SILVANA MOSSANO
Diario di pensieri sparpagliati, in tempo di guerra (la foto in apertura, è stata scattata al presidio per la pace di sabato in piazza Mazzini a Casale)
27 febbraio 2022, quarto giorno di guerra
I vecchi. Dove sono finiti i vecchi? Dai corrispondenti in Ucraina (alcuni molto bravi a prestarci i loro occhi), conosciamo la sorte dei bambini, quelli sani – nei rifugi o in fuga, con la paura negli occhi e nelle lacrime – e quelli malati, che non possono essere trasportati e rimangono negli ospedali esposti a rischi ancora più gravi e violenti delle malattie già gravi e violente che sono costretti a sopportare; apprendiamo della bimba – vittoria della forza vitale sulla potenza aggressiva – nata nella metropolitana divenuta rifugio antibombe; apprendiamo delle donne, che sorreggono tra le braccia i loro figli o li trascinano per mano nell’urgenza, nell’incertezza e nella disperazione, con poche borse leggere gonfie del poco indispensabile e trasportabile, che affollano le sale d’attesa e le banchine delle stazioni, nella speranza e nell’affanno di acchiappare un treno quale che sia purché sia per andare lontano, il più lontano da lì; apprendiamo degli uomini, che accompagnano donne e figli a un imbarco qualsiasi, li abbracciano, si scambiano lacrime, amore e desolazione, masticando promesse di rivedersi consapevoli che forse non le potranno mantenere, quelle promesse, uomini giovani e maturi che rimangono lì a combattere, uomini e ragazzi che, nemmeno per gioco, avevano mai prima preso in mano un fucile né di legno o di cartone. «Se non siete capaci, imparate in fretta e sparate, per difendere» ha esortato il presidente ucraino Zelensky.
Ma i vecchi? Dove sono finiti i vecchi? Dove sono nascosti? Come glielo dici ai vecchi che bisogna scappare? I vecchi non vogliono scappare, «se me ne vado da qui, non so se tornerò; se me ne vado da qui, forse la mia casa non la troverò più». I vecchi hanno le radici, i vecchi fanno fatica a muoversi, «…ma no, ma no, ti aiuto io, ti sorreggerò, ti prenderò in braccio, mamma, papà, nonni, andiamo…», no i vecchi non corrono più, al massimo scendono nello scantinato buio sotto terra portandosi appresso una sportina leggera con le medicine salvavita, finché la scorta durerà, e stanno lì con un mozzicone di candela, accesa solo per i minuti strettamente necessari, a condividere ritagli di cibo senza sapore e a contendersi un secchiello per i bisogni fisiologici. I vecchi non corrono, i vecchi restano, presidiano, i vecchi hanno dignità, non vogliono essere zavorra: «Vai tu che sei giovane, vattene da qui. Io non ho più voglia di vedere quello che succede là fuori. Vattene – figlio, figlia, nipote -, vattene a difendere la vita, a difendere la pace. Vattene e lasciami qui. E, quando tutto sarà finito, vedrai, sarò qui ad aspettarti». Vedrai. Vedrai? Forse.
Chissà chi ci sarà ancora in vita ad aspettare, in Ucraina e dintorni, che poi Polonia è sul confine, la Romania è a due passi, la Germania è vicina, l’Italia… guardala su una cartina, non è mica distante…
E la Russia, poche ore fa, ha messo in stato di allerta le proprie forze di deterrenza nucleare – in altre parole: la minaccia dell’utilizzo di armi nucleari -, contrariata (contrariato è il presidente Putin, con la cerchia degli oligarchi) dalle misure sanzionatorie predisposte dalla Nato e da Paesi dell’Occidente per convincerlo o costringerlo a bloccare la sua tremenda offensiva. Putin l’ha subito fatto sapere – «le armi nucleari le ho e sono pronte» – in modo che ci si sappia regolare.
Se partono le armi nucleari, non basteranno i rifugi nei sotterranei delle metropolitane, nelle cripte delle basiliche.
Intanto, nelle chiese di ogni dove si prega e Papa Francesco, «con il cuore straziato» ripete «tacciano le armi», si mette in movimento lui stesso a bordo della sua Cinquecento bianca come una colomba, e intensifica una rete diplomatica di pacificazione e di aiuti; intanto, nelle piazze si implora la pace e si sventolano le bandiere a sette colori; intanto, gli artisti e gli sportivi si schierano.
Intanto passano le ore, e i giorni, e un’alba che si riapre alla speranza torna a chiudersi su una notte cupa, confidando che l’alba buona sia quella di domani.
Il giornalista Tiziano Terzani (1938-2004), grandissimo reporter e scrittore, in «Lettere contro la guerra» scriveva: «(…) Questi sono ancora i giorni in cui è possibile fare qualcosa. Facciamolo. A volte qualcuno per conto suo, a volte tutti insieme».
Purché non passi altro tempo: perché i vecchi sono là, i bambini piangono e hanno paura di morire. E quanto resisteranno le mamme a consolarli e proteggerli? E i padri, i fratelli, gli zii, quanto resisteranno a fare da scudo contro gli arsenali pieni, e che per anni si è permesso che continuassero a riempirsi?
Non ci sono parole da aggiungere a quelle che hai già scritto bene tu. Non ci resta che pregare tutti insieme.
Grazie alla tua segnalazione sabato alle 16.00 ero lì in piazzetta in mezzo a tanta altra gente
Bambini, giovani, anziani tutti in cerchio in silenzio a dire no alla guerra
Ho cercato la speranza negli occhi degli altri.
Grazie Silvana per averci ricordato che in queste orrende guerre le nostre radici, la nostra memoria, coloro che ci hanno donato la vita, rimarranno a pagare le conseguenze di una scelta folle, invece di godere la gioia di figli e nipoti, come è giusto che sia, alla fine della loro esistenza terrena.
Un abbraccio di PACE. bruna
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