RECENSIONE
di SERGIO SALVI
«Il negozio di musica», autrice Rachel Joyce, traduttrice Silvia Castoldi, pubblicato in Italia da Giunti Editore nel 2018, prima edizione settembre 2018 pp. 349
In una frase: romanzo da gustare, una pagina dopo l’altra, ed essere felici.
Rachel Joyce è una scrittrice, drammaturga, sceneggiatrice e attrice inglese; alcuni suoi romanzi hanno riscosso un notevole successo internazionale, per me è stata una scoperta casuale: dopo “Il negozio di musica”, penso di leggere altre sue opere.
La storia è ambientata a Londra, gennaio del 1988, o meglio, dato che la struttura del romanzo è suddivisa in quattro “lati” o “facciate”, come i doppi album di musica (Made in Japan dei Deep Purple, o il White Album dei Beatles, oppure Anche per oggi non si vola di Giorgio Gaber), il lato A inizia per l’appunto nel gennaio 1988. E’ sabato, metà pomeriggio, siamo in una via secondaria, Unity Street, all’interno di uno dei cinque negozietti della strada, quello di Frank, un single quarantenne che vende dischi e abita nel piccolo appartamento sopra la bottega.
I negozi in realtà erano stati sei, ma la fioraia aveva chiuso il mese precedente: “il negozio vuoto risaltava in fondo alla fila come un dente cariato” (p.14).
Resistevano, tra mille difficoltà, oltre a Frank: il panettiere (il signor Novak), il negozio di oggettistica religiosa (padre Anthony), il laboratorio per tatuaggi (Maud) e le pompe funebri (i gemelli, identici, Williams).
Frank sta raccontando a Padre Anthony e a Maud: “Oggi è venuto un altro ladro, prima ha dato di matto perché non avevamo CD. Poi ha chiesto di guardare un disco e, quando l’ha avuto in mano, è partito di corsa”.
“Che disco era questa volta?”
“Genesis, Invisible Touch”
“E tu cos’hai fatto, Frank?”. Frank “aveva afferrato il suo vecchio giubbotto scamosciato, aveva rincorso il giovanotto e l’aveva catturato alla fermata dell’autobus. (Che razza di ladro era uno che si metteva ad aspettare l’11?) Respirando affannosamente gli aveva detto che non avrebbe chiamato la polizia, se il ragazzo fosse tornato indietro ad ascoltare un altro disco in cabina. Se proprio lo voleva così tanto poteva pure tenersi quello dei Genesis, anche se a Frank si spezzava il cuore perché aveva fregato quello sbagliato, dato che i loro primi album erano molto meglio. Poteva tenerselo gratis, copertina compresa. ‘Però devi provare ad ascoltare Le Ebridi. Credimi, se ti piacciono i Genesis, Mendelssohn ti farà impazzire’ “(p. 15).
Frank ha un talento straordinario: nonostante non sappia né leggere uno spartito, né suonare uno strumento musicale, capisce, incontrando e ascoltando una persona, quale musica deve proporgli di ascoltare per farlo stare bene “Classica, rock, jazz, blues heavy metal, punk. Purché si trattasse di vinili, non esistevano tabù e se spiegavi a Frank cosa volevi, o anche solo di che umori eri quel giorno, in pochi minuti ti trovava il brano giusto … sapeva di cosa gli altri avessero bisogno, anche quando loro non lo sapevano” (p.10).
La passione per l’ascolto della musica (non la passione per i dischi in quanto tali, infatti il titolo del romanzo è molto preciso) gli era stata trasmessa dalla madre: “Gli faceva ascoltare Bach o Beethoven, o qualunque cosa le avessero appena consegnato. Gli raccontava storie sui dischi, piccoli aneddoti per aiutarlo nell’ascolto e parlava dei compositori come se fossero suoi amanti” (p.23).
Frank detesta i CD, respinge le vantaggiose offerte dei commerciali delle case discografiche che cercano di fargli cambiare idea, e ciò non per un attaccamento al passato: la ragione è invece profonda: “Sì certo, il vinile può essere una seccatura. Non è comodo. Si graffia. Ma è proprio questo il punto. Riconoscere l’importanza della musica e della bellezza nella nostra vita. E non puoi farlo se non sei disposto a compiere uno sforzo.” (p.65).
Quel gelido sabato pomeriggio avanzava pigramente, mentre Frank si intratteneva con i suoi amici e un cliente, nel negozio poco più grande di un salotto e stipato all’inverosimile di vinili.
Niente album esposti in vetrina; all’interno, due cabine per l’ascolto, non come quelle dei grandi magazzini “dove sembrava di stare in piedi dentro un casco asciugacapelli e le cuffie erano così unte che secondo Maud dopo bisognava farci la doccia. No, quelle cabine Frank le aveva fabbricate con le proprie mani, usando due identici armadi vittoriani di incredibile ampiezza che aveva trovato vicino a un cassone dei rifiuti. Aveva segato il fondo, rimosso i bastoni appendiabiti e le cassettiere e aperto buchini con il trapano per far passare i cavi che li collegavano al giradischi. Aveva trovato due poltrone, abbastanza piccole da stare all’interno, eppure comode. Aveva perfino lucidato il legno fino a farlo brillare come smalto nero, rivelando sulle porte un raffinato intarsio di fiori e uccelli in madreperla. A guardarle bene quelle cabine erano belle.” (p.19).
“E poi la vide. Lo guardava dritto in faccia… Era ferma, fuori dal negozio. Una donna con un cappotto verde. In seguito Frank avrebbe giurato che stesse cercando di dirgli qualcosa. Che perfino allora ci fosse uno scintillio particolare nei suoi occhi, ma probabilmente si trattava di uno di quei dettagli che emergono solo con il senno di poi.” (pp. 26 e 36).
Il colpo di scena che irrompe nella vita di Frank e dei suoi amici di Unity Street: chi è la misteriosa donna con il cappotto verde? “Un attimo prima si trovava lì, col viso pallido premuto contro la vetrina e le mani a coppa ai lati della testa … e un attimo dopo …”. Era svenuta sul marciapiede.
“Frank si ritrovò in ginocchio al suo fianco senza nemmeno accorgersene … ‘Sentile le pulsazioni Frank’ sussurrò padre Anthony. ‘Sentile le pulsazioni’. Frank fece scivolare le dita sotto il collo del cappotto della donna. La pelle era così morbida che gli parve di toccare qualcosa di proibito …” (p.37).
Accorrono persone, qualcuno urla di chiamare un’ambulanza, i suggerimenti di si moltiplicano e si incrociano, insomma la solita confusione.
Lei pare riprendersi: “Una scintilla di vita le attraversò il viso. Lentamente sollevò le palpebre. Incontrare il suo sguardo, per Frank, fu uno shock. Aveva occhi incredibilmente grandi, neri come un disco di vinile (p.38).
Frank resta profondamente affascinato dalla sconosciuta con il cappotto verde, ma è davvero impacciato e non riesce a confessarlo neppure a sé stesso, e qui un ruolo importantissimo è svolto dai suoi amici, compresa Maud, segretamente innamorata di lui, che nel gruppo fa la coscienza critica, ovviamente pro domo sua. Alcune strampalate e divertenti iniziative del commesso di Frank (Kit, un aiutante ingaggiato per le sole giornate di sabato … il caso…) risulteranno decisive, perché da questo primo incontro scaturiscano altri contatti tra l’imbranatissimo “datore di musica” e la donna misteriosa.
La vicenda prende corpo tra interludi divertenti e magnifiche descrizioni di brani musicali e delle personalità di alcuni autori e interpreti. Su tutto aleggia la malinconica preoccupazione dei negozianti di Unity Street: sembra che siano inesorabilmente destinati, uno dopo l’altro, a chiudere i battenti. I clienti sono infatti sempre più rari, attirati dai nuovi e scintillanti centri commerciali, inoltre una società di sviluppo immobiliare, la Fort Development, ha interesse ad acquistare tutti i fabbricati della via, negozi compresi, e le offerte diventano allettanti, in tempi così grami.
“Il negozio di musica” è in tutto e per tutto una favola e, come tutte le favole, è attuale e colpisce la nostra realtà iper consumistica, evidenziandone con disarmante chiarezza i limiti. La musica è uno dei beni più mal consumati; non il solo, d’accordo, eppure c’è così tanto spreco e così poca educazione da rendere quest’arte quasi l’emblema di quella che definisco, tra me e me, “cultura del gusto assente”. L’eccesso e la frenesia infatti non lasciano il tempo per capire, e si continua a consumare con l’obbiettivo di continuare a consumare e non di essere felici.
Attraverso il personaggio di Frank e di sua madre Peg, l’autrice dona al lettore anche una sorprendente e efficace metodologia di approccio all’ascolto della musica; il bello è che lo fa con leggerezza, usando un linguaggio semplice (brava la traduttrice) evitando terminologie specialistiche o sfoggio di competenze.
Finale: in alcuni casi, nei vinili, veniva incisa, oltre ai brani dell’album una breve “traccia nascosta”, magari per incuriosire e aumentare le vendite. Nell’album dei Beatles “Abbey Road” c’è n’è una famosa.
Anche “Il negozio di musica” contiene una traccia nascosta: siamo nel 2017 un cliente è entrato in un negozio di musica: “… spieghi che stai cercando un po’ di musica, ma in realtà non sai esattamente cosa. A dire il vero hai buttato via tutti i tuoi vinili anni fa. Non hai più nemmeno un lettore CD. In genere fai i tuoi acquisti in rete, e se hai voglia di musica la ascolti in streaming sul cellulare. Ma, adesso che lo dici, ti lascia sconvolto la velocità con cui il mondo si è sbarazzato di oggetti come i dischi, o i negozi. Perfino la filiale della tua banca ha chiuso”. (p. 346)
Ecco questa è una parte della “morale” della favola, non proprio “il” lieto fine, piuttosto l’imbocco di una strada che può portare anche il lettore a un lieto fine, con la soddisfazione di aver letto un libro bellissimo.