SILVANA MOSSANO
E’ cominciato ieri, mercoledì 9 giugno a Novara, il processo Eternit Bis. Non c’era l’imputato Stephan Schmidheiny («ovviamente», è scappato detto al presidente della Corte, Gianfranco Pezone, forse perché gli è stato riferito che, in nessuno dei processi che lo hanno riguardato dal 2009 in poi, si era mai presentato); è chiamato a rispondere dell’omicidio volontario di 392 casalesi morti a causa dell’amianto che, dal 1906 al 1986, è stato lavorato nello stabilimento Eternit: 80 anni di produzione di manufatti (tetti tipo «onduline» e tubazioni per condotte, come quelle degli acquedotti) per i quali sono state impiegate le varietà di minerale crisotilo e crocidolite. Schmidheiny è l’ultimo patron in vita di Eternit; ha gestito l’azienda dal 1976 fino alla fine.
Il processo si svolge a Novara per un motivo puramente tecnico. La sede idonea sarebbe stata Vercelli, nel cui circondario giudiziario ricade Casale (da quando il suo tribunale è stato soppresso e accorpato), ma Vercelli non ha la Corte d’Assise, che è il consesso davanti al quale si discute il reato di omicidio doloso (cioè volontario). L’Assise di Novara è dunque la sede, come si dice in gergo, «competente».
Accanto al presidente Gianfranco Pezone, siede un giudice togato applicato da Torino: è Manuela Massino, origine aostana, già magistrato a Casale fino al 2013. Il collegio è completato da sei giudici popolari.
A sostenere l’accusa è un pool di due pm: Gianfranco Colace, applicato dalla procura di Torino (è il magistrato che conosce e lavora all’inchiesta fin dal momento in cui erano partite le indagini del maxiprocesso Eternit Uno) e Maria Giovanna Compare, di Vercelli.
I difensori dell’imputato sono Guido Carlo Alleva e Astolfo Di Amato (ieri assente per motivi personali). Nutrita poi la presenza dei legali di parte civile che tutelano famigliari delle vittime, enti e istituzioni.
Sull’ammissione delle parti civili, la Corte d’Assise si pronuncerà il 5 luglio, dopo aver valutato le osservazioni e le contestazioni sollevate ieri dalla difesa, controbattute dalle parti avversarie. Oltre agli eredi dei deceduti (62 ex lavoratori morti per esposizione professionale e ben 330 cittadini straziati da esposizione ambientale), hanno chiesto di costituirsi l’Afeva, tutelata dall’avvocato Laura D’Amico, la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Regione (avvocato Mattioda), la Provincia (avvocato Vella), i Comuni di Casale (presenti ieri il sindaco Riboldi, il vice Capra e l’assessore all’Ambiente Lombardi) e di Balzola, Ticineto, San Giorgio, Cereseto, Morano Po, Pontestura e Valmacca, tutti rappresentati dall’avvocato Esther Gatti. E, poi, Cgil Cisl e Uil, Inail, Legambiente, Medicina Democratica, più altre associazioni.
Benché l’aula magna del campus universitario novarese che ospita il processo sia molto capiente, il presidente dell’Assise non se l’è sentita di ammettere il «liberi tutti», come è previsto normalmente per un processo pubblico. Le precauzioni sanitarie per covid lo hanno indotto a disporre, almeno per il momento, che le udienze si svolgano «a porte chiuse». Che cosa significa? Che potranno essere presenti magistrati e avvocati, più le persone che sono parti lese e civili, e fino a un massimo di 15 giornalisti.
Quindi, per gli studenti, a settembre quando riprenderà l’anno scolastico, si vedrà il da farsi. Non sembrerebbe essere una clausola definitiva, si ragionerà più avanti. La presenza dei ragazzi in aula, a gruppi di qualche decina alla volta, è importante: una garanzia di attenzione puntuale da cui la collettività casalese, cui sta a cuore questa vicenda, si sente fortemente sostenuta.
E «il particolare interesse sociale» di questo processo è fuori di dubbio: lo ha rimarcato il pubblico ministero Colace, sottolineando, anzi, come la sua «rilevanza vada oltre i confini di Casale».
I primi passi dell’Eternit Bis, dunque, si sono mossi. Quanti ce ne saranno ancora da fare? Molti. E saranno passi pesanti, talora più spediti, talora claudicanti, in un campo piagato di dolore. Un dolore centellinato goccia a goccia, anche laddove si era pietosamente invocata una carezza di oblio salvifico.
Tutte le storie – tanto uguali e tanto diverse l’una dall’altra – torneranno vive, stando alla lunghissima lista testi, che si snoda in 122 pagine, presentata dai legali dell’imputato. E’ presumibile che la Corte non ammetta un elenco interminabile di nomi e disponga una scrematura, ma resteranno comunque molti a essere chiamati a sedersi davanti a un microfono per raccontare, minuto per minuto, lo stillicidio della malattia di un loro caro, dalla diagnosi infausta al momento del distacco finale dagli affetti e dal mondo. E non si potrà neppure cercare di tenere le distanze, perché è una sofferenza crudele che, se la sfiori, ti trascina dentro, ti attraversa e lascia piaga.
Qualcuno già ha detto: «Sarà un percorso lungo e accidentato, ma giusto». Bisogna stare vicini, – di testa, di cuore, di coscienza -, è l’unica.
* * *
- Segue, attraverso una sequenza di domande e risposte, un riassunto della vicenda Eternit, che chiarisce i passaggi che hanno preceduto il nuovo processo Eternit Bis.
Mercoledì 9 giugno è iniziato, in primo grado, a Novara, il processo Eternit Bis.
Chi è imputato?
L’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, ultimo patron di Eternit ancora in vita.
Di che reato è chiamato a rispondere?
Di omicidio doloso (volontario) per la morte, causata dalla diffusione indiscriminata di fibra d’amianto, di 392 persone, tra cui 62 per esposizione professionale (ex lavoratori) e i restanti 330 per esposizione ambientale (cittadini che non hanno avuto a che fare con la fabbrica).
Dove si svolge il processo?
Si celebra davanti alla Corte d’Assise di Novara, presieduta dal presidente della Sezione penale del tribunale Gianfranco Pezone. Come giudice a latere è stato applicato un magistrato di Torino. A loro si aggiungono sei giudici popolari.
Perché in Corte d’Assise a Novara?
Perché si tratta del filone casalese dell’originario procedimento Eternit Bis. Inizialmente, la procura torinese aveva contestato il reato di omicidio doloso (cioè volontario) per centinaia di morti a Cavagnolo, Casale, Rubiera dell’Emilia e Bagnoli di Napoli. Il gup (giudice dell’udienza preliminare) torinese Federica Bompieri, però, aveva riqualificato il reato contestato in omicidio colposo; di conseguenza, per una questione tecnica di «competenza», il maxifascicolo è stato spezzettato in 4 filoni. Tutti i casi riferiti a vittime del Casalese erano stati trasmessi alla procura di Vercelli (nel cui circondario ricade Casale). La procura di Vercelli, dopo aver esaminato la documentazione ricevuta da Torino e approfondito le indagini, ha comunque insistito sulla stessa linea dei pm torinesi e ha chiesto il rinvio a giudizio di Schmidheiny per omicidio doloso. Il gup di Vercelli, Fabrizio Filice, poi, concordando con questa impostazione, ha appunto rinviato a giudizio l’imputato con quella accusa. L’omicidio volontario è un reato di competenza della Corte d’Assise; Vercelli, però, non è sede di Corte d’Assise e deve fare riferimento geograficamente a Novara.
Dove sono finiti gli altri tre tronconi in cui era stato spezzettato il fascicolo originario?
Uno è rimasto a Torino, per due vittime dell’amianto di Cavagnolo; qui il gup Bompieri aveva rinviato a giudizio per omicidio colposo l’imputato Schmidheiny che è già stato condannato (al momento in primo grado) a 4 anni. Un altro filone è andato a Reggio Emilia, per alcuni morti legati alla lavorazione di amianto dello stabilimento di Rubiera; un terzo è finito a Napoli (per 8 morti di Bagnoli) dove l’imprenditore svizzero è sotto giudizio per omicidio doloso (il quarto troncone processuale, più consistente di tutti, è quello delle vittime casalesi che si celebra appunto a Novara).
C’erano già stati altri processi?
Negli anni Ottanta c’erano stati, davanti al pretore, i procedimenti per la cosiddetta «rendita di passaggio» Inail. A inizio anni Novanta, poi, c’era stato un processo a Casale nei confronti di dirigenti Eternit per omicidio colposo (alla fine dell’iter tutto si è prescritto, tranne un caso cui è stato riconosciuto il risarcimento). Un altro processo si era tenuto a Siracusa, dove operava uno degli stabilimenti Eternit italiani. Successivamente, tra il 2009 e il 2014, si è celebrato il maxiprocesso Eternit, a seguito di poderose indagini svolte dalla procura di Torino (il pool di pm era composto da Raffaele Guariniello, Gianfranco Colace e Sara Panelli) che avevano condotto all’incriminazione per disastro doloso di due imputati: oltre all’imprenditore svizzero Schmidheiny, anche il belga Louis de Cartier.
Quali erano state le tappe e che esito aveva avuto il maxiprocesso Eternit?
Il pool dei pm torinesi aveva chiesto il rinvio a giudizio di Schmidheiny e di de Cartier per disastro doloso; il gup Cristina Palmesino aveva iniziato l’udienza preliminare il 6 aprile 2009 e, al termine, il 22 luglio successivo aveva disposto il rinvio a giudizio di entrambi gli imputati per il reato di disastro doloso. Il processo di primo grado era cominciato, poi, il 10 dicembre 2009 con la partecipazione di centinaia di persone arrivate a Torino a bordo di diversi pullman. Il 13 febbraio 2012 il tribunale, presieduto da Giuseppe Casalbore, aveva condannato entrambi gli imputati, ultimi patron di Eternit in vita, a 16 anni di carcere ciascuno. In secondo grado, la Corte d’Appello, presieduta da Alberto Oggé, a giugno 2013 aveva condannato il solo Schmidheiny (de Cartier, molto anziano, nel frattempo è deceduto) a 18 anni di reclusione. La Corte di Cassazione, il 19 novembre 2014, aveva dichiarato prescritto il reato di disastro doloso, facendo decorrere i termini della prescrizione dal momento in cui era stata chiusa la fabbrica di Casale, nel 1986.
Quali erano state le obiezioni a quella interpretazione?
Il fatto che, in realtà, la diffusione indiscriminata di amianto non si era interrotta con la cessazione dell’attività (nel 1986, con il fallimento della Eternit, indotto dalla stessa proprietà), perché la fabbrica era stata di fatto abbandonata con un concentrato notevole di amianto esposto in condizioni critiche e quindi in una concreta situazione di diffusione incontrollata della fibra che si è sparsa al di fuori della fabbrica (le cui porte e finestre, e poi anche i tetti crollati, non erano affatto sigillati). Inoltre, al processo, più sindaci, che si sono succeduti nell’amministrazione della città di Casale, hanno testimoniato che né l’imputato né qualcuno a suo nome si era mai fatto avanti per rendersi disponibile a provvedere o a finanziare la bonifica (ovvero la rimozione dell’amianto abbandonato). Da qui la contestazione di «permanenza» del reato.
Con quali risorse sono state eseguite le bonifiche?
Per quanto riguarda gli edifici pubblici, le bonifiche (inclusa quella immensa dell’ex stabilimento) sono state pagate con i denari della collettività, attraverso stanziamenti statali e regionali, e il Comune di Casale ha svolto (e continua a svolgere) ruolo attivo e di coordinamento. Per quanto riguarda le proprietà private, con i denari dei cittadini che hanno potuto beneficiare parzialmente di contributi.
Esiste ancora lo stabilimento Eternit a Casale?
No, la fabbrica in via Oggero, nel quartiere Ronzone, è stata bonificata e poi abbattuta. Al suo posto è stata allestita una grande area verde, il Parco Eternot, inaugurato nel 2016 dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nel Parco Eternot c’è il Vivaio Eternot, un «monumento vivo»: è un’opera di arte pubblica dell’artista Gea Casolaro, realizzata per il Comune di Casale Monferrato e mantenuta attiva da una rete di volontari. Il vivaio comprende decine di piante di «Davidia involucrata», detta albero dei fazzoletti per la particolare forma dei fiori. Questo è il messaggio che vuole trasmettere: «I fazzoletti intrisi delle nostre lacrime metteranno le ali e voleranno lontano per sviluppare profonde radici di giustizia». Le piante di Davidia che si riproducono costituiscono il dono del Premio Eternot che si svolge ogni anno.
Si usa ancora l’amianto?
In Italia, c’è una legge, varata nel 1992, che vieta l’estrazione, l’uso, la produzione, la commercializzazione di amianto. A Casale Monferrato, prima città in Italia, il divieto era già scattato nel 1987, grazie a un’ordinanza dell’allora sindaco Riccardo Coppo: un atto amministrativo storico che ha anticipato la norma nazionale di cinque anni.
Quali sono le principali patologie causate dall’amianto?
L’asbestosi (contratta, principalmente, dai lavoratori esposti a massiccia esposizione di fibra: consiste in un accumulo progressivo di polvere nei polmoni e provoca problemi respiratori, anche gravi) e il mesotelioma, cancro maligno che colpisce prevalentemente la pleura, ma anche altri organi, tra cui il peritoneo.
Ci si ammala ancora di mesotelioma?
Sì, si registra non meno di una cinquantina di nuovi casi all’anno nel Casalese. Oggi si tratta quasi totalmente di cittadini che, pur non avendo mai lavorato all’Eternit o non avendo avuto famigliari dipendenti, hanno però subito una «esposizione ambientale». Si è sviluppato un attivo fronte di ricerca, a livello mondiale (perché il mesotelioma è, a tutt’ora, un gravissimo problema mondiale, visto che, tra l’altro, l’amianto in molti Paesi di lavora ancora), impegnato a cercare una cura. In Italia, a scavalco tra gli ospedali di Alessandria e Casale opera l’«Unità Funzionale Interaziendale per la cura e ricerca del Mesotelioma», diretta dall’oncologa Federica Grosso, in cui si applicano ai pazienti le terapie tradizionali e anche le maggiori cure sperimentali al momento esistenti.
Qual è la maggior fonte di pericolo?
Il cosiddetto «polverino»; è cosa diversa dalla più generica polvere (in dialetto: la «puvri»). Il «polverino» è specificatamente il residuo di lavorazione dei tubi e delle condotte in cui era impiegato, oltre all’«amianto bianco» (crisotilo), anche il più terribile «amianto blu» (crocidolite). I tubi e le condotte, una volta forgiati, venivano rifiniti alle estremità con un lavoro di rasatura che produceva i cosiddetti «sfridi». Il «polverino», in quanto scarto di produzione, è stato per lo più regalato ai cittadini, che, ignari della pericolosità, ne facevano richiesta, e largamente impiegato per i cosiddetti «usi impropri»: coibentazione di tetti, livellamento di strade, cortili, campi di calcio, aree gioco, piazze. Tutti luoghi ampiamente frequentati anche da ragazzini. Ecco, oggi stanno morendo di amianto molti bambini di allora.
Ottima ricostruzione Silvana, è molto utile e offre un un’importante contributo, specie in questa fase che vorrebbe una buono e costante lavoro, per la ripresa della partecipazione della nostra comunità alla lotta per il compimento degli obbiettivi storici : GIUSTIZIA BONIFICA RICERCA. È cio che è doveroso fare nei confronti di tutte le vittime dell’amianto e per la consapevolezza e tutela della popolazione ,in particolare dei nostri giovani. Giovani che in questi anni, grazie al straordinario lavoro delle nostre scuole, sono forse la forma organizzata più attiva della nostra comunità.
Grazie molte per puntuale aggiornamento cara Silvana. Auguriamoci che dopo questo lungo e faticoso “cammino” Vinca la Giustizia nel ricordo e per i nostri cari defunti.
Si riparte, ETERNIT BIS. GIUSTIZIA SARÀ?
Si riparte, ETERNIT BIS. GIUSTIZIA SARÀ FATTA?