Il 6 marzo 1975 il Parlamento italiano approvò la legge che abbassava la soglia della maggiore età ai 18 anni. Prima, invece, si diventava maggiorenni a 21 anni. E, per varcare la frontiera da uno Stato all’altro, c’erano delle regole feree e degli adempimenti burocratici. Accadde che una coppia di sposi… Ve la racconto, perché «na storia béla fa piasì cüntela». Nel diffuso frastuono rabbioso e ostile, abbiamo un gran bisogno di storie che non fanno arrabbiare, che contengono un senso di giustizia e lasciano aperta la fessura della speranza. Tra cronaca e romanzo, hanno un posto ideale le «StOriE CoSì», racconti verosimili con i connotati della verità autentica e possibile. BUONA LETTURA. IL PROSSIMO APPUNTAMENTO CON UN’ALTRA «STORIA BELA» SLITTA A LUNEDì 14 OTTOBRE, TRA UN MESE. Il motivo? Lo spiego al fondo… Ciau!
[Il disegno degli sposi in Riviera è di Filippo Pietro Rossi, 8 anni, che si è ispirato a una fotografia in bianco e nero e l’ha immaginata a colori].
La macchina era una Alfa Romeo Giulietta berlina di colore grigio azzurro come velo di cenere, quattro porte, il cambio manuale vicino al volante. Nel bagagliaio, due valigie: una per lui e una per lei.
Lui era un giovanotto poco più che trentenne, statura uno e ottanta, spalle larghe, un paio di baffi neri così e i capelli tirati indietro con la brillantina Linetti. Indossava un’elegante vestimènta, doppiopetto gessato, camicia bianca, cravatta chiara.
Lei era una ragazza di vent’anni, con il viso delicato come quello di una bambola di porcellana biscuit, i capelli ricci che sul collo si attorcigliavano come serpentelli inquieti, il paletò chiaro di panno e la borsetta piccola di pelle scura uguale alle scarpe con un pezzetto di tacco, per camminare molto scomoda, ma elegante. “Per comparire, bisogna soffrire”.
Era febbraio, anno 1957, partirono che c’era il ghiaccio e puntarono verso il tepore della Riviera. Meta: Sanremo, la Città dei fiori e del Festival della canzone.
A quel tempo, sembrava un posto lontano, ci volevano ore ad arrivare, ma non avevano fretta. Erano in viaggio di nozze. Avevano le facce beate, e persino un po’ ebeti di chi è spensierato, cioè letteralmente senza pensieri, almeno per quei quattro giorni lontano da tutto. All’anulare sinistro, le fedi bombate e lucide. Nuove, di poche ore.
Cenarono in un piccolo ristorante con le tovaglie candide, l’aria era tiepida, dalla finestra si vedevano le luci specchiate nel mare che si allargavano in tremolanti scie dorate. La luna stava appesa lassù, e sorvegliava, forse su incarico di Cupido.
Lui aveva prenotato una stanza nel sontuoso albergo Miramare. Ci avrebbero trascorso soltanto quattro giorni: avrebbero dovuto essere indimenticabili, nei saloni e nelle stanze in cui aveva passeggiato l’affascinante Evita Peron, dieci anni prima, a luglio del 1947. Così leggiadra, Evita, e sventurata, morta nel 1952.
Era la prima volta che condividevano un letto matrimoniale. La sposa indossò una camicia di lino sottile, con il davantino ricamato di fiori a punto pieno. Per il poco che la tenne addosso fece la sua figura. Le restò nella pelle, invece, la fragranza di violetta che aveva spruzzato sul collo, dietro le orecchie.
Di giorno, percorsero la passeggiata Imperatrice, tra palme e aiuole, «che da noi non vivono, perché soffrono il clima», si avventurarono sulla spiaggia tiepidamente soleggiata e deserta, con i tacchi che si incastravano tra le pietre e nella sabbia, e lei faticava a stare in equilibrio, e lui rideva e la prendeva in giro.
Il Festival sarebbe cominciato il giorno dopo la loro partenza, pazienza. Avrebbero poi ascoltato le canzoni per radio. In realtà, a lei sarebbe piaciuto veder passare le cantanti, come Carla Boni e Flo Sandon’s, con i vestiti gonfi di tulle, scollature generose, e acconciature cotonate create dai coiffeur famosi, e i cantanti come Claudio Villa, Natalino Otto, Gino Latilla. Quell’anno, il presentatore Nunzio Filogamo sarebbe stato affiancato da Nicoletta Orsomando, Fiorella Mari e Marisa Allasio. Non si sapeva ancora, ma l’anno successivo, nel 1958, la «povera ma bella» Marisa Allasio, sua coscritta, sarebbe diventata nobildonna, sposando il conte Pierfrancesco Calvi di Bergolo, figlio di Iolanda Margherita di Savoia, primogenita di Vittorio Emanuele III ed Elena di Montenegro. La dimora coniugale di Marisa e Pierfrancesco divenne il castello di Pomaro, paese del Monferrato poco distante dalla loro città . Poi l’amore dei coniugi del jet set sfumò, lasciarono il maniero e, all’inizio degli anni Ottanta, mobilio e suppellettili furono venduti all’asta, battuta nel cortile della dependance. Fine di un amore e di un’epoca.
«Domani, andiamo in Francia» annunciò d’un tratto il giovanotto in abito gessato.
«In Francia? Ma è lontano, fuori dall’Italia!» replicò la ragazza. Una finta riluttanza, perché, in realtà, voleva, eccome, andarci, in Francia, dove c’erano i caffè e gli hotel eleganti, e le ragazze emancipate, e il Festival di Cannes con le attrici e gli attori famosi. Altro che il ballo a palchetto della festa patronale, la passeggiata domenicale nei giardini pubblici sotto l’allea di ippocastani e la sosta al Caffè Italia, in piazza, per il gelato gusto cassata, nel piattino di ceramica, con i canditi e l’aroma leggero di liquore. Ne avrebbe avuto da raccontare alle amiche, al suo ritorno. La Francia!
Partirono da Sanremo che c’era il sole che li incalzava alle spalle.
«Prima tappa» annunciò lui, «Montecarlo».
«A Montecarlo? Dove c’è Grace Kelly?». Magari chissà, girellando per le strade, l’avrebbe incontrata, con il principe Ranieri, a piedi o su una carrozza. Fantasticava, che i sogni, a vent’anni, non hanno né confini né ostacoli.
Partirono dopo colazione, l’euforia diffusa sottopelle a controbilanciare le poche ore di sonno nella notte precedente.
«Come ti senti?».
«Benissimo».
«Se non stai bene, dillo senza timore, che accosto subito…».
La strada tortuosa era un’insidia per lo stomaco, ma lo sposo aveva una guida sicura e pacata.
“Sì, sto bene” pensava la giovane sposa e immaginava che la principessa Grace, l’anno precedente, doveva essersi sentita esattamente come lei.
La ragazza indossava un abito a fiori sfumati di celeste su fondo chiaro, con un bustino aderente e stretto in vita, e la gonna a ruota che le sfiorava i polpacci. Sopra, il soprabito chiaro delle mezze stagioni, miti come lo erano già a inizio febbraio in Riviera, mentre a casa sua, nella piana del Monferrato, quel capo non si sarebbe potuto certamente indossare prima di Pasqua.
Arrivarono al confine.
Stop, fermata. Tutto previsto.
«Hai il documento d’identità, vero?».
«Certo» fu pronta a rispondere la giovane sposa e lo estrasse da una taschina piccola della borsetta.
Si avviarono verso l’ufficio di frontiera e si presentarono.
Adempimento d’obbligo. Quanto ci vorrà? Dieci minuti, un quarto d’ora al massimo. Presto avrebbero respirato l’aria della Costa Azzurra: Monaco e Montecarlo, Nizza e Cannes. Tutti nomi che avevano soltanto letto sulle riviste, sotto le foto di aristocratici, artisti, star del cinema.
Il funzionario lesse i documenti, prima blandamente, poi più attentamente. Alzò lo sguardo su di lui e su di lei, lo ripiegò sui documenti e corrugò la fronte.
«La signorina è minorenne» disse.
Nel 1957 si diventava maggiorenni a ventun anni. Alla «signorina» mancavano ancora nove mesi.
«Signora» fu lesta a replicare, lievemente risentita.
«Dove sta scritto?» incalzò l’uomo dietro al bancone.
«Ci siamo sposati ieri mattina» spiegò il giovane in gessato scuro. «Siamo in viaggio di nozze… si vede dalla faccia, no? Alloggiamo a Sanremo, ma siamo diretti in Francia e…».
«La signorina o signora è minorenne e lei» disse serio l’impiegato rivolto all’uomo «come può dimostrare che è sua moglie? Occorre il certificato di nozze».
Ma certo, ovviamente, il certificato di nozze!
«Ce l’hai tu?» domandò lui a lei che frugò nella borsetta: ci trovò il rossetto, il portacipria, il fazzolettino ricamato, una boccetta mignon di profumo. Nient’altro. Scosse la testa arrossendo e mormorò: «Pensavo ce l’avessi tu».
Ossanto Cielo!
Sicuramente era rimasto a casa, sulla credenza o sul comò, a qualche centinaio di chilometri di distanza. E adesso? Per colpa di un pezzo di carta… la solita macchinosa burocrazia.
«Ma è evidente che siamo sposati» insistette lui, «guardi, ho ancora indosso il vestito che avevo in chiesa…».
Il funzionario osservò l’abito e abbozzò un sorriso, un collega si avvicinò al bancone e si limitò a mormorare: «E’ un bel vestito, di buon taglio, e sembra nuovo, ma…».
«Ma la giovane donna» completò l’altro, aggirando l’impasse tra signora e signorina, «è minorenne. E non c’è prova che lei sia suo marito. Mi dispiace, non può varcare il confine».
La ragazza con l’abito a fiori ebbe un sussulto. «E’ mio marito», insistette.
L’aveva sposato a messa grande, con la marcia nuziale suonata all’organo a canne, e il vecchio parroco aveva dato la benedizione, e c’erano i testimoni, e gli invitati, e poi il pranzo di nozze, con tutte le portate, fino alla torta di pandispagna con la statuina degli sposi al centro, affondata in uno strato di panna decorato a ghirigori.
«Certo che è mio marito» singhiozzò la sposa minorenne, asciugando, con l’indice piegato, una lacrima sfuggita alla barriera delle ciglia.
I due impiegati scossero la testa. Dispiaciuti, si vedeva, ma la legge è legge: «Se non potete provare che siete sposati…».
L’uomo col gessato provò, disarmato, a esplorare tutte le tasche; sai mai che, senza rifletterci, avesse infilato il certificato di matrimonio insieme ad altri fogli: tastò le tasche dei calzoni, quella interna della giacca, quelle esterne… nessun foglio, nessun documento, nessun certificato, soltanto… sì soltanto…
«I culander!» esclamò lo sposo, i confetti, e ne posò una manciata sul bancone: candidi, lucidi. Avevano scelto quelli di qualità migliore, con la pregiata mandorla Pizzuta di Avola. Ne avevano fatto bomboniere, avvolgendone cinque – tanti quanti sono, secondo la tradizione, gli auspici per gli sposi: salute, ricchezza, felicità, lunga vita e fertilità – in leggeri foglietti di tulle bianco chiusi con il nastrino di raso. Altri li avevano distribuiti sciolti alla fine del pranzo, usando un cucchiaio d’argento.
E, chissà come, una manciata era finita in tasca.
«I culander! I confetti» ripetè lo sposo. E la sposa minorenne lo strinse al braccio abbozzando un sorriso.
«Mhm, i culander» ripetè il funzionario.
«I confetti» fece eco il collega.
«Mandorla Pizzuta d’Avola».
«La migliore».
E presero a masticare coscienziosamente le praline, assaporandole con gusto, sventolando una mano per esprimere apprezzamento e l’altra per indicare la porta.
«Mhm, potete andare. Felicitazioni vivissime!».
L’Alfa Romeo Giulietta superò grintosa il confine. Bienvenue sur la Côte d’Azur.
E ora vi spiego perché le StOriE CoSì torneranno tra un mese. Sto scrivendo un nuovo romanzo. C’è già un’imbastitura di massima, ma adesso arriva il lavoro più impegnativo in cui la storia va riletta – molte e molte volte – attraverso la lente severa e rigorosa della revisione. Un’operazione che richiede alcuni mesi. Pertanto, le StOriE CoSì avranno un rallentamento: spero di riuscire a mantenere l’appuntamento mensile. Il prossimo sarà, appunto, lunedì 14 ottobre. Nel frattempo, sono in programma due incontri con il romanzo «Tuo padre suonava l’armonica», edito da ArabaFenice.
Domenica 6 ottobre, alle 17, nella Sala Surbone di Treville, incontro i lettori raccontando come è nato il romanzo e leggo alcune pagine del libro con il sottofondo musicale di Sergio Salvi. L’ingresso è libero a tutti col piacere di stare insieme.
Domenica 13 ottobre, poi, nella Giornata FAI d’autunno, il romanzo fa tappa nella culla dove ha trovato ispirazione: la grangia di Pobietto, a Morano Po. Alla presentazione con la lettura di alcuni brani del libro, seguirà una passeggiata tra i luoghi dove ho immaginato l’abitazione della maestra Margherita, il nascondiglio sotto la chiesa di don Evasio, la casa di Chilometro, le stalle, il canale attorno alla grangia… e altri. Se vi fa piacere, possiamo incontrarci sabato 6 e domenica 13: io e i miei personaggi vi aspettiamo! A presto.
Grazie Silvana. Storia bella e simpatica a lieto fine . ( sempre luoghi a me cari ho lavorato due anni a Sanremo. A presto . Buona settimana . Paolo