Signor Schmidheiny, giovedì 21 novembre 2024, è morta di mesotelioma una giovane donna di 48 anni, “figlia” del Monferrato casalese. Signor Schmidheiny, non pensa sia giunto il momento di impegnarsi direttamente per incentivare la ricerca e trovare la cura per guarire tutti, ma proprio tutti i malati di mesotelioma del mondo?
Si è celebrata, mercoledì 20 novembre, nella maxiaula 1 «Giuseppe Casalbore» di Torino, la seconda udienza del processo Eternit Bis, in Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Cristina Domaneschi, affiancata dalla giudice togata Elisabetta Gallino e dai giudici popolari (effettivi e supplenti). La procura generale (pg Sara Panelli affiancata dai pm applicati Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare) ha concluso la propria parte, esponendo i motivi di impugnazione avverso alla sentenza di primo grado pronunciata dalla Corte d’Assise di Novara. Quella Corte ha riqualificato il reato contestato all’imputato Stephan Schmidheiny da omicidio doloso a colposo aggravato; lo ha condannato a 12 anni per alcuni casi di morte; per 199 ha pronunciato la prescrizione; per altri 46 lo ha assolto (incertezze sulle diagnosi e questione di residenza delle vittime).
La sentenza è stata impugnata sia dalla procura sia dalla difesa.
CHE COSA CHIEDE LA PROCURA ALLA CORTE D’ASSISE D’APPELLO?
* Che all’imputato Stephan Schmidheiny sia riconosciuto il dolo (eventuale) e non soltanto la colpa in ordine al reato di omicidio che gli viene contestato per la morte di 392 persone del Casalese a causa dell’amianto
* Che tutti e 392 i casi indicati nel capo di imputazione siano riconosciuti come mesoteliomi e quindi vittime dell’omicidio contestato
I magistrati della procura. Da sinistra: la pg Sara Panelli, i pm Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare
RIEPILOGO: GLI ARGOMENTI DELLA PROCURA
A – IL DOLO
1 – L’imputato è consapevole della situazione «catastrofale» all’interno dello stabilimento (polverosità attestata nelle numerose prescrizioni impartite da Ispettorato del Lavoro, perizia prof. Michele Salvini di Pavia nel 1982…)
2 – L’imputato è consapevole della grave esposizione ambientale anche fuori dallo stabilimento
3 – L’imputato fa scarsi investimenti per mettere la fabbrica in sicurezza. cifre contrastanti e interventi non specifici per la sicurezza.
4 – L’imputato è consapevole che l’amianto provoca il mesotelioma (Ghota mondiale dei produttori di amianto, Studi scientifici, Convegno di Neuss)
5 – L’imputato non informa i lavoratori dei gravi rischi dell’amianto per la salute e non informa la popolazione (in particolare sul polverino)
6 – L’imputato sfrutta il più possibile l’amianto, ma poiché non rende più e, al contempo, la conoscenza sui rischi si diffonde, decide (già nel 1983 a Zurigo) di far fallire l’Eternit (fallimento a giugno 1986)
7 – L’imputato ingaggia un comunicatore professionista (Bellodi) per accompagnare la chiusura evitando uno scandalo internazionale e proteggere sé stesso nei confronti dell’opinione pubblica. La strategia del «fortino». Le «antenne» sul territorio. Il «Manuale Bellodi» sulla falsariga di Auls76
B – DIAGNOSI
1 – Sono tutti mesoteliomi. La certezza delle diagnosi, fatte prima di tutto, per curare le persone ammalate
2 – La validità scientifica dell’epidemiologia: dallo studio del gruppo (coorte) al caso singolo
3 – Le dosi aggiuntive, l’anticipazione della malattia e della morte
C – CONCLUSIONI «Si condanni Schmidheiny per omicidio volontario con dolo eventuale» -Dal 2016 a oggi altre 441 nuove vittime. Anzi, da giovedì sono 442
D – PROSSIMA UDIENZA
**************************************************************************************
APPROFONDIMENTO PUNTO PER PUNTO
A – IL DOLO
1 – Dice il pm Colace: «L’imputato è consapevole dello stato di polverosità in terno allo stabilimento. La situazione era “catastrofale”: così l’aveva definita nel 1973 Otar Wey, direttore tecnico del Gruppo Eternit, reduce da un sopralluogo a Casale. E le condizioni di insalubrità non mutano negli anni a venire, neppure quando subentra Stephan Schmidheiny». E come lo si sa? «L’Ispettorato del Lavoro manda i propri ispettori a fare dei controlli: ebbene, tra il 1976 (anno in cui l’imputato assunse direttamente la gestione, anche se era già direttore delle vendite dell’impresa di famiglia Eternit Ag Niederurnen, ndr) e il 1983 (l’imputato mantiene il ruolo di vertice fino al 1986, ndr) furono impartite oltre 260 prescrizioni per problematiche di igiene e salubrità: significa contestazioni per oltre 260 reati in materia. Una situazione abnorme, una cosa inaudita: in oltre 25 anni che mi occupo di sicurezza negli ambienti di lavoro, ho mai sentito, in Italia, nulla di simile!». Nel 1976, viene licenziato un operaio che si era lamentato dell’eccessiva polverosità. Nel 1982, il giudice del lavoro di Casale, Giorgio Reposo, nell’ambito dei processi per la cosiddetta «rendita di passaggio», dispone una perizia tecnica, incaricando il professor Michele Salvini di Pavia: il quale rileva, con molta semplicità, livelli di polvere fuori limite e fuori controllo. E dire che l’Eternit aveva convinto l’Inail che lo stabilimento, grazie ad alcuni interventi, era ormai salubre; proprio per questo, aveva ottenuto l’esenzione dal pagamento del sovrappremio per l’asbestosi. Come aveva fatto a convincere l’Inail? Secondo il pm Colace aveva fornito i dati dei controlli dell’aria eseguiti dall’organismo interno Sil: «Numeri non attendibili, perché i rilievi non venivano fatti nelle postazioni e nei punti in cui c’era maggior concentrazione di fibre». Aggiunge il pm: «Tutto quel che c’era da violare del Dpr 303 del 1956 (che imponeva la protezione dei lavoratori dalle polveri in qualsiasi quantità) è stato violato».
2 – La polverosità non era soltanto un fenomeno interno alla fabbrica: la fibra ha pervaso anche l’ambiente esterno della città e dintorni. Il pm Colace ha elencato alcune delle fonti di dispersione dell’amianto: i «ventoloni» che sparavano aria insalubre fuori dallo stabilimento; gli indumenti di lavoro che, in assenza di una lavanderia interna, spargevano polvere fino a casa con eventuali tappe nei negozi; la frantumazione a cielo aperto degli scarti (provenienti da diversi stabilimenti Eternit d’Italia), che si attuava nell’area ex Piemontese, giorno e notte; il motocarro che trasferiva i rottami sfarinati al mulino Hazemag dentro la fabbrica; il trasporto di materie prime e manufatti sui camion attraverso la città (tra lo stabilimento, i magazzini in piazza d’Armi e la stazione Piccola velocità); la discarica Bagna vicino al Po (il 13% del materiale trovato nella discarica Bagna era amianto); gli scarichi di acque di lavorazione direttamente nel fiume; la famosa «spiaggetta» di amianto, tanto bella e liscia, meta di ameni pomeriggi domenicali per famiglie. E, poi, l’ultimo atto: «Lo stabilimento abbandonato in stato di degrado, con vetri rotti e fuoriuscita di amianto ancora accumulato all’interno – evocato Colace -. Situazione che è rimasta, aggravandosi nel tempo, fino agli anni Duemila quando fu attuata l’imponente bonifica a spese pubbliche, cioè con soldi della collettività». Il pm fa anche una riflessione: «Chissà che cosa ha da dire il consulente della difesa, professor D’Anna, sullo stabilimento abbandonato! Se, a suo parere, fu determinante, più della fabbrica in funzione, l’inquinamento provocato dal vecchio polverino nei sottotetti e nei battuti, quanto contò la fabbrica abbandonata in quello stato?».
3 – La difesa ha sottolineato più volte la volontà dell’imputato di cambiare la inquinata situazione ereditata e ha parlato di ingenti investimenti in materia di sicurezza e salubrità. Quanto ha speso negli anni di sua pertinenza? Difficile individuare un dato univoco. «Nei diversi tribunali sono stati forniti dalle difese dati diversi: 33 miliardi di lire, 49 miliardi, 89, 81, 75… c’è una persistente incertezza – stigmatizza il pm -. Quale che sia stata la cifra esatta, i flussi finanziari dalla Svizzera sono serviti principalmente a coprire le spese correnti – afferma -. Schmidheiny sapeva che l’Eternit era in perdita, ma non voleva cedere una fetta del mercato italiano ai concorrenti». Colace richiama la più contenuta cifra di 4 miliardi di lire di investimenti per la sicurezza che è il dato fornito a suo tempo dalla stessa Eternit all’Ispettorato del lavoro.
4 – L’imputato sapeva che di amianto si muore. La pubblica accusa insiste sulla consapevolezza piena. Già nella passata udienza, Colace aveva richiamato ampiamente uno dei momenti cruciali, il convegno di Neuss, in cui Schmidheiny informò i 35 massimi dirigenti sulla gravità, ma li ammonì a comportarsi in maniera tale da non diffondere il panico, per non compromettere la sopravvivenza dell’industria. E Panelli aveva evidenziato il ruolo della famiglia Schmidheiny nel «gotha degli imprenditori mondiali dell’amianto, dove si decideva tutto e si era a conoscenza di tutto, a partire da ogni studio scientifico, anche quelli che si riuscì a vietare di pubblicare». Panelli ha parlato dei «Tour d’Orizon», che erano «riunioni segrete a livello internazionale. Abbiamo recuperato soltanto 4 verbali di quegli incontri, ma sono molto significativi. Emerge chiaramente la volontà di continuare a produrre manufatti con l’uso dell’amianto perché era troppo redditizio e le aziende dovevano avere il tempo di pianificare l’abbandono di questo materiale e traghettare il settore verso prodotti alternativi». Ma non si fa dall’oggi al domani; e nel frattempo? «Schmidheiny decide di esistere a ogni costo – afferma Panelli -. To be, esserci: questa è la volontà e, per farlo, ci si scherma con la propaganda sull’uso controllato dell’amianto, anche se già si sa che nessun uso controllato mette al riparo». Incalza Colace: «L’obbiettivo è il profitto». E aggiunge: «Si parla per un po’ di quella che è stata definita la “Chimera Casale 3”, cioè la costruzione di un nuovo stabilimento con il rispetto di tutte le norme di sicurezza, ma poi non sene fa niente». Disse il sindaco dell’epoca Riccardo Coppo, testimone al Maxiprocesso Eternit 1: «Ci rendemmo conto che con queste promesse venivamo presi in giro!»
5 – L’informazione corretta ai lavoratori è un obbligo del datore di lavoro. «Schmidheiny non lo fa – afferma Colace -. La difesa ha detto che era stata usata cautela nell’affrontare il problema sanitario per non creare allarmismi. Dare informazioni sulla pericolosità dell’amianto era allarmismo?». In realtà, in una occasione fu diramato un bollettino, «redatto dal Sil, in cui era scritto che l’amianto, considerato semplicemente come materiale, non era pericoloso, che il semplice contatto fisico non provoca danni come avviene per altre sostanze e, in grassetto, era evidenziata la “nota dannosità del fumo”. In sostanza, il monito ai lavoratori Eternit era: “Non fumate!”». Effettivamente, il fumo aggrava il rischio dovuto all’esposizione all’amianto, ma sulla pericolosità intrinseca e micidiale dell’amianto si sorvola. Quanto alla popolazione, a fronte del divieto di cedere il polverino ai privati, «nulla si fa per mettere in guardia dai rischi che può provocare esserselo messo in casa, nei sottotetti o nei battuti, pur negli anni precedenti» ricorda il pm. E, nel manuale Auls del 1976, successivo al Convegno di Neuss, si confezionano risposte rassicuranti: «Non ci sono rischi per le famiglie dei lavoratori, né per chi vive intorno allo stabilimento».
6 – A un certo punto ci si rende conto che l’amianto non è più redditizio: «Non è più conveniente dal punto di vista dei profitti e pertanto si chiude, si lascia fallire» riassume la pg Panelli. Già i dati della fine degli anni Settanta evidenziavano una flessione del mercato, anche perché cominciava a diffondersi la conoscenza della pericolosità. C’era poi stata un’impennata di consumo nei primi anni Ottanta, dopo il terremoto dell’Irpinia: servivano i manufatti di amianto per la ricostruzione. Ma fu una fiammata circoscritta. «Si è spremuto il limone fino all’ultimo» aveva commentato Bruno Pesce, portavoce del Comitato Vertenza Amianto di Casale, quando era stato sentito come testimone. «Nell’86 si decide di far fallire l’Eternit italiana» spiega la pg Sara Panelli. Ma la decisione era stata già presa in precedenza: «Nel 1983 a Zurigo». Pesava anche un evento allarmante; negli Stati Uniti, la Johns – Manville aveva subito una batosta: 16500 cause legali con richiesta di risarcimenti per malattie amianto-correlate. «Schmidheiny temeva un rischio analogo». Il 3 giugno 1986 fu presentata istanza di fallimento; il giorno successivo – 4 giugno 1986 – il Tribunale di Genova dichiarò fallita Eternit Spa, nominando curatore il dottor Carlo Castelli.
7 – Il rischio da evitare: «Uno scandalo a livello nazionale e internazionale, sia a livello finanziario sia di immagine» ha spiegato la pg Panelli. E, allora, «si mette in moto la macchina». Fin dal 1984, in vista del progettato fallimento, viene ingaggiato un comunicatore professionista, Guido Bellodi, di Milano, cui viene assegnato un compito: «Tenere un basso profilo. Low profile. E fare in modo di evitare assolutamente il focus sul massimo livello: cioè Schmidheiny» ha riassunto la pg. Attorno a questo obbiettivo, Bellodi attiva una strategia che per un bel po’ dà risultati soddisfacenti, valutati come «un successo», anche se, in vent’anni (dall’84 a metà degli anni Duemila) la campagna di comunicazione «costa diversi milioni di euro». Nella strategia, rientrano, ad esempio, i 9 miliardi e mezzo di lire versati alla curatela del fallimento per tombare qualsiasi ipotesi di azione legale. E vengono pure attivate transazioni con i privati, anche qui con lo stesso scopo. Soprattutto, si organizza una capillare attività di monitoraggio, con le «antenne» (che i casalesi chiameranno «spie») intrufolate nell’attività politica, sindacale, dell’associazione Afeva, delle scuole. Le «antenne» riferiscono puntualmente ogni mossa, di qualunque entità, che in qualche modo riguardi o sfiori l’Eternit. Per un po’ di anni, il metodo Bellodi funziona, ma poi comincia a scricchiolare. Le domande aumentano. Le «antenne» segnalano a Casale un elevato coinvolgimento della comunità locale, si annotano le attività di Afeva e persino nelle scuole, nonché il legame instaurato con l’associazione omologa in Brasile. Muoiono di mesotelioma gli ex lavoratori Eternit, i famigliari, i cittadini. Ci sono segnali di un nuovo processo, le famiglie cercano di riunirsi. Viene messo a punto il «manuale Bellodi», sulla falsariga del manuale «Auls» del 1976: in pratica una sorta di prontuario contenente ogni ipotesi di domanda con le relative risposte. E quali sono le risposte che si devono dare a chi chieda, ad esempio, se Stephan Schmidheiny fosse a conoscenza dei danni provocati dagli stabilimenti Eternit in Italia? Riferisce Sara Panelli: «Bisognava dire che Schmidheiny non era né un direttore né un dirigente degli stabilimenti, di conseguenza non poteva essere responsabile». Una «attività di oscuramento attorno alla figura di Schmidheiny – aggiunge la pg -. Bisognava “ripulire” le sue posizioni: non aveva ruolo in Italia, non aveva gestito niente. Al più, aveva “alcuni interessi” nel Gruppo Eternit». Praticamente, la costruzione di un fortino protettivo attorno al vertice.
B – DIAGNOSI
1 – La procura contesta la decisione della Corte d’Assise di primo grado di aver pronunciato assoluzione dell’imputato per 46 casi. Ad esempio, è stato assolto quando le vittime non erano residenti a Casale. «La residenza è un elemento importante di valutazione – dichiara la pm Mariagiovanna Compare -, ma bisogna tenere conto che Casale è il centro di gravità di tutti i paesi circostanti per lo studio, il lavoro, il tempo libero»: chi vive nei paesi del Monferrato trascorre molto tempo nel capoluogo. «E, inoltre, i consulenti hanno affermato che c’è un rischio significativo di ammalarsi in un raggio fino a dieci chilometri». L’altro tema è la diagnosi: quando, dal punto di vista medico -legale, è stata classificata come probabile, non si è considerata la certezza che fosse un mesotelioma. La pm Mariagiovanna Compare respinge questa impostazione: «Ma come? Una diagnosi fatta con la massima accuratezza è certa in ambito medico dove lo scopo è quello di curare al meglio un paziente, e perde certezza in tribunale?». Incalza caustico il pm Colace: «Erano curati per mesotelioma e non erano mesoteliomi? Domandiamocelo! Siamo in presenza di una grande strage da amianto o di un grande caso di malasanità?».
2 – La pm Compare ha ribadito la validità della epidemiologia, «la scienza che entra nel processo con un elevato grado di credibilità logica». In antitesi alla posizione della difesa, la pm ha riaffermato (in linea con la posizione autorevole dell’Associazione Italiana di Epidemiologia) che i risultati rilevati per una coorte possono essere applicati sui singoli purché il singolo abbia le stesse caratteristiche del gruppo.
3 – Ne discende, quindi, che «la maggiore esposizione all’amianto aumenta il rischio di ammalarsi, anticipa la manifestazione della malattia e la morte. Inoltre, inficia il cosiddetto fenomeno della “clearance”». In che cosa consiste? «Il nostro organismo a un certo punto tende a liberarsi delle fibre depositate nei polmoni; ma – ha spiegato Compare – se si continua a essere esposti, si annulla questa funzione di “clearance” che attua l’organismo per liberarsi delle fibre». Da qui il rilievo delle cosiddette «dosi aggiuntive».
C – CONCLUSIONI
«L’imputato ha scelto di continuare a usare l’amianto pur sapendo che l’amianto uccide – ha concluso il pm Colace -. Ha mostrato una certa attenzione al problema sanitario, ma non come tutela per la salute delle persone, bensì perché il problema sanitario poteva ostacolare la produzione». Si domanda il pubblico ministero: «Schmidheiny è un mostro?». La risposta è: «No. E’ una persona normale che si è confrontato con il problema della malattia e ha scelto di andare avanti con la produzione nonostante ne conoscesse la pericolosità e avesse deciso di dismettere più avanti l’uso di amianto. Se ha aspettato, è stato per motivi economici».
La procura, pertanto, rinnova la richiesta di condanna che, esplicitamente, nel processo di primo grado era stata l’ergastolo.
L’ultima riflessione, terribile e tragica: «Le vittime indicate nel capo di imputazione si fermano al 2016 – ricorda Colace -. Da allora, però, si sono ammalate altre 441 persone e altri casi si aggiungeranno, forse già domani…».
Una previsione purtroppo fin troppo facile. E, sì, all’indomani dell’udienza, giovedì 21 novembre 2024, è morta una giovane donna di 48 anni, Elena Gaia. Era di Sala, paesino del Monferrato casalese. Era laureata in Giurisprudenza. Era una persona estroversa, raggiante. Fino alla diagnosi di mesotelioma, meno di un anno fa. Elena è un nome di origine greca che significa «splendente, solare». E il cognome Gaia è evocativo di gioia. Ecco: la fiaccola splendente di gioia si è spenta. Ieri, sabato, è stata sepolta nel camposanto del paese.
D – PROSSIMA UDIENZA
La terza udienza del processo di secondo grado Eternit Bis in Corte d’Assise d’Appello si svolge mercoledì 27 novembre. Intervengono i legali delle parti civili e poi la parola passa ai difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva.
Le successive udienze: 4, 11 e 18 dicembre.
Grazie Silvana . Purtroppo non sarà l’ultima vittima . Qualsiasi condanna venga applicata all’imputato non sara “giusta” . Requiem per i nostri defunti
Il signor Schmidheiny ha la possibilità di fare una cosa formidabile che blocca questo stillicidio: impegnandosi direttamente, come uomo e come filantropo, a indirizzare la ricerca x trovare la cura