RECENSIONE di
SERGIO SALVI
“Tra terre amare- Undici traversate più due” autore Kasem Mohamed Ibrahim, edito da Edizioni Seb 27, 2023, pp.171 e “Una voce sottile”, autore Marco di Porto, edito da Giuntina, 2020, pp. 180.
In una frase: da leggere entrambi, in tempi ravvicinati, per emozionarsi e capire.
“Tra terre amare” era in casa da Natale; è un libro di piccolo formato, quasi non lo vedevo. Nel frattempo ho avuto “Una voce sottile”, e così è accaduto che li ho letti, in rapida successione e secondo l’ordine di “apparizione” nella libreria di casa.
Sono due opere di diverso genere letterario, ambientate in tempi molto distanti tra loro, e i personaggi principali, in apparenza, non hanno nulla in comune, se non l’esperienza delle onde del Mare Mediterraneo, eppure, alla fine della lettura mi è venuto naturale accomunarli.
“Tra terre amare” è un racconto autobiografico, scritto da quattro persone. La vicenda del protagonista, Kasem, un giovane egiziano che tenta per ben undici volte di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Italia, è proposta al lettore con la voce narrante di Kasem stesso, ma il testo è scaturito da un’intensa collaborazione tra lui e i tre co-autori: Federica Altieri, Maurizio Dematteis, Marcella Rodino.
Nella prefazione, intitolata “Un viaggio collettivo” (pp. 5-10), è ben spiegato il segreto di questo reportage dell’anima: “Entrare nel racconto di Kasem non è stato facile. O meglio, per Kasem farci entrare nel suo racconto migratorio non è stata certamente una passeggiata. Ha aperto il suo cuore, ci ha preso per mano e accompagnato per le vie del piccolo paese di Om Saleh, nel Delta del Nilo, dove una cultura millenaria, un modus vivendi tramandato di padre in figlio poco alla volta è stato eroso da un modello globale dominante e irresistibile, fatto di crescita infinita, realizzazione immediata per tutti e possibilità di redenzione dal peccato originale di essere nati fuori dal perimetro dei paesi che contano. Un modello in cui il denaro, la ricchezza e gli status symbol ostentati dai paesi occidentali per le giovani generazioni diventano irresistibili, l’unica via percorribile verso un riscatto che in famiglia e nel loro paese, ne sono sicuri, non riuscirebbero mai a raggiungere”. Se Kasem ha aperto (eccome!) il suo cuore, i coautori hanno avuto la capacità di entrarci e di restituire al lettore una “traduzione” della mentalità del giovane egiziano, fino ai pensieri intimi, rendendoli accessibili a noi europei. In questo senso “Tra terre amare” è prezioso come il lavoro di un giornalista che si sforzi di rendere comprensibili al grande pubblico argomenti specialistici (penso, ad esempio, al lavoro di Silvana quando ci fa entrare nelle vicende giudiziarie).
La narrazione comincia nel carcere delle Vallette di Torino, dove Kasem è stato rinchiuso per il reato di immigrazione clandestina, commesso più di otto anni prima, durante il suo penultimo tentativo di arrivare in Italia, il decimo. Aveva deciso di rinunciare e rimanere in Egitto, ma poi aveva voluto accompagnare il tuo terzo fratello, il sedicenne Mohamed, che, essendo minorenne, non era stato espulso, al contrario di Kasem. Chiuso nella sua cella si chiede: “Ci sono volute undici traversate, via mare, e ancora un grave incidente sul lavoro per arrivare ad essere regolare in questo strano paese. Nel mezzo tante, tantissime storie, che ora, in queste lunghissime notti dietro le sbarre, rivivo, mi passano davanti a una a una” (p. 23). Negli ultimi otto anni infatti Kasem ha lavorato, sofferto, studiato, si è laureato, ha sposato la donna che ama, la coppia ha due bambini.
La complessa vicenda di Kasem richiama tanti episodi di cronaca, ma la novità è proprio la profondità della narrazione: il libro va incontro al lettore e risponde a molti dei “perché?” su temi troppo spesso liquidati con luoghi comuni, nella vana speranza di risolvere i problemi a colpi di slogan.
“Una voce sottile” è un breve romanzo ispirato alla deportazione verso i campi di sterminio degli ebrei di Rodi (all’epoca dei fatti provincia italiana, insieme alle altre isole del Dodecaneso, con sigla automobilistica RD), avvenuta il 23 luglio 1944. Più di milleottocento persone, tutti ebrei di cittadinanza italiana: ne sopravvissero solo centottantuno, tra questi Solly (Salomone Galante), il personaggio principale di questo romanzo e nonno materno dell’autore, Marco Di Porto.
“Rodi è un’isola greca, la più grande dell’arcipelago del Dodecaneso. Si trova nel mar Egeo, a poca distanza dalla Turchia, la cui costa si scorge in lontananza dalla punta meridionale, dove sorge Rodi città. Il suo nome deriva dal greco rodhòn “rosa”, dovuto alla sua natura rigogliosa, alla sua eterna primavera fiorita.” (p. 11).
In questo vero e proprio angolo di paradiso è la natura stessa ad agevolare la pacifica convivenza tra persone di diverse etnie e comunità religiose: e ciò avvenne infatti per oltre quattrocento anni tra ebrei, mussulmani e cristiani.
In seguito alla vittoriosa guerra del 1911/1912 contro l’impero turco, l’Italia conquistò, oltre alla Libia, anche Rodi e le sue isole minori.
Primavera 1938, si approssima la Pasqua ebraica; Solly ha 19 anni e “sentiva tutta la pienezza e la felicità di essere al mondo, e quando usciva di casa era circondato dalle persone amate e dalla luce di Rodi, e ogni cosa era al suo posto e lui era immerso nell’aria odorosa della macchia mediterranea, e il profumo era intenso specie al mattino, quando si alzava dal letto e si apprestava a iniziare la sua giornata: lavorare, dare un abbraccio a sua madre, prendere in giro bonario suo fratello Aron, partecipare a quelle domeniche sportive dei Fasci Giovanili, a cui la sezione locale del partito teneva così tanto.” (p.28).
Solly percepisce da suo padre David una sommessa ansia per le allarmanti notizie provenienti dalla Germania, ma pensa che “quel vento nero che soffiava in Europa con la loro isola non c’entrava proprio niente” (p. 23), e poi, proprio in quei giorni, si innamora di Rachel, il primo amore, ingenuo e travolgente.
E’ imminente l’emanazione delle vergognose “leggi razziali”, volute da Mussolini e controfirmate da Vittorio Emanuele III (5 settembre 1938); a Rodi tali norme saranno applicate con puntigliosa crudeltà dal governatore del Dodecaneso, il casalese Cesare Maria De Vecchi, in quella carica dal 22 novembre 1936 al 27 novembre 1940.
La vita di Solly e dell’intera comunità ebraica è stravolta, nonostante i tentativi, eroici e commoventi, di non disperdere il patrimonio di umanità e solidarietà consolidato da secoli: qualcuno fuggirà all’estero, altri resisteranno alle avversità, in questo furono supportati dal successore di De Vecchi, l’ammiraglio Inigo Campioni, che aveva mostrato empatia con gli abitanti delle isole e si comportava con equilibrio e pacatezza.
Campioni fu arrestato, a tradimento, dai tedeschi l’11 settembre 1943, che da quel momento furono i padroni incontrastati di Rodi. Per somma ironia, il presidente della comunità ebraica ricevette una visita da un ufficiale tedesco che lo rassicurò: “Abbiamo saputo delle preoccupazioni della vostra comunità in seguito agli ultimi eventi, ma non avete nulla da temere. Voi non siete come gli ebrei polacchi. Continuate con la vostra vita, con le vostre tradizioni. Vi invitiamo anzi a tenere alto il morale …” (p.112).
Le parole dell’ufficiale furono accolte con cauto ottimismo “E poi, tutti pensarono che era vero, loro erano molto diversi dagli ebrei polacchi. Perché, cosa stava accadendo agli ebrei polacchi?” (p. 112).
19 luglio 1944: a guerra ormai decisa i nazisti, con l’indispensabile collaborazione “amministrativa” dei militi della Repubblica Sociale Italiana, organizzano un atroce inganno e imprigionano circa milleottocentocinquanta ebrei.
“L’inganno come metodo. L’inganno come tecnica di guerra. L’inganno in sostituzione delle regole della battaglia e dell’onore dei soldati e degli eserciti. L’inganno, attuato con ferrea disciplina. L’inganno freddamente calcolato seduti a un tavolo, con attente misurazioni di costi e benefici di ogni singola mossa. L’inganno applicato per circuire persone inermi.” (pp. 144/145).
Questa grandiosa invettiva di Marco Di Porto è di drammatica attualità anche oggi, a ottant’anni dai fatti narrati: c’è un limite alla malvagità e al disonore dell’uomo quando è in guerra? No, purtroppo non c’è, perché il nutrimento sine qua non della guerra è proprio la menzogna.
Nell’ora più buia per gli ebrei di Rodi, vi furono alcune commoventi dimostrazioni di solidarietà: la più importante la diede il Muftì Suleyman Kaslioglu, la massima autorità mussulmana nell’isola, nascondendo nella grande moschea i libri sacri – i Rotoli della Legge – della comunità ebraica.
Il console turco, dopo una lunga trattativa, ottenne la liberazione delle persone di cittadinanza turca (poco più di quaranta); grazie a questo intervento, prima dell’inizio del terribile viaggio verso Auschwitz, Solly avrà almeno un respiro di consolazione.
Finale: due libri con due protagonisti giovani, entrambi credenti – un musulmano e un ebreo – , entrambi disposti al sacrificio per raggiungere la felicità e l’amore; e devono anche saper resistere, per sopravvivere a odio e indifferenza, mali sorprendentemente simili, pur in periodi storici tanto diversi.
Kasem Mohamed Ibrahim. Di origini egiziane, vive in Italia, è educatore professionale dal 2020. Ha lavorato in progetti di accoglienza nella tutela minorile; si occupa di progetti di inclusione e accoglienza dei migranti.
Marco Di Porto. Giornalista, si occupa di comunicazione presso l’Ucei (Unione Comunità ebraiche italiane) ed è redattore della rubrica di cultura ebraica di Rai 2 «Sorgente di vita». Ha pubblicato la raccolta di racconti «Kaddish 95 e altre storie» (Pequod 2007) e il romanzo «Nessuna notte è infinita» (Lantana 2012).