RECENSIONE
di SERGIO SALVI
«Sono felice, dove ho sbagliato?» autore Diego De Silva, pubblicato nel 2022 da Einaudi, pp. 239
In una frase: taumaturgico capolavoro di ironia.
Diego De Silva è uno scrittore e sceneggiatore nato a Napoli nel 1964, il suo personaggio più celebre è l’avvocato Vincenzo Malinconico che esercita la professione presso il foro di Napoli. Ne è stata tratta una serie televisiva.
Dopo aver seguito in TV gli episodi della «fiction» (l’attore protagonista Massimiliano Gallo, che interpreta l’avvocato Malinconico, è uno dei miei interpreti preferiti), mi sono incuriosito e ho letto questo libro, il quinto romanzo della serie dedicata dall’autore al suo immaginario «avvocato d’insuccesso».
Durante la lettura mi sono entusiasmato; funziona tutto perfettamente, la storia principale, le relazioni personali e famigliari dei personaggi, le schermaglie durante le udienze, e perfino le digressioni.
Il segreto? La capacità di narrare con ironia di gran classe, che spesso è autoironia, perché il protagonista “parla” in prima persona con il lettore e lo coinvolge. Questo “diario” senza date sostiene e incoraggia la lettura, e si va avanti con piacere, con il gusto e l’attesa di arrivare alla pagina successiva.
Una nota a parte la meritano i nomi dei personaggi: per esempio, il posteggiatore abusivo che “lavora” nei pressi dello studio legale si chiama Vulnus (vale a dire, violazione, torto), l’amico avvocato titolare dello studio “a cui mi sono associato per disperazione” si chiama Gennaro (detto Benny) Lacalamita, la segretaria dell’ufficio legale si chiama Addolorata, ma Vincenzo Malinconico se lo dimentica spesso e si rivolge a lei chiamandola “Afflitta”, oppure “Suspiria” che scivola in “Suspy”… e avanti così!
La vicenda centrale del romanzo è di natura giuridico/esistenziale, e comincia a prendere corpo durante una cena tra Malinconico e la fidanzata Veronica che, senza preavvisare Vincenzo, ha convocato al ristorante la sua cara amica, Maria Egizia (Malinconico inventerà pirotecniche variazioni di questo nome). Quest’ultima è prostrata da una relazione sentimentale di sette anni con un uomo sposato e desidera chiedere consigli a un avvocato.
Vincenzo racconta la scena: «Se mentre siete a cena con la vostra donna ne arriva un’altra, cioè una sua amica, che si mette a sedere al vostro tavolo quando vi hanno appena portato le linguine al cartoccio e vi dice che spera non abbiate nulla in contrario se ha scelto un’occasione conviviale per incontrarvi, perché prima di dare mandato a un legale per una questione di particolare delicatezza ha bisogno di capire se l’avvocato in questione, al di là delle sue competenze professionali, sia una persona che a pelle le trasmette affidabilità e sicurezza ma soprattutto se è capace di ascoltare, la prima cosa che fareste sarebbe:
- a) guardare la vostra compagna per chiederle: “Ma questa chi cazzo è?”;
- b) guardare la vostra compagna per chiederle: “Tu ne sapevi niente?”;
- c) non guardarla neanche e lasciar andare un sospiro, avendo già capito che è stata lei a organizzare l’agguato;
- d) chiudere il cartoccio.
Io ho scelto la d). Per pudore. Come mi fossi stretto nell’accappatoio incrociando un estraneo in casa nell’uscire dalla doccia. Per evitare danni aggiuntivi a una violazione già compiuta. Come dire “Se non posso più mangiare, visto che di fatto me lo stai impedendo, almeno ti proibisco di vedere cosa stavo mangiando”» (p. 26 inizio del capitolo «Harakiri»).
Andando avanti nella lettura di questa divertentissima «non cena», si comprende bene anche il senso del titolo, che evoca l’autolesionismo più cruento. «Maria Egizia, si spiega: “Mi segui Vincenzo?” riprende, costringendomi a posare il calice sulla tavola senza nemmeno averlo portato alla bocca. Non ho orizzonti, la mia vita non ha più respiro … vorrei chiudere questa storia e riprendere a vivere. Ci ho provato cento volte, ma basta un messaggino per trascinarmi indietro, capisci Vincenzo? – Non ti sembra di stare un po’ esagerando? – ribatto … non vedo nessun aspetto giuridico nel problema che mi hai raccontato. Nessuna richiesta, soprattutto … se si potesse intentare una causa per infelicità, allora sì che un avvocato ti sarebbe utile» (p.36).
«Ci guardiamo interdetti. A un tratto la rovinapranzi si è illuminata. Sembra ringiovanita di una dozzina d’anni. Cosa avrò mai detto? Sono stato io a restituirle la fiducia in un domani migliore oppure è stata folgorata da un’intuizione che mi sfugge? Non so, non si capisce». (p. 37).
Proprio l’osservazione di Vincenzo Malinconico sarà fonte di equivoci e guai, a cominciare dal fatto che Maria Egizia fonda addirittura una specie di associazione, un gruppo di persone convinte di poter agire in giudizio con una «class action» per chiedere che i propri partner siano condannati a risarcire i danni per «lo stato di infelicità di chi staziona da anni in un rapporto sentimentale senza prospettive».
L’avvocato di fiducia, si capisce, dovrà essere lo stesso Malinconico. Maria Egizia si reca quindi presso lo studio legale per affidargli il mandato e qui si inserisce il titolare dell’ufficio, avvocato Benny Lacalamita, il quale è attratto da Maria Egizia, e per ingraziarsela si dimostra disponibile a studiare il problema, nonostante Malinconico protesti vivacemente: «Andiamo ragazzi non direte sul serio, il mio era un paradosso. Cosa fate, prendete i paradossi alla lettera?».
Benny propone di fissare un’altra riunione per approfondire la faccenda e Vincenzo cerca di approfittarne per sfilarsi e lasciare la spinosa questione in mano al socio … ma non ci riesce.
Così i due avvocati accettano quantomeno di incontrare il gruppo degli amanti infelici al completo «”Due uomini e sei donne, giusto?” chiede Benny». (p. 80). Malinconico non nasconde la sua contrarietà, non crede nella rilevanza giuridica della questione e cerca più volte di sciogliersi dal patrocinio della «class action», questa reticenza gli costerà le vivaci rampogne da parte della fidanzata Veronica: il capitolo “Il potere dei musi” (pp. 124-136) è da antologia, una vera chicca per i manuali della vita di coppia.
Il cammino della paradossale (ma sarà davvero così?) class action si intreccia con altre storie che sarebbe riduttivo definire secondarie: innanzitutto l’evoluzione delle vicende famigliari di Vincenzo Malinconico. Suo figlio Alfredo, diventato regista, presenta il suo primo cortometraggio ufficiale; alla “prima” partecipano il padre, con l’amico/socio Benny, e, ovviamente, la madre Nives, psicologa e, da anni, ex moglie di Vincenzo. Si innesca tra i presenti un divertente dibattito a commento del film, quando, collegata via smartphone, interviene anche Alagia, figlia di Nives e quindi sorella unilaterale di Alfredo, che vive a Friburgo con il marito “aspirante filosofo nonché ricercatore universitario”. Lei ha sempre considerato e amato Vincenzo come il suo vero padre, anche se lo ha sempre chiamato per nome. Il sentimento è sinceramente ricambiato da Malinconico «Sai perché noi due andiamo d’accordo, Alagina? Perché abbiamo gli stessi pregiudizi» (p. 41). Sarà proprio Alagia a suscitare nel protagonista la domanda che dà il titolo all’intero romanzo: «Sono felice, dove ho sbagliato?» (p.235).
C’è anche una vicenda professionale “seria”, anzi, pericolosa che si intercala con i fatti divertenti: Vincenzo Malinconico ha difeso la giovane Valentina, una ragazza violentata da un uomo potente durante un festino. In primo grado lo stupratore era stato condannato, ma ha deciso di giocare il tutto per tutto per ottenere la riforma della sentenza in sede di appello. Malinconico riceve precise minacce, e Benny è molto lucido nell’analizzare la cosa con l’amico/collega: «L’obbiettivo di quel maiale è Valentina. E’ lei che deve zittire, è attraverso di lei che deve mandare un messaggio a tutte le altre che potrebbero seguire il suo esempio. Pensi che Valentina sia l’unica? Se cominciano a denunciare anche le altre, quello finisce sotto una valanga. E lo sa. … Il primo passo è mettere fuori gioco l’avvocato che ha vinto il primo tempo. Farlo uscire dal processo e isolare la ragazza, che a quel punto passerà come una puttanella consenziente che voleva lucrare sulla causa». (p. 95).
Vincenzo non ha nessuna intenzione di rinunciare alla tutela di Valentina, è spaventato, ma ha il coraggio e la dignità di chiedere aiuto.
Finale: il romanzo finisce con una risata. E come poteva chiudersi diversamente? In realtà, con la risata termina il testo narrato da Malinconico in prima persona, il “diario” insomma; però, l’autore, con un atto di ribellione, regala al lettore ancora un capitoletto intitolato “Allora”, stampato in caratteri più piccoli: non è più Vincenzo Malinconico a raccontare l’ultima bella sorpresa.