SILVANA MOSSANO
Ogni tanto la domanda riaffiora: ma ha ancora senso studiare il greco e il latino? Che utilità ha cimentarsi ore e ore a conoscere modi espressivi che vengono ritenuti «lingue morte»? Ricordo bene quando mi sentivo canzonare: «Tu sei quella a cui non piace la pastasciutta, ma ti piace il latino?». Già, a me il latino piaceva perché era un’efficace e stimolante «costrizione» a ragionare. Ed essendo io, da sempre, per difetto congenito, povera di memoria, ho amato e apprezzato il latino come prezioso metodo per affinare la deduzione logica da sostituire alle lacune mnemoniche.
Lingue morte? Macché! Una mia severissima quanto autorevole insegnante di latino, Ebe Raiteri Costanzo, ci aveva raccontato che, durante una delle sue vacanze estive in roulottes, era arrivata in Polonia; voleva confessarsi, ma il sacerdote non conosceva l’italiano e lei non sarebbe stata in grado di tirare fuori una sola parola in polacco. Tenace qual era, alla fine ci riuscì. Come? In latino: tanto lei quanto il prete lo parlavano correntemente. Un altro valido insegnante, Luigi Cravino, si indignava quando leggeva, tra i nostri compiti in classe, certune traduzioni dal latino corrette sì secondo le regole, ma del tutto insensate e finanche ridicole; sbottava: «Non è mica un linguaggio per pazzi, questo! Era il parlare concreto della quotidianità». E, a questo proposito, è imprescindibile citare il professor Guido Angelino, autorevole appassionato interprete del latino antico e moderno, che definiva «più vivo che mai»; preside del liceo Classico Balbo di Casale dal 1975 al 1978, ottenne parecchi riconoscimenti ai «Certamina», indetti dal Ministero dell’Istruzione e dalla città del Vaticano. Nel 2007, all’età di 96 anni (morì l’anno successivo), pubblicò la sua ultima opera dal titolo «Iter Novum» in cui fornisce un metodo di insegnamento del latino semplice e di immediata comprensione; d’altronde, il professor Angelino non si limitò a usare questa lingua per tradurre i testi antichi, ma anche per raccontare fatti moderni: dalla cronaca della vittoria dei Mondiali di calcio dell’82 alle storie di Walt Disney alla esaltazione della pizza. E non di meno fu interprete della attualità del latino e greco il professor Gianni Abbate, prima insegnante e poi preside del Classico Balbo, oltre che raffinatissimo e affascinante conferenziere.
Dunque, niente affatto lingue morte. Certo, lingue non più usate correntemente (che occasione persa aver consentito che si affermasse l’inglese come lasciapassare internazionale anziché il latino, madre degli idiomi di moltissime nazioni del mondo!), ma fortemente e irrinunciabilmente radicate. Merita citare l’autorevole studioso Ivano Dionigi, già Magnifico Rettore dell’Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna, membro dell’Accademia delle Scienze di Bologna e del Centro Studi Ciceroniani, nominato nel 2012 da Papa Benedetto XVI presidente della Pontificia Accademia di Latinità: «La lingua latina (e così anche quella greca, ndr) non ci appartiene, ma noi apparteniamo ad essa». Accantonarle o disconoscerle sarebbe come pretendere di affermare la nostra identità senza sapere chi siano stati i nostri genitori, i nostri nonni, le epoche e i contesti in cui sono vissuti e in cui hanno preparato il terreno dove oggi noi poggiamo i piedi e progettiamo le nostre vite.
Un gruppo di liceali del Classico Balbo, per fortuna ben guidati da insegnanti appassionate come Adriana Canepa e Dora Mongilardi, non soltanto le studiano le lingue greca e latina, ma si mettono in gara per dimostrarne la padronanza. Di recente hanno partecipato a una edizione inedita delle Olimpiadi di lingue classiche. E proprio perché è stato obbligatorio – giocoforza causa covid – organizzare le prove a distanza, gli organizzatori hanno individuato modalità nuove per le prove che hanno richiesto ai candidati un approfondimento ragionato, più complesso di una mera traduzione e al tempo stesso molto più entusiasmante.
Pietro Calabrese (iscritto alla sezione di Civiltà Latina), Maddalena Muzio, Letizia Desimone ed Elisa Raccozzi (per la sezione Civiltà Greco Latina) si sono cimentati sul percorso tematico incentrato su Caio Giulio Cesare, confrontando e analizzando le citazioni che di lui hanno fatto autori di epoche diverse, da Lucano, a Plutarco, a Dante, a Shakespeare e altri. E qui torniamo a inciampare nell’interrogativo: Giulio Cesare è figura vetusta, anacronistica e superata? Niente affatto.
I liceali «olimpionici» del Balbo riconoscono a Cesare le doti «della tenacia, dell’ambizione, della solerzia, della magnanimità, della solidarietà, della persuasione, della condiscendenza, della fiducia (reciproca: da lui verso i suoi collaboratori e da loro e dal popolo verso di lui), del coraggio del cambiamento, del carisma e dell’autorevolezza e della dignità cui non è venuto meno neppure nel momento della morte». Non era forse già scritto, e descritto, ben più di duemila anni fa, quali sono, oggi come ieri, le doti vive e attuali – pregi e difetti – degli uomini? Dei leader? Altro che lingue morte! Pura essenza di modernità. E questi ragazzi l’hanno compreso.
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Sono d’accordo con te. Io ho studiato solo il latino, magari, ai tempi, con qualche mugugno ma devo riconoscere che è servito per sviluppare le capacità logiche e poi ancora oggi, di quante parole si comprende meglio il significato rimandando al latino? Dunque lingua viva!