticare», c’è quello di Grana. La prima nota che esplose letteralmente nella Parrocchiale dell’Assunzione di Maria Vergine, in verità, non uscì dalle canne del pregiato strumento, ma dalla gola di Laura Rossi.
Appena entrata in chiesa, notò con sgomento che era in corso lo smontaggio per procedere ad accurato e necessario restauro. «Fermi tutti»: più che di imperio, fu «un grido di dolore che gelò l’atmosfera» rievoca l’artista. E tutti si bloccarono di colpo. «Riuscii a fotografarlo e poi a disegnarlo così com’era in quel momento: con ancora alcune canne e il vuoto di quelle che erano già stata tolte».
L’organo restaurato si liberò dell’afonia cui era stato costretto così come l’umanità si sottrasse all’oppressione cui il covid l’aveva incatenata: «Il suono – scrive Laura Rossi – ora può spargersi dall’alto delle colline».
E’ ciò che avvenne: a maggio 2023, dalle 1300 canne del prestigioso strumento, costruito dall’organaro biellese Giacinto Bruna a partire dal 1836, uscirono le note di «Gabriel’s Oboe», il brano meraviglioso composto, nel 1986 (esattamente 150 anni dopo), da Ennio Morricone per il pluripremiato film «Mission».
All’intonazione di quella musica da Oscar, Laura Rossi cominciò a piangere, e poi a singhiozzare. Finalmente libera.
Libera non tanto dal bianco & nero dei disegni, ma soprattutto dalla macchia rossa, al centro della copertina del libro, che rappresenta il nemico: è l’unico colore che l’artista si è concessa rielaborando il viso, i capelli e la barba di un soggetto, un po’ scostumato, raffigurato sulla facciata di un palazzo medievale di Colonia. Quella macchia aculeata è il covid. Affrontato con la forza dell’arte e della poesia. E sconfitto.
Grazie di cuore mi hai capito perfettamente come solo tu sei capace
Ottima descrizione dell’artista laura Rossi.
Ho il suo libro e condivido il tuo pensiero.
Lalla, come la chiamiamo tra amici ( lo siamo da oltre cinquant ‘anni) è un’artista poliedrica, ora brava anche come “scrittrice”, delicata nell’ esprimere stati d’animo e sentimenti che hanno accomunato tutti noi. Il “lapis” è stato davvero un toccasana per lei e noi oggi possiamo ammirare quanto di bello ne è scaturito : immagini e pensieri parlano da soli