Signor Schmidheiny, giovedì 21 novembre 2024, è morta di mesotelioma una giovane donna di 48 anni, “figlia” del Monferrato casalese. Signor Schmidheiny, non pensa sia giunto il momento di impegnarsi direttamente per incentivare la ricerca e trovare la cura per guarire tutti, ma proprio tutti i malati di mesotelioma del mondo?
Si è celebrata, mercoledì 20 novembre, nella maxiaula 1 «Giuseppe Casalbore» di Torino, la seconda udienza del processo Eternit Bis, in Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Cristina Domaneschi, affiancata dalla giudice togata Elisabetta Gallino e dai giudici popolari (effettivi e supplenti). La procura generale (pg Sara Panelli affiancata dai pm applicati Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare) ha concluso la propria parte, esponendo i motivi di impugnazione avverso alla sentenza di primo grado pronunciata dalla Corte d’Assise di Novara. Quella Corte ha riqualificato il reato contestato all’imputato Stephan Schmidheiny da omicidio doloso a colposo aggravato; lo ha condannato a 12 anni per alcuni casi di morte; per 199 ha pronunciato la prescrizione; per altri 46 lo ha assolto (incertezze sulle diagnosi e questione di residenza delle vittime).
La sentenza è stata impugnata sia dalla procura sia dalla difesa.
CHE COSA CHIEDE LA PROCURA ALLA CORTE D’ASSISE D’APPELLO?
* Che all’imputato Stephan Schmidheiny sia riconosciuto il dolo (eventuale) e non soltanto la colpa in ordine al reato di omicidio che gli viene contestato per la morte di 392 persone del Casalese a causa dell’amianto
* Che tutti e 392 i casi indicati nel capo di imputazione siano riconosciuti come mesoteliomi e quindi vittime dell’omicidio contestato
I magistrati della procura. Da sinistra: la pg Sara Panelli, i pm Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare
RIEPILOGO: GLI ARGOMENTI DELLA PROCURA
A – IL DOLO
1 – L’imputato è consapevole della situazione «catastrofale» all’interno dello stabilimento (polverosità attestata nelle numerose prescrizioni impartite da Ispettorato del Lavoro, perizia prof. Michele Salvini di Pavia nel 1982…)
2 – L’imputato è consapevole della grave esposizione ambientale anche fuori dallo stabilimento
3 – L’imputato fa scarsi investimenti per mettere la fabbrica in sicurezza. cifre contrastanti e interventi non specifici per la sicurezza.
4 – L’imputato è consapevole che l’amianto provoca il mesotelioma (Ghota mondiale dei produttori di amianto, Studi scientifici, Convegno di Neuss)
5 – L’imputato non informa i lavoratori dei gravi rischi dell’amianto per la salute e non informa la popolazione (in particolare sul polverino)
6 – L’imputato sfrutta il più possibile l’amianto, ma poiché non rende più e, al contempo, la conoscenza sui rischi si diffonde, decide (già nel 1983 a Zurigo) di far fallire l’Eternit (fallimento a giugno 1986)
7 – L’imputato ingaggia un comunicatore professionista (Bellodi) per accompagnare la chiusura evitando uno scandalo internazionale e proteggere sé stesso nei confronti dell’opinione pubblica. La strategia del «fortino». Le «antenne» sul territorio. Il «Manuale Bellodi» sulla falsariga di Auls76
B – DIAGNOSI
1 – Sono tutti mesoteliomi. La certezza delle diagnosi, fatte prima di tutto, per curare le persone ammalate
2 – La validità scientifica dell’epidemiologia: dallo studio del gruppo (coorte) al caso singolo
3 – Le dosi aggiuntive, l’anticipazione della malattia e della morte
C – CONCLUSIONI «Si condanni Schmidheiny per omicidio volontario con dolo eventuale» -Dal 2016 a oggi altre 441 nuove vittime. Anzi, da giovedì sono 442
D – PROSSIMA UDIENZA
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APPROFONDIMENTO PUNTO PER PUNTO
A – IL DOLO
1 – Dice il pm Colace: «L’imputato è consapevole dello stato di polverosità in terno allo stabilimento. La situazione era “catastrofale”: così l’aveva definita nel 1973 Otar Wey, direttore tecnico del Gruppo Eternit, reduce da un sopralluogo a Casale. E le condizioni di insalubrità non mutano negli anni a venire, neppure quando subentra Stephan Schmidheiny». E come lo si sa? «L’Ispettorato del Lavoro manda i propri ispettori a fare dei controlli: ebbene, tra il 1976 (anno in cui l’imputato assunse direttamente la gestione, anche se era già direttore delle vendite dell’impresa di famiglia Eternit Ag Niederurnen, ndr) e il 1983 (l’imputato mantiene il ruolo di vertice fino al 1986, ndr) furono impartite oltre 260 prescrizioni per problematiche di igiene e salubrità: significa contestazioni per oltre 260 reati in materia. Una situazione abnorme, una cosa inaudita: in oltre 25 anni che mi occupo di sicurezza negli ambienti di lavoro, ho mai sentito, in Italia, nulla di simile!». Nel 1976, viene licenziato un operaio che si era lamentato dell’eccessiva polverosità. Nel 1982, il giudice del lavoro di Casale, Giorgio Reposo, nell’ambito dei processi per la cosiddetta «rendita di passaggio», dispone una perizia tecnica, incaricando il professor Michele Salvini di Pavia: il quale rileva, con molta semplicità, livelli di polvere fuori limite e fuori controllo. E dire che l’Eternit aveva convinto l’Inail che lo stabilimento, grazie ad alcuni interventi, era ormai salubre; proprio per questo, aveva ottenuto l’esenzione dal pagamento del sovrappremio per l’asbestosi. Come aveva fatto a convincere l’Inail? Secondo il pm Colace aveva fornito i dati dei controlli dell’aria eseguiti dall’organismo interno Sil: «Numeri non attendibili, perché i rilievi non venivano fatti nelle postazioni e nei punti in cui c’era maggior concentrazione di fibre». Aggiunge il pm: «Tutto quel che c’era da violare del Dpr 303 del 1956 (che imponeva la protezione dei lavoratori dalle polveri in qualsiasi quantità) è stato violato».
2 – La polverosità non era soltanto un fenomeno interno alla fabbrica: la fibra ha pervaso anche l’ambiente esterno della città e dintorni. Il pm Colace ha elencato alcune delle fonti di dispersione dell’amianto: i «ventoloni» che sparavano aria insalubre fuori dallo stabilimento; gli indumenti di lavoro che, in assenza di una lavanderia interna, spargevano polvere fino a casa con eventuali tappe nei negozi; la frantumazione a cielo aperto degli scarti (provenienti da diversi stabilimenti Eternit d’Italia), che si attuava nell’area ex Piemontese, giorno e notte; il motocarro che trasferiva i rottami sfarinati al mulino Hazemag dentro la fabbrica; il trasporto di materie prime e manufatti sui camion attraverso la città (tra lo stabilimento, i magazzini in piazza d’Armi e la stazione Piccola velocità); la discarica Bagna vicino al Po (il 13% del materiale trovato nella discarica Bagna era amianto); gli scarichi di acque di lavorazione direttamente nel fiume; la famosa «spiaggetta» di amianto, tanto bella e liscia, meta di ameni pomeriggi domenicali per famiglie. E, poi, l’ultimo atto: «Lo stabilimento abbandonato in stato di degrado, con vetri rotti e fuoriuscita di amianto ancora accumulato all’interno – evocato Colace -. Situazione che è rimasta, aggravandosi nel tempo, fino agli anni Duemila quando fu attuata l’imponente bonifica a spese pubbliche, cioè con soldi della collettività». Il pm fa anche una riflessione: «Chissà che cosa ha da dire il consulente della difesa, professor D’Anna, sullo stabilimento abbandonato! Se, a suo parere, fu determinante, più della fabbrica in funzione, l’inquinamento provocato dal vecchio polverino nei sottotetti e nei battuti, quanto contò la fabbrica abbandonata in quello stato?».
3 – La difesa ha sottolineato più volte la volontà dell’imputato di cambiare la inquinata situazione ereditata e ha parlato di ingenti investimenti in materia di sicurezza e salubrità. Quanto ha speso negli anni di sua pertinenza? Difficile individuare un dato univoco. «Nei diversi tribunali sono stati forniti dalle difese dati diversi: 33 miliardi di lire, 49 miliardi, 89, 81, 75… c’è una persistente incertezza – stigmatizza il pm -. Quale che sia stata la cifra esatta, i flussi finanziari dalla Svizzera sono serviti principalmente a coprire le spese correnti – afferma -. Schmidheiny sapeva che l’Eternit era in perdita, ma non voleva cedere una fetta del mercato italiano ai concorrenti». Colace richiama la più contenuta cifra di 4 miliardi di lire di investimenti per la sicurezza che è il dato fornito a suo tempo dalla stessa Eternit all’Ispettorato del lavoro.
4 – L’imputato sapeva che di amianto si muore. La pubblica accusa insiste sulla consapevolezza piena. Già nella passata udienza, Colace aveva richiamato ampiamente uno dei momenti cruciali, il convegno di Neuss, in cui Schmidheiny informò i 35 massimi dirigenti sulla gravità, ma li ammonì a comportarsi in maniera tale da non diffondere il panico, per non compromettere la sopravvivenza dell’industria. E Panelli aveva evidenziato il ruolo della famiglia Schmidheiny nel «gotha degli imprenditori mondiali dell’amianto, dove si decideva tutto e si era a conoscenza di tutto, a partire da ogni studio scientifico, anche quelli che si riuscì a vietare di pubblicare». Panelli ha parlato dei «Tour d’Orizon», che erano «riunioni segrete a livello internazionale. Abbiamo recuperato soltanto 4 verbali di quegli incontri, ma sono molto significativi. Emerge chiaramente la volontà di continuare a produrre manufatti con l’uso dell’amianto perché era troppo redditizio e le aziende dovevano avere il tempo di pianificare l’abbandono di questo materiale e traghettare il settore verso prodotti alternativi». Ma non si fa dall’oggi al domani; e nel frattempo? «Schmidheiny decide di esistere a ogni costo – afferma Panelli -. To be, esserci: questa è la volontà e, per farlo, ci si scherma con la propaganda sull’uso controllato dell’amianto, anche se già si sa che nessun uso controllato mette al riparo». Incalza Colace: «L’obbiettivo è il profitto». E aggiunge: «Si parla per un po’ di quella che è stata definita la “Chimera Casale 3”, cioè la costruzione di un nuovo stabilimento con il rispetto di tutte le norme di sicurezza, ma poi non sene fa niente». Disse il sindaco dell’epoca Riccardo Coppo, testimone al Maxiprocesso Eternit 1: «Ci rendemmo conto che con queste promesse venivamo presi in giro!»
5 – L’informazione corretta ai lavoratori è un obbligo del datore di lavoro. «Schmidheiny non lo fa – afferma Colace -. La difesa ha detto che era stata usata cautela nell’affrontare il problema sanitario per non creare allarmismi. Dare informazioni sulla pericolosità dell’amianto era allarmismo?». In realtà, in una occasione fu diramato un bollettino, «redatto dal Sil, in cui era scritto che l’amianto, considerato semplicemente come materiale, non era pericoloso, che il semplice contatto fisico non provoca danni come avviene per altre sostanze e, in grassetto, era evidenziata la “nota dannosità del fumo”. In sostanza, il monito ai lavoratori Eternit era: “Non fumate!”». Effettivamente, il fumo aggrava il rischio dovuto all’esposizione all’amianto, ma sulla pericolosità intrinseca e micidiale dell’amianto si sorvola. Quanto alla popolazione, a fronte del divieto di cedere il polverino ai privati, «nulla si fa per mettere in guardia dai rischi che può provocare esserselo messo in casa, nei sottotetti o nei battuti, pur negli anni precedenti» ricorda il pm. E, nel manuale Auls del 1976, successivo al Convegno di Neuss, si confezionano risposte rassicuranti: «Non ci sono rischi per le famiglie dei lavoratori, né per chi vive intorno allo stabilimento».
6 – A un certo punto ci si rende conto che l’amianto non è più redditizio: «Non è più conveniente dal punto di vista dei profitti e pertanto si chiude, si lascia fallire» riassume la pg Panelli. Già i dati della fine degli anni Settanta evidenziavano una flessione del mercato, anche perché cominciava a diffondersi la conoscenza della pericolosità. C’era poi stata un’impennata di consumo nei primi anni Ottanta, dopo il terremoto dell’Irpinia: servivano i manufatti di amianto per la ricostruzione. Ma fu una fiammata circoscritta. «Si è spremuto il limone fino all’ultimo» aveva commentato Bruno Pesce, portavoce del Comitato Vertenza Amianto di Casale, quando era stato sentito come testimone. «Nell’86 si decide di far fallire l’Eternit italiana» spiega la pg Sara Panelli. Ma la decisione era stata già presa in precedenza: «Nel 1983 a Zurigo». Pesava anche un evento allarmante; negli Stati Uniti, la Johns – Manville aveva subito una batosta: 16500 cause legali con richiesta di risarcimenti per malattie amianto-correlate. «Schmidheiny temeva un rischio analogo». Il 3 giugno 1986 fu presentata istanza di fallimento; il giorno successivo – 4 giugno 1986 – il Tribunale di Genova dichiarò fallita Eternit Spa, nominando curatore il dottor Carlo Castelli.
7 – Il rischio da evitare: «Uno scandalo a livello nazionale e internazionale, sia a livello finanziario sia di immagine» ha spiegato la pg Panelli. E, allora, «si mette in moto la macchina». Fin dal 1984, in vista del progettato fallimento, viene ingaggiato un comunicatore professionista, Guido Bellodi, di Milano, cui viene assegnato un compito: «Tenere un basso profilo. Low profile. E fare in modo di evitare assolutamente il focus sul massimo livello: cioè Schmidheiny» ha riassunto la pg. Attorno a questo obbiettivo, Bellodi attiva una strategia che per un bel po’ dà risultati soddisfacenti, valutati come «un successo», anche se, in vent’anni (dall’84 a metà degli anni Duemila) la campagna di comunicazione «costa diversi milioni di euro». Nella strategia, rientrano, ad esempio, i 9 miliardi e mezzo di lire versati alla curatela del fallimento per tombare qualsiasi ipotesi di azione legale. E vengono pure attivate transazioni con i privati, anche qui con lo stesso scopo. Soprattutto, si organizza una capillare attività di monitoraggio, con le «antenne» (che i casalesi chiameranno «spie») intrufolate nell’attività politica, sindacale, dell’associazione Afeva, delle scuole. Le «antenne» riferiscono puntualmente ogni mossa, di qualunque entità, che in qualche modo riguardi o sfiori l’Eternit. Per un po’ di anni, il metodo Bellodi funziona, ma poi comincia a scricchiolare. Le domande aumentano. Le «antenne» segnalano a Casale un elevato coinvolgimento della comunità locale, si annotano le attività di Afeva e persino nelle scuole, nonché il legame instaurato con l’associazione omologa in Brasile. Muoiono di mesotelioma gli ex lavoratori Eternit, i famigliari, i cittadini. Ci sono segnali di un nuovo processo, le famiglie cercano di riunirsi. Viene messo a punto il «manuale Bellodi», sulla falsariga del manuale «Auls» del 1976: in pratica una sorta di prontuario contenente ogni ipotesi di domanda con le relative risposte. E quali sono le risposte che si devono dare a chi chieda, ad esempio, se Stephan Schmidheiny fosse a conoscenza dei danni provocati dagli stabilimenti Eternit in Italia? Riferisce Sara Panelli: «Bisognava dire che Schmidheiny non era né un direttore né un dirigente degli stabilimenti, di conseguenza non poteva essere responsabile». Una «attività di oscuramento attorno alla figura di Schmidheiny – aggiunge la pg -. Bisognava “ripulire” le sue posizioni: non aveva ruolo in Italia, non aveva gestito niente. Al più, aveva “alcuni interessi” nel Gruppo Eternit». Praticamente, la costruzione di un fortino protettivo attorno al vertice.
B – DIAGNOSI
1 – La procura contesta la decisione della Corte d’Assise di primo grado di aver pronunciato assoluzione dell’imputato per 46 casi. Ad esempio, è stato assolto quando le vittime non erano residenti a Casale. «La residenza è un elemento importante di valutazione – dichiara la pm Mariagiovanna Compare -, ma bisogna tenere conto che Casale è il centro di gravità di tutti i paesi circostanti per lo studio, il lavoro, il tempo libero»: chi vive nei paesi del Monferrato trascorre molto tempo nel capoluogo. «E, inoltre, i consulenti hanno affermato che c’è un rischio significativo di ammalarsi in un raggio fino a dieci chilometri». L’altro tema è la diagnosi: quando, dal punto di vista medico -legale, è stata classificata come probabile, non si è considerata la certezza che fosse un mesotelioma. La pm Mariagiovanna Compare respinge questa impostazione: «Ma come? Una diagnosi fatta con la massima accuratezza è certa in ambito medico dove lo scopo è quello di curare al meglio un paziente, e perde certezza in tribunale?». Incalza caustico il pm Colace: «Erano curati per mesotelioma e non erano mesoteliomi? Domandiamocelo! Siamo in presenza di una grande strage da amianto o di un grande caso di malasanità?».
2 – La pm Compare ha ribadito la validità della epidemiologia, «la scienza che entra nel processo con un elevato grado di credibilità logica». In antitesi alla posizione della difesa, la pm ha riaffermato (in linea con la posizione autorevole dell’Associazione Italiana di Epidemiologia) che i risultati rilevati per una coorte possono essere applicati sui singoli purché il singolo abbia le stesse caratteristiche del gruppo.
3 – Ne discende, quindi, che «la maggiore esposizione all’amianto aumenta il rischio di ammalarsi, anticipa la manifestazione della malattia e la morte. Inoltre, inficia il cosiddetto fenomeno della “clearance”». In che cosa consiste? «Il nostro organismo a un certo punto tende a liberarsi delle fibre depositate nei polmoni; ma – ha spiegato Compare – se si continua a essere esposti, si annulla questa funzione di “clearance” che attua l’organismo per liberarsi delle fibre». Da qui il rilievo delle cosiddette «dosi aggiuntive».
C – CONCLUSIONI
«L’imputato ha scelto di continuare a usare l’amianto pur sapendo che l’amianto uccide – ha concluso il pm Colace -. Ha mostrato una certa attenzione al problema sanitario, ma non come tutela per la salute delle persone, bensì perché il problema sanitario poteva ostacolare la produzione». Si domanda il pubblico ministero: «Schmidheiny è un mostro?». La risposta è: «No. E’ una persona normale che si è confrontato con il problema della malattia e ha scelto di andare avanti con la produzione nonostante ne conoscesse la pericolosità e avesse deciso di dismettere più avanti l’uso di amianto. Se ha aspettato, è stato per motivi economici».
La procura, pertanto, rinnova la richiesta di condanna che, esplicitamente, nel processo di primo grado era stata l’ergastolo.
L’ultima riflessione, terribile e tragica: «Le vittime indicate nel capo di imputazione si fermano al 2016 – ricorda Colace -. Da allora, però, si sono ammalate altre 441 persone e altri casi si aggiungeranno, forse già domani…».
Una previsione purtroppo fin troppo facile. E, sì, all’indomani dell’udienza, giovedì 21 novembre 2024, è morta una giovane donna di 48 anni, Elena Gaia. Era di Sala, paesino del Monferrato casalese. Era laureata in Giurisprudenza. Era una persona estroversa, raggiante. Fino alla diagnosi di mesotelioma, meno di un anno fa. Elena è un nome di origine greca che significa «splendente, solare». E il cognome Gaia è evocativo di gioia. Ecco: la fiaccola splendente di gioia si è spenta. Ieri, sabato, è stata sepolta nel camposanto del paese.
D – PROSSIMA UDIENZA
La terza udienza del processo di secondo grado Eternit Bis in Corte d’Assise d’Appello si svolge mercoledì 27 novembre. Intervengono i legali delle parti civili e poi la parola passa ai difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva.
Le successive udienze: 4, 11 e 18 dicembre.
Translation by Victoria Franzinetti
Mr. Schmidheiny, on Thursday 21 November 2024, a 48-year-old young woman, a ‘daughter’ of the Casale Monferrato’s, died of mesothelioma. Mr. Schmidheiny, don’t you think the time has come to make a commitment and develop research to find a treatment for really all, and I mean all, mesothelioma sufferers in the world?
On Wednesday, November the 20th, 2024, the second hearing of the Eternit Bis Appeal of Assizes trial took place in the ‘Giuseppe Casalbore’ in Turin, in the Court of Appeal, main judge Dr Cristina Domaneschi, with judge Elisabetta Gallino and the jury and alternates (giudici popolari). The public prosecution (Dr Sara Panelli with Drs Gianfranco Colace and Mariagiovanna Compare redefined the grounds for appeal against the trial verdict that had reduced the charge against the defendant Stephan Schmidheiny from murder (omicidio doloso)to manslaughter with aggravated circumstances (omicidio colposo aggravato) . The Novara Court of Assizes had sentenced him to 12 years for some of the deaths, while for 199 the statute of limitations was applied; the defendant was acquitted for 46 others (uncertainties over diagnoses and issues related to the victims’ domicile).
The sentence was appealed by both the prosecution and the defence.
WHAT IS THE PROSECUTION ASKING THE COURT OF ASSIZES OF APPEAL?
* That the defendant Stephan Schmidheiny be found guilty of wilful or gross negligence and not merely guilt for the asbestos related deaths of 392 people in the Casale area.
* That all 392 cases referred to in the charges be recognised as mesotheliomas and therefore as victims [even those tested with older methods in the past]
* Life sentence for Stephan Schmidheiny.
The prosecutors
SUMMARY: THE PROSECUTION’S ARGUMENTS
A – WILFUL MISCONDUCT
1 – The defendant was aware of the ‘catastrophic’ situation inside the plant (dust described in the many reports by the Labour Inspectorate, expert report by Prof. Michele Salvini of Pavia in 1982…)
2 – The defendant was also aware of the serious environmental exposure outside the plant
3 – The defendant made little investments in safety. Has given conflicting figures and described generic safety interventions.
4 – The defendant was aware that asbestos causes mesothelioma (World Leaders of Asbestos Producers, Scientific Studies, Neuss Conference)
5 – The defendant did not inform workers about the serious health risks of asbestos, nor did he inform the local community (particularly about dust related risks)
6 – The defendant used asbestos as much and as far as possible, and when it was no longer profitable and knowledge of the risks spread, as early as 1983 in Zurich he decided to bankrupt Eternit in Italy (bankruptcy in June 1986)
7 – The defendant hired a PR Firm (Bellodi) to try and avoid an international scandal and to protect himself against public opinion. The ‘fortress’ strategy. The local informants in the community. The ‘Bellodi Manual’ along the lines of Auls76
B – DIAGNOSIS
1 – They are all mesotheliomas. The certainty of diagnosis, made to treat suffers
2 – The scientific soundness of epidemiology: from the group (cohort) study to the individual case
3 – The additional doses: anticipation of disease onset and death
C – CONCLUSIONS
D – NEXT HEARING
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IN-DEPTH ANALYSIS POINT BY POINT
A – WILFUL MISCONDUCT
1 – Prosecutor Dr Colace said: ‘The defendant was aware of the dusty state of the plant. The situation was ‘catastrophic’: that’s how Otar Wey, technical director of the Eternit Group, had defined it in 1973 after an inspection at the Casale Plant. The unsanitary conditions did not change in the years to come, not even when Stephan Schmidheiny took over’. And how do you know this? ‘The Labour Inspectorate sent its inspectors out to carry out checks: well, between 1976 (the year in which the defendant took over the management directly, even though he was already the sales manager of the Eternit Ag Niederurnen family company, ed.) and 1983 (the defendant held the top position until 1986, ed.) more than 260 reports and instructions were issued for hygiene and health problems: this means charges for more than 260 offences in this field. An abnormal situation, something unheard of: in more than 25 years that I have been dealing with safety in the workplace, I have never heard of anything like this in Italy! In 1976, a worker who had complained of excessive dust was dismissed. In 1982, Giorgio Reposo, the magistrate of Casale’s industrial court ordered a technical expert’s report, and Professor Michele Salvini of the university of Pavia, who found that dust levels were above the limit and out of control. And to say that Eternit had convinced INAIL (The National Workers’ Health and safety Agency) that, following remedial actions, the plant was now safe; precisely because of this, Eternit had been exempted from the additional payment to the Agency for asbestosis. How had he managed to convince INAIL? Dr Colace provided the data of the air checks carried out by SIL, the inhouse department: ‘Unreliable numbers, because the surveys were not carried out at the locations and points where there was the highest concentration of fibres’. The prosecutor added: ‘Everything that there was to violate of Presidential Decree 303 of 1956 (which imposed the protection of workers from dust in any quantity) was violated.
2 – The dust was not only inside the factory: fibres also pervaded the external environment of the town and its surroundings. Prosecutor Colace listed some of the sources of asbestos dispersion: the ‘fans’ that pushed the unhealthy air out of the plant; the work clothes that spread dust all the way home with possible stops in shops in the absence of an inhouse laundry; the open-air crushing of scrap (from various Eternit plants in Italy), which took place in the former Piemontese area, day and night; the lorries that took the crushed scrap to the Hazemag mill inside the plant and the transport of raw and manufactured materials and goods by lorry across the town (from the plant, the warehouses in Piazza d’Armi and the Piccola velocità station); the Bagna dump near the River Po (13% of the material found in the Bagna dump was asbestos); the discharge of processing water directly into the river; the famous asbestos ‘beach’, so beautiful and smooth, the destination of pleasant Sunday afternoons for families. And, then, the last act: ‘The abandoned plant in a state of decay, with broken glass and asbestos still accumulated inside,’ Colace evoked. ‘ The situation got worse over time, until the 2000s when impressive reclamation was carried out at public expense, i.e. with money from the community. The prosecutor also reflected: ‘Who knows what the defence consultant, Professor D’Anna, has to say about the abandoned plant! If, in his opinion, the pollution caused by the old dust in the attics and wainscoting was more decisive than the factory in operation, how much did the abandoned factory in that state count?’.
3 – The defence emphasised repeatedly the defendant’s willingness to change the polluted situation he inherited and spoke of huge investments in safety and health. How much did he spend in the years he was in charge? It is difficult to identify a definite figure. ‘In the different courts different figures have been provided by the defences: 33 billion lire [roughly 15 million euros], 49 billion [roughly 24 million euros], 89, 81, 75… always uncertain– stigmatised the prosecutor -. Whatever the exact figure was, the financial flows from Switzerland served mainly to cover current expenses,’ he added. ’ Schmidheiny knew that Eternit was making a loss, but he did not want to cede a slice of the Italian market to competitors. Dr Colace recalls the more limited figure of 4 billion lire [roughly 2 million euros] in investments for safety, which is the figure provided at the time by Eternit itself to the Labour Inspectorate.
4 – The defendant knew that people died of asbestos. The public prosecution insists on full knowledge. In the previous hearing, Dr Colace had extensively recalled one of the crucial moments, the Neuss Conference, where Schmidheiny informed the 35 top executives of the seriousness, but warned them to behave in such a way as not to spread panic, so as not to jeopardise the survival of the industry. PP Dr Panelli highlighted the Schmidheiny family’s role in the ‘elite of the world’s asbestos entrepreneurs, where everything was decided and everything was known, starting with every scientific study, even those that were forbidden to be published’. Dr Panelli spoke of the ‘Tours d’Horizon, which were ‘secret meetings at international level. We have only recovered four minutes of those meetings, but they are very significant. They show they wanted to continue producing manufactured products using asbestos because it was too profitable, and companies needed time to plan the discontinuation and move the industry towards alternative products. This required time; so…? ‘Schmidheiny decided to survive at all costs,’ said Panelli. “that is what he wanted so he endeavoured to shield them with propaganda about the controlled use of asbestos, even though they knew that no controlled use was safe”. Dr Colace pressed on: ‘The goal was profit’. He added: ‘There had been talk for a while of what has been called “Chimera Casale 3”, i.e. the construction of a new plant in compliance with all safety regulations, but then nothing was done about it. Said the mayor at the time, Riccardo Coppo, a witness at the Eternit 1 Trial: ‘We realised that we were being taken for a ride with these promises!’
5 – Correct information to workers is an employer’s obligation. ‘Schmidheiny did not do this,’ said Dr Colace . The defence said that caution had been exercised in dealing with the health problem so as not to create alarmism. Was giving information about the danger of asbestos creating undue alarm?‘ In fact, on one occasion a bulletin was issued, ‘drafted by SIL, that said that asbestos, considered simply as a material, was not dangerous, that mere physical contact did not cause damage as with other substances and, in bold type, the “known harmfulness of smoking” was highlighted. In essence, the warning to Eternit workers was: ‘Don’t smoke!’ ‘. Indeed, smoking does increase the risk from exposure to asbestos, but the inherent and deadly danger of asbestos was glossed over. As for the community, in the face of the ban on giving/selling the dust to privates, ‘nothing was done to warn them of the risks of putting it in their homes, attics or grounds, even in previous years,’ recalls the public prosecutor. In the 1976 Auls Handbook, following the Neuss conference, reassuring answers are given: ‘There are no risks for the workers’ families, nor for those living around the plant‘.
6 – At a certain point, asbestos was no longer profitable: ‘It was no longer profitable and therefore it [the plant] was closed down, left to go bankrupt,’ sums up PP Dr Panelli. Figures from the late 1970s showed a decline in the market, partly because knowledge of the dangers was beginning to spread. This was followed by surge in demand in the early 1980s, after the Irpinia earthquake: asbestos products were needed for reconstruction. But it was a limited increase. ‘The lemon was squeezed to the last,’ commented Bruno Pesce, spokesman for the Comitato Vertenza Amianto di Casale, when he was heard as a witness. ‘In 1986, the decision was made to put the Italian Eternit company out of business,’ explained Prosecutor Dr Sara Panelli. The decision had already been made earlier: ‘In 1983 in Zurich. An alarming event also weighed heavily; in the United States, Johns-Manville had 16,500 lawsuits with claims for compensation for asbestos-related diseases. ‘Schmidheiny feared a similar risk. On June 3, 1986, he filed for bankruptcy; the following day – June 4, 1986 – the Court of Genoa declared Eternit Spa bankrupt, appointing Dr. Carlo Castelli as receiver.
7 – The risk to be avoided: ‘A scandal at national and international level, both financial and in terms of image,’ explained PP Dr Panelli. ‘The machine was set in motion’. As early as 1984, in view of the planned bankruptcy, a PR specialist, Guido Bellodi, from Milan, was hired and given a task: ‘Keep a low profile. Low profile. And to make sure that the focus on the top level is absolutely avoided: that is, Schmidheiny,’ summarised the prosecution. To this aim, Bellodi developed a strategy that gave good results for a while, and was considered ‘a success’, even though, over the twenty years it was employed (from 1984 to the mid-2000s) the communication campaign ‘cost several million euro’. The strategy included the 9.5 billion lire paid to the bankruptcy receivership’s administrators to bury any idea of legal action. Transactions with private individuals were also included, again with the same purpose. Above all, a capillary monitoring activity was organised, with ‘antennae ‘or focal points (which the people of Casale called paid ‘spies’) into political parties, the trade unions, Afeva association, and schools. The ‘antennae’ reported any move, of whatever entity, that in any way concerned or referred to Eternit. For a few years, the Bellodi method worked. The questions increased. The ‘antennae’ reported a high level of involvement of the local community in Casale, the activities of Afeva and even in schools were noted, as well as the link established with the victims’ association in Brazil. Former Eternit workers, family members, citizens were dying of mesothelioma. There were signs of a new trial, families got together. The ‘Bellodi Manual’ was drafted along the lines of the 1976 ‘Auls’ Manual: in practice a sort of handbook with every possible question and its answers. And what were staff to answer those who asked whether Stephan Schmidheiny was aware of the damage caused by the Eternit plants in Italy? Dr Sara Panelli reports: ‘It had to be said that Schmidheiny was neither a director nor a manager of the plants, so he could not be responsible’. An ‘activity of mystification of Schmidheiny’s figure,’ added the prosecutor. It was necessary to ‘clean up’ his position saying he had no role in Italy, he had not managed anything. At most, he had ‘some interests’ in the Eternit Group‘. Basically, the construction of a protective fortress around him, around the top.
B – DIAGNOSIS
1 – The prosecution queried the decision of the Novara Court of Assizes to acquit the defendant in 46 cases. For example, he was acquitted when the victims were not residents of Casale. ‘Residence is an important element of assessment,’ said Prosecutor Dr Mariagiovanna Compare, ‘but we have to take into account that Casale is the centre of all the surrounding towns [and they commute] to study, work, and for leisure: those who live in the towns of the Monferrato District spend a lot of time in the main town. ‘In addition, expert witnesses said that there was a significant risk of developing the disease in a radius of up to ten kilometres. The other issue was the diagnosis: when, from a medical-legal point of view, it was classified as probable, the certainty that it was mesothelioma was not considered. Prosecutor Dr Mariagiovanna Compare rejected this approach: ‘But how? Is a diagnosis made with the utmost medical accuracy certain when the aim is to treat a patient as best as possible, and it loses certainty in court?‘ PP Colace caustically added: ‘Were they treated for mesothelioma, but the disease was not mesothelioma? Please! Are we in the presence of a great asbestos massacre or a great case of malpractice?’.
2 – Prosecutor Dr Compare stressed the importance and reliability of epidemiology, ‘the science that enters the trial with a high degree of logical credibility’. Contrary to the position of the defence, the prosecutor reaffirmed (consistently with the authoritative position of the Italian Association of Epidemiology) that the results obtained for a cohort can be applied to individuals if such individual bears the same characteristics as the group.
3 – It follows, therefore, that ‘increased exposure to asbestos increases the risk of falling ill, accelerates the onset of the disease and death. In addition, it affects so-called ‘clearance’. What does it consist of? ‘Our organism at some point tends to get rid of the fibres deposited in the lungs; but,‘ Dr Compare explained, “ if you continue to be exposed, you counteract the ”clearance’ that the body performs to get rid of the fibres‘. Hence the importance of so-called ‘additional doses’.
C – CONCLUSIONS
‘The defendant chose to continue using asbestos even though he knew that asbestos kills,’ concluded Prosecutor Colace. ‘He showed a degree of attention to the health problem, but not as a protection for people’s health, only because those problems could hinder production’. The prosecutor added: ‘Is Schmidheiny a monster? The answer is: ‘No. He is a normal person who was confronted with the problem of illness and chose to go ahead with production despite knowing its danger and having decided to stop using asbestos later. If he waited, it was for economic reasons‘.
The prosecution therefore renewed its request for a life sentence.
The last terrible and tragic comments: ‘The victims indicated in the indictment stop at 2016,’ recalls Colace. ‘Since then, however, 441 other people have fallen ill and other cases will be added, perhaps as early as tomorrow…’.
An unfortunately all too easy to predict. In the aftermath of the hearing, on Thursday 21 November 2024, a young 48-year-old woman, Elena Gaia, originally from Sala, a village in the Monferrato Casalese area, died. She was a law graduate, an extrovert, happy person until the mesothelioma diagnosis less than a year ago. Elena is a name of Greek origin meaning ‘shining, sunny’. Her surname Gaia is evocative of joy, but this torch of joy has been extinguished. Yesterday, Saturday, she was buried in the village cemetery.
D – NEXT HEARING
The third hearing of the Eternit Bis second-degree trial in the Court of Appeal takes place on Wednesday, 27 November. The lawyers for the plaintiffs will speak and then the floor passes to the defence lawyers Astolfo Di Amato and Guido Carlo Alleva.
Subsequent hearings: December 4, 11 and 18.
Defense lawyers Drs Guido Carlo Alleva and Astolfo Di Amato
Grazie Silvana . Purtroppo non sarà l’ultima vittima . Qualsiasi condanna venga applicata all’imputato non sara “giusta” . Requiem per i nostri defunti
Il signor Schmidheiny ha la possibilità di fare una cosa formidabile che blocca questo stillicidio: impegnandosi direttamente, come uomo e come filantropo, a indirizzare la ricerca x trovare la cura
Grazie Silvana, ottima sintesi, ottime riflessioni : un ottimo lavoro ed impegno.
Smidhainy aveva e ha tutti i mezzi per dare un contributo (coi suoi mezzi e dall’alto della sua posizione) veramente molto importante alla lotta all’amianto e per sconfiggere finalmente il Mesotelioma.
Grazie Silvana. Il tuo commento è sempre ricco e dettagliato. Mentre lo leggevo era come se fossi stata presente all’udienza!