ALESSANDRIA
Il bollettino medico scritto sul muro. La parete più intima, quella della camera da letto coniugale, per cinque settimane è diventata lavagna su cui Sandra ha annotato, sera dopo sera, gli aggiornamenti clinici che riceveva dall’ospedale di Novara, dove suo marito Franco Telesca era ricoverato per il Covid. Tredici giorni in coma, gli altri ad annaspare per conquistare, con tenacia, la via della guarigione. E’ una delle tante storie del coronavirus, narrata in un libro epistolare dal titolo “Abbracciati nel tunnel”: la raccolta di oltre una trentina di lettere che Sandra ha scritto a Franco mentre era ricoverato. Lettere che lui non avrebbe potuto ricevere, e infatti non sono state spedite, ma lei ha usato questo escamotage per continuare a parlargli come se la loro quotidianità, che dura da ventisette anni, non avesse subito interruzioni.
In città, dove è conosciutissimo per la lunga attività svolta dietro il bancone di un bar, lo davano per spacciato, addirittura “Franco Telesca è morto” era la voce che girava e Sandra si è infuriata. Ha persino interpellato l’avvocato Fabio Bellora, amico di famiglia, che diffidasse chiunque a divulgare dicerie infondate e tragiche.
Anche se, a dirla tutta, adesso che il brutto è passato, c’è stato un momento in cui si è temuto “che non sarei tornato”. Ed è stato allora che anche la nipotina undicenne, molto affezionata al nonno, è stata preparata, con parole adeguate, al peggio. La sua reazione? Spontanea e geniale come sanno fare i ragazzini; ha fatto un disegno: un arcobaleno con la scritta fiduciosa “Stai tranquillo, nonno. Ci sono io accanto a te. Elena”. Il disegno è diventato, ora, la copertina del libro “Abbracciati nel tunnel. Lettere d’amore ai tempi del Covid” che sarà presentato domenica 6 settembre, alle 17 alla sede della Soms, nel quartiere Cristo, corso Acqui 158.
Franco Telesca ha perso i sensi in ospedale ad Alessandria il 5 marzo, dopo tre giorni di ricovero in Pneumologia; prima, un po’ di febbre e progressiva inappetenza, finché il medico di famiglia aveva riscontrato qualcosa “che non andava” nei polmoni. Il coronavirus li aveva aggrediti voracemente. Cominciava in quei giorni il flagello del virus, non c’erano più posti letto disponibili ad Alessandria, è stato necessario il trasferimento all’Ospedale Maggiore di Novara. E lì Franco Telesca è rimasto, curato e salvato, fino al 6 aprile.
“La cosa peggiore? – Sandra non ha dubbi -: non poterlo vedere, non potergli parlare, e pensare, con orrore, che qualunque cosa fosse successa, non avrei neppure potuto dargli un ultimo saluto, abbracciarlo, sussurragli ti amo”.
Proprio quelle parole le ha mormorato Franco tre settimane dopo il loro distacco. “Non dimenticherò mai quel momento”. Era il 24 marzo: “Alle 13 e cinque minuti” riporta con precisione. Ci sono date e istanti che diventano Storia nella tua storia terrena. Uno squillo sul cellulare. Ogni telefonata era una scudisciata al cuore, perché è vero che non smetti di sperare e ti aggrappi a pugni stretti al più piccolo lembo di vita, ma non riesci del tutto a soffocare la paura che il filo possa spezzarsi. Il numero sul display era sconosciuto. Chi parla? “Amore mio sono tornato”. Franco? Franco sei tu? “Amore mio sono tornato”. Tornato dall’inferno, fuggito dalla gabbia mortale del Covid. “Ti amo”.
“E’ stato un giorno meraviglioso” ricorda Franco Telesca. “Ero uscito dal coma da alcuni giorni, ma non era stato possibile nessun contatto con i miei famigliari. Soffrivo per questo”. E’ stato in quel momento che un’infermiera gli ha “somministrato” la più efficace delle medicine, quella che non è indicata in nessun protocollo sanitario, scaturisce dal bagaglio personale dell’umana solidarietà. Ha tirato fuori dalla tasca un cellulare e, sotto dettatura, ha composto il numero di Sandra perché lui potesse soffiare un sussurro: “Amore mio sono tornato. Ti amo”.
“L’ho incontrata di recente quell’infermiera e gliel’ho detto, davanti a mia moglie: ‘Io le voglio bene’ “. Un bene impastato di gratitudine totale ed eterna.
Quando Franco Telesca è stato dimesso, il 6 aprile, era fuori pericolo, ma non poteva dirsi guarito, c’era tutto il capitolo della riabilitazione da affrontare. In un centro di recupero? No, no: a casa. “Mi sono attrezzata con quel che serviva e ho coinvolto un fisioterapista di fiducia” ricorda lei. Volevano entrambi la stessa cosa: tornare a casa. La loro casa.
Non diversa da quando ne era uscito poco più di un mese prima: i mobili, gli oggetti allo stesso posto, l’identico odore. Come se il tempo non fosse passato. Uguale.
Quasi, uguale. Tranne quel muro: la parete della camera da letto piena di parole scritte e numeri. Lo sfoglio del bollettino medico tra il 2 marzo e il 6 aprile, inciso da Sandra sull’intonaco. “Per sentirti più vicino”.
E poi tutte quelle lettere, un giorno dopo l’altro. “Perché non ho mai smesso di parlarti. Sapevo che saresti tornato, ora puoi leggerle”. Un lungo, ininterrotto abbraccio di parole e pensieri che, fuori dal “tunnel del coronavirus”, è diventato ancora più saldo. “Questo libro – dicono Sandra e Franco Telesca – non è il racconto della malattia, ma è la dimostrazione di come l’amore le ha tenuto testa e l’ha sconfitta”.