RECENSIONE
di SERGIO SALVI
“Florence”, autrice Stefania Auci, edito nel 2015 da Baldini + Castoldi, prima edizione Baldini + Castoldi-La nave di Teseo, giugno 2021 pp. 476.
In una frase: un titolo in lingua francese/inglese per un romanzo storico italiano di gran valore.
Stefania Auci ha vinto, giusto qualche giorno fa, l’edizione 2022 del “Premio Bancarella” con il libro “L’inverno dei leoni”, secondo volume della saga dedicata alle vicende della famiglia Fiorio (il primo si intitola «I leoni di Sicilia»). Il notevole successo riscosso negli ultimi tre anni dalla scrittrice siciliana (Stefania Auci è nata a Trapani e vive a Palermo) con le opere dedicate ai Fiorio ha, per così dire, riacceso l’interesse anche per i suoi libri non saliti (ancora?) a una così vasta ribalta. Il romanzo “Florence” merita, a mio avviso, l’attenzione di tutti i lettori.
Firenze, 7 agosto 1914, la Grande Guerra (ma nessuno la definiva ancora così) era iniziata da pochi giorni: “L’Austria contro la Serbia, i tedeschi contro la Francia, l’Inghilterra contro la Germania, e la Russia insieme alla Francia contro la Germania e Dio solo sapeva chi altri… Gli unici a tenersene fuori erano stati gli italiani, che avevano dimostrato d’essere alleati inaffidabili. La dichiarazione di neutralità, arrivata ai quotidiani pochi giorni prima, aveva suscitato reazioni contrastanti nella opinione pubblica” (p.16).
Ludovico Aldisi, ventotto anni, è un cronista de “La Nazione”; il direttore, Silvio Ghelli, ne apprezza lo spirito di iniziativa, è stato lui a chiamarlo in redazione e a promuoverlo da archivista a giornalista.
Ludovico, di famiglia modesta (i genitori erano pescatori a Castiglioncello), aveva iniziato a lavorare al quotidiano più letto in Toscana, prima ancora di terminare l’università. La sua ambizione è ben lungi dall’essere placata dal traguardo professionale già raggiunto; interventista dichiarato, vuole ottenere dal suo giornale l’incarico di inviato di guerra sul fronte franco/belga dove l’esercito francese sta cercando di contenere l’avanzata tedesca: “Sarò l’occhio e le orecchie di Firenze sul campo di battaglia”. (p. 22).
Per convincere il direttore, Ludovico afferma di potersi sobbarcare le notevoli spese per il viaggio e la permanenza al fronte, inoltre gli fa balenare la possibilità di ottenere un’intervista da Gabriele D’Annunzio, in quel periodo residente a Parigi. Ghelli, anch’egli interventista convinto, promette di valutare la cosa; nel frattempo gli comanda, per l’edizione del giornale di due giorni dopo, un reportage su un’iniziativa di intellettuali pacifisti, dettandogli la linea guida: “Ah, voglio che si capisca che razza di gentaglia è questa. I vigliacchi non devono avere spazio. Spezzagli le gambe.” La risposta di Ludovico non è meno truculenta: “Li consideri già azzoppati e pronti per la pistolettata in fronte.” (p. 26).
Il giovane cronista sa bene a chi chiedere il denaro per il viaggio: la sua amante Claudia è la bella moglie di uno dei più importanti e ricchi avvocati di Firenze; Ludovico è attraente e spavaldo, ha qualche anno in meno della donna e approfitta senza scrupoli della sua posizione di forza nei confronti di Claudia, persona insicura e alla disperata ricerca di affetto.
Sicuro di ottenere il denaro, e già fantasticando sulla sua nuova e sfavillante carriera, Ludovico, per soddisfare la richiesta del suo direttore, si reca al convegno dei pacifisti e scopre di essere stato preceduto da un numeroso gruppo di persone, soprattutto giovani di esplicite idee interventiste: “Verranno a parlare dei cani pacifisti, amici dei tedeschi. Son quelli che dicono che combattere è ingiusto, perché sarebbe solo un massacro di povera gente. Dico, io sono figlio di artigiani, eppure voglio andare a combattere!” (p. 38).
Ludovico gongola: sono parole perfette per il suo articolo. Arrivano i relatori, accompagnati da un gruppo di sostenitori, studenti e operai. Prima gli insulti, poi le due fazioni vengono alle mani: dai pugni si passa presto alle bastonate, rumori di vetri in frantumi, il tonfo di un corpo abbattuto sul selciato. “E’ morto! C’è scappato il morto!” (p.41). L’uomo non era morto; dalla ferita, pur non gravissima, aveva perso sangue. Ludovico lo riconosce: è Dante Ducceschi, un suo amico ai tempi dell’università: “L’ha vista alla laurea, la famiglia di Dante. Gente ricca, che c’ha i soldi. Lui non sarà mai così” (p.44). Dopo la laurea qualcosa era cambiato e il legame si era prima sfilacciato e poi del tutto sciolto.
Dante, di idee pacifiste, è assistente universitario del prof. Giuseppe Laurenti, proprio il famoso cattedratico con cui Ludovico e Dante si erano laureati. Ludovico si rende conto che Dante è molto indebolito a causa della ferita e si offre di accompagnarlo. Dante vive nella grande tenuta di famiglia di Greve in Chianti, ma quel giorno è ospite nella casa fiorentina del prof. Laurenti. Ludovico, non senza difficoltà, riesce a sorreggere l’amico fino all’abitazione del docente e proprio in quella casa incontra la diciottenne Irene, figlia del professore, della quale Ludovico aveva uno sfuggente ricordo… “Dio santo, la bambina con le trecce nere”. (p. 56). In realtà, più che di un incontro si tratta di uno scontro; anche Irene, infatti, è contraria alla guerra e non rinuncia ad esprimersi in modo determinato e pungente nei confronti dell’interventista Ludovico. La giovane è anche pervasa da un profondo risentimento nei confronti della mentalità maschilista dell’Italia dell’epoca, perfino il padre, intellettuale di ampie visioni, quando si tratta della figlia è rigorosamente allineato al comune sentire dell’epoca: “Una donna, specie se giovane, come sei tu adesso, ha bisogno di essere guidata. Un marito e dei figli sono la naturale finalità di un’esistenza serena” (p. 149).
E’ il 13 agosto 1914, Firenze, stazione di Santa Maria Novella; sono passati solo cinque giorni dalla “disputa” con Irene in casa del professore: il direttore ha dato il suo assenso all’incarico di inviato di guerra. Ludovico, zaino sulle spalle, i soldi in tasca parte verso il Nord: “La guerra era ancora lontana, e già lontana era Firenze”. (p. 91).
Raggiunta Parigi, Ludovico incontra Gabriele D’Annunzio: sono cinque pagine che danno un lustro particolare a un libro molto bello, un “cameo” che meriterebbe di essere inserito nelle antologie (pp. 95-100).
Arrivare sulla linea dei combattimenti non sarà facile, Ludovico non demorde (“Non poteva stare indietro, non ora che la guerra gli veniva incontro”, p.103), e troverà il modo di arrivarci, ma in pochissimi giorni lo attanaglierà l’angoscia; l’esercito francese, incalzato dalle forze tedesche, deve arretrare disordinatamente, una vera e propria rotta. Non è riuscito a scrivere ancora nulla e ha quasi finito i soldi. Sarà decisivo il fortuito l’incontro con il capitano Jasper Freeman dell’esercito inglese, alla guida di un reparto di specialisti militari. L’ufficiale è impressionato dalla ferrea volontà di Ludovico e, pur controvoglia, gli concede un lasciapassare per aggregarsi ai combattenti. Gli dice: “Si è appena procurato un biglietto di sola andata per l’inferno” (p. 135)
Il romanzo sdoppia i piani di narrazione da quando Ludovico raggiunge la Francia: alle vicende della guerra si intrecciano infatti gli avvenimenti e i pensieri delle persone rimaste a Firenze; così il lettore può approfondire efficacemente la conoscenza dei vari personaggi ed è ben preparato agli sviluppi della storia.
Il contatto con la realtà della guerra sconvolge Ludovico: “Di nuovo, la sensazione di impotenza lo investì. E con essa giunse il timore di non riuscire a raccontare davvero quello che stava accadendo, perché l’orrore di ciò che aveva visto era troppo, e troppo grande”. (p.141).
Gli articoli di Ludovico pubblicati su “La Nazione” sorprendono positivamente Irene, che si è temporaneamente trasferita a Greve in Chianti presso la tenuta di Dante Ducceschi, e danno un po’ di consolazione a Claudia, costretta a subire la crescente prepotenza e la violenza del marito.
15 settembre 2014: il capitano Freeman viene ferito gravemente, anche Ludovico è colpito a una gamba, ma riesce a sopravvivere e anche a portare in salvo l’ufficiale inglese. La Grande Guerra, almeno sul fronte per entrambi, è finita.
Tornato a Firenze, Ludovico è disorientato. A parte i postumi della ferita che lo costringono a sostenersi con un bastone, si sente trasformato, ma non è ancora consapevole di come e di quanto profondamente sia cambiato. Il direttore Ghelli gli assegna un incarico importante: “Cronaca politica. Prima pagina … era un traguardo diverso da ciò che aveva sognato, ma era carico di prestigio e di visibilità” (p. 201). Desidera rivedere Claudia e, durante l’incontro, non le nasconde il suo stato di incertezza e confusione: “Credo di aver fatto un errore di valutazione. Pensavo che la guerra fosse qualcosa di… qualcosa di diverso” (p. 212). Le dice anche che ha deciso di accettare l’invito di Dante Ducceschi a trascorrere qualche giorno di convalescenza nella tenuta di Greve in Chianti.
Proprio durante questa pausa Ludovico si rende conto di aver maturato una implacabile avversione per la guerra. A una domanda precisa del prof. Laurenti risponde così: “E’ una carneficina. Continua, durissima, senza esclusioni di colpi e senza logica” (p.318). Era il 21 ottobre 2014: esattamente due mesi prima, al fronte, Ludovico aveva conosciuto il capitano Freeman, determinante in una futura svolta fondamentale per la vita del giornalista.
Le vicende del romanzo continuano a svilupparsi tra Greve in Chianti e Firenze. L’autrice è molto brava nel conquistare l’attenzione del lettore, sia con avvincenti colpi di scena sia descrivendo i cambiamenti interiori di Ludovico, Irene, Dante, Claudia e anche, su un piano più generale, restituendo i sentimenti generali di attesa e ansia per l’ormai scontato intervento in guerra da parte dell’Italia.
Ludovico, che insieme alla mentalità interventista, ha perso gran parte del suo cinismo, sarà coinvolto in un fatto di sangue e dovrà fuggire dall’Italia per non essere arrestato.
L’epilogo di “Florence” è posticipato alla fine della “Grande Guerra”. Siamo ancora a Firenze, nell’agosto del 1919, c’è la splendida descrizione di un tramonto, visto da San Miniato (p. 453) e poi la pacata e solida soluzione degli intriganti interrogativi lasciati aperti.
Finale: romanzo da non perdere. Avvincente, attuale e scritto benissimo, ricco di umanità e con un personaggio in più, ad aleggiare in quasi tutte le pagine: la città di Firenze, descritta con l’amore e il rispetto che merita.