RECENSIONE
di SERGIO SALVI
«I prigionieri dei Savoia La vera storia della congiura di Fenestrelle» – autore Alessandro Barbero, edito da Laterza 2012, prima edizione nella «Economica Laterza», aprile 2014, pp 316, oltre a 42 pp di note, 4 pp di fonti e bibliografia e 3 pp di indice dei nomi e una fondamentale Premessa di 2 pp.
In una frase: libro prezioso e illuminante.
Il recente 160° anniversario dell’Unità d’Italia mi ha dato lo spunto per affrontare questo volume, con la fiducia del lettore affezionato alle opere del professor Barbero e un po’ di inquietudine per il tema trattato.
Sono convinto che l’unificazione dell’Italia sia stata profondamente giusta, vantaggiosa per il popolo italiano e per il mondo, tutto questo senza sottovalutare le difficoltà, gli errori, le tragedie che hanno purtroppo colpito tante, troppe persone, specialmente le popolazioni meridionali.
Ho studiato la Storia su libri che presentavano le vicende risorgimentali, comprendendovi anche la Prima Guerra Mondiale, esclusivamente come fatti eroici, positivi, inattaccabili. Qualche cenno al fenomeno del brigantaggio e della «Questione Meridionale» i testi lo proponevano, ma non ricordo, tra i miei insegnanti, qualcuno che avesse approfondito più di tanto. I manuali scolastici dei miei tempi, inoltre, non riportavano notizia della virulenta opposizione al processo di unificazione scatenata fin dalla metà degli anni ’50 del XIX secolo dagli ambienti filo borbonici e clericali, di cui peraltro esiste dovizia di documenti, anche in articoli di giornale densi di faziosità, pressapochismo, menzogne belle e buone.
Purtroppo, in politica, la propaganda la fa da padrona: i giornali filo governativi di allora esaltavano così tanto la mitologia dell’unificazione italiana portata avanti dal Regno di Sardegna (negando o minimizzando le problematiche, gli insuccessi, le contraddizioni, i passi falsi) da agevolare nuove polemiche, in un circolo vizioso in cui sempre prevaleva il livore nei confronti degli avversari rispetto a qualunque dato di fatto.
Dall’inizio degli anni ’90 del ‘900, si è diffuso un movimento revisionista della storia risorgimentale autodefinitosi neorborbonico e tradizionalista cattolico. La tesi di fondo propugnata dagli esponenti di questa «corrente» è: il Risorgimento non è stato altro che una guerra di conquista da parte dei Savoia che, per raggiungere i loro fini, non hanno esitato a compiere un vero e proprio «genocidio», deportando nell’Italia del Nord, finite le ostilità, i soldati dello sconfitto esercito del Regno delle Due Sicilie. «Furono 40.000 i prigionieri meridionali sterminanti nel Nord», questa è l’affermazione, pronunciata al forte di Fenestrelle il 6 luglio 2008, in occasione dell’inaugurazione di una lapide in memoria della segregazione di «migliaia» di soldati, dei quali «i più morirono di stenti». (Premessa pag. VII).
Se una posizione «filoqualcuno» è connaturata all’azione politica, a mio avviso ciò non dovrebbe avere spazio nel lavoro degli storici; la verità deve essere cercata con rigore, nei documenti e nelle testimonianze disponibili. L’attendibilità delle fonti deve essere continuamente verificata e non può essere condizionata da sentimenti o ideologie. Quando venni a contatto con alcuni scritti dei «revisionisti risorgimentali», mi trovai quindi a disagio. L’impressione che provai fu di un atteggiamento volto soprattutto a sfruttare il malessere, vero e seriamente motivato (soprattutto dagli squilibri economici), di parte della popolazione delle regioni meridionali, per far passare una serie di concetti su una presunta età dell’oro di stampo borbonico e, soprattutto, insistere su sentimenti separatisti, tanto di moda nei decenni a cavallo del XX e XXI secolo.
«I prigionieri dei Savoia» dà al lettore un bell’esempio di come lo storico può aiutare a capire i fatti basandosi su fonti ufficiali e disponibili. E’ frutto di una ricerca imponente, faticosa, certamente meno affascinante di suggestioni ideologiche. Dà al lettore un quadro di insieme della situazione, lo accompagna nei luoghi dove sono accaduti i fatti, grandi e piccoli, racconta le storie delle singole persone coinvolte con una meticolosità che, se all’inizio sembra eccessiva, diventa man mano entusiasmante, perché il quadro finale si compone in modo chiaro e coerente.
L’arco temporale di svolgimento degli eventi narrati va da ottobre 1860 a settembre 1862.
Fenestrelle era una prigione (un altro Alessandro, Dumàs, ne «Il Conte di Montecristo», ci ha messo l’Abate Faria per tre anni di lavori forzati), vi furono internati come prigionieri di guerra i soldati dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie. Quando? Il 9 novembre 1860. Quanti? 1186 (e non «migliaia»). Per quanto tempo? 3 settimane. Quanti vi morirono? 5 E non le centinaia dichiarate dalla lapide commemorativa inaugurata nel 2008 che il professor Barbero stigmatizza così: «… menzognera è la lapide che incredibilmente l’amministrazione del forte ha consentito di esporre». (Premessa pag. VIII). Questa lapide è stata poi rimossa e distrutta; potrebbe essere l’occasione per dedicarne una ai 5 veramente deceduti, segnandovi i nomi: non sono mai troppo pochi per riflettere.
Il 17 marzo 1861 fu proclamato in Regno d’Italia; Cavour e Vittorio Emanuele II avevano deciso di arruolare nel neonato Esercito Italiano buona parte dei soldati (dal 17 marzo 1861 sudditi italiani) dell’ex re Borbone: quanti erano, su un esercito in forza di circa 100.000 persone? Quanti dei chiamati accettarono l’arruolamento? Quanti disertarono? Quanti si diedero alla macchia? Barbero ha cercato e trovato tutti i numeri, i nomi, le storie.
L’arruolamento forzoso fu deciso e gestito in affanno; Barbero non fa sconti a nessuno (Cavour, Vittorio Emanuele II, i ministri e i generali), i documenti parlano chiaro e svelano le titubanze, le polemiche interne e anche i pregiudizi nei confronti dei “napoletani” e pure il feroce risentimento della popolazione siciliana nei confronti dei soldati borbonici.
In questo quadro, critico e complesso, un fatto emblematico è la congiura di Fenestrelle. Essa fu ordita nell’agosto 1861 da un gruppo di sottufficiali ex borbonici arruolati forzatamente, nulla a che vedere con i prigionieri guerra del novembre 1860. A proposito di questo complotto, il giornale clericale di opposizione «L’Armonia» il 27 agosto 1861 arrivò a scrivere, «mandando un brivido sulla schiena dei suoi timorati lettori piemontesi»: «(…) i provvedimenti fatti contro i soldati borbonici non sono sufficienti a tutelare il Piemonte contro le loro trame (…) un bel mattino noi Torinesi che ci crediamo che Napoli è nostro, svegliandoci troveremo che Torino è diventato Napoli!» (p. 253). La ricostruzione di questa «congiura» e della successiva sorte dei «congiurati», insieme alla breve «Premessa», vale l’acquisto del libro. Barbero premia il lettore con l’imperdibile ultimo capitolo «Miseria della storiografia», nel quale illustra, senza livore, la serie di mistificazioni compiute nel nome del revisionismo e mette a nudo il metodo autoreferenziale di ricostruzioni revisioniste sugli argomenti del libro, distorte e prive di fondamento.
Mi ha fatto venire in mente le equazioni sbagliate descritte da Giorgio Gaber in un monologo: «(…) tu fai uno sbaglietto una svista, un più o un meno, chi lo sa (…) è che poi te lo porti dietro e nella riga sotto cominci già a vedere degli strani numeri (…) sempre più brutti più grossi, sgraziati anche. Addirittura enormi, incontenibili, schifosi». La differenza è che gli errori in matematica, almeno quelli descritti da Gaber, e anche i miei, erano involontari, ciò che non cambia, purtroppo, è il risultato.
Finale: Alessandro Barbero mantiene il rigore dello storico, senza perdere le doti umane di ironia, compassione, comprensione degli errori commessi dalle persone; il libro è godibilissimo nelle storie (con sorpresina per noi casalesi) e si rivela, grazie all’ultimo capitolo, molto utile per metterci in guardia dalle tante trappole revisioniste e negazioniste pubblicate «a prescindere».